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PIUS PP. XI

EPISTULA

QUANDO NEL PRINCIPIO*

AD EMUM P. D. PETRUM TIT. S. LAURENTII IN LUCINA S. R. E. CARD. GASPARRI,
A SECRETIS STATUS: DE DISSIDIIS COMPONENDIS QUAE PACEM POPULIS AFFULGERE NONDUM SINUNT.

 

Signor Cardinale. — Quando nel principio del Nostro Pontificato, pieni l'animo d'angoscia per i mali presenti e di timore per i futuri, in un momento che sembrava decisivo per la tranquillità dell'Europa e la salvezza della società, Noi le affidammo il mandato di farsi interprete dei Nostri sensi e voti paterni presso i Rappresentanti dei popoli raccolti a consiglio, tutti invitavamo a considerare quanto si aggraverebbe la condizione, già così misera e minacciosa, dell'Europa, se fossero anche allora falliti quei tentativi di sincera pacificazione e di duraturo accordo.

Trascorso poco più di un anno, non occorre dire quanto il Nostro timore siasi avverato; in questo breve tempo i rapporti internazionali non solamente non sono migliorati, come si era in diritto di attendere dalla Conferenza di Genova, ma sono piuttosto peggiorati, così da giustificare nuove e più gravi preoccupazioni. Con quale pena del Nostro cuore ciò avvenga Ella sa troppo bene, signor Cardinale, testimone giornaliero e partecipe delle Nostre sollecitudini. Padre comune e capo di tutta la cristiana famiglia, Noi non possiamo restare indifferenti alle angustie dei Nostri figli ed ai pericoli che h minacciano, sull'esempio di san Paolo il quale diceva: Quis infirmatur et ego non infirmor! quis scandalizatur et ego non uror?[1].

Quindi mentre Noi procuriamo, con tutte le Nostre forze e con tutti quei mezzi che i Nostri figli pongono a questo scopo nelle Nostre mani, di alleviare le sofferenze così gravi e così generali dell'ora presente, dobbiamo profittare di ogni occasione che Ci si offre, per cooperare in qualche maniera all'intento doveroso della sospirata pacificazione dei popoli e degli individui in Cristo.

Ed è perciò che, mentre fra i Governi delle Potenze più impegnate nel conflitto si preparano, su nuove proposte, nuove conversazioni diplomatiche per trovare un'amichevole soluzione alle questioni che agitano il centro dell'Europa e, per riflesso inevitabile, tutte le nazioni, crediamo Nostro dovere di levare di nuovo la voce disinteressata, imparziale e per tutti benevola, quale deve essere quella del Padre comune.

Riflettendo alla grave responsabilità che in questo momento incombe e a Noi stessi ed a coloro che hanno in mano i destini dei popoli, Noi li scongiuriamo ancora una volta di esaminare le diverse questioni, ed in particolare la questione delle riparazioni, con quello spirito cristiano che non disgiunge le ragioni della giustizia da quelle della carità sociale su cui poggia la perfezione della convivenza civile. Qualora il debitore, nell'intento di risarcire i danni gravissimi sofferti da popolazioni e da paesi un dì prosperosi e fiorenti, dia prova della sua seria volontà di giungere ad un equo e definitivo accordo, invocando un giudizio imparziale sui limiti della propria solvibilità ed assumendo l'impegno di somministrare ai giudici ogni mezzo di vero ed esatto controllo, giustizia e carità sociale, come pure l'interesse medesimo dei creditori e delle nazioni tutte, stanche di lotte ed anelanti alla tranquillità, sembrano richiedere che non si esiga dal debitore quello che esso non potrebbe dare senza esaurire interamente le proprie risorse e la propria produttività con irreparabile danno suo e degli stessi creditori, con pericolo di perturbazioni sociali che sarebbero estrema iattura dell'Europa intera e di risentimenti che rimarrebbero minaccia continua di nuove e più rovinose conflagrazioni. Egualmente, è giusto che i creditori abbiano garanzie che siano proporzionate all'importanza dei loro crediti e ne assicurino l'esazione, dalla quale dipendono interessi anche per loro vitali; lasciamo però loro considerare se sia necessario a tale intento mantenere in ogni caso occupazioni territoriali che impongono sacrifìci gravosi ai territori occupati ed alle nazioni occupanti o non convenga piuttosto sostituirvi, sia pur gradatamente, altre non meno idonee e certo meno penose garanzie.

Ammessi da ambe le parti questi pacifici criteri, cessando per conseguenza le asprezze dell'occupazione territoriale e riducendo gradatamente l'occupazione stessa sino a cessare del tutto, sarà dato finalmente raggiungere quella vera pacificazione dei popoli, che è del pari condizione necessaria per la restaurazione anche economica da tutti ardentemente desiderata. Tale pacificazione e tale ricostituzione sono beni così grandi per tutte le nazioni, vincitrici e vinte, che, pur di ottenerli, non dovrebbe sembrar troppo grave qualsiasi sacrificio che risultasse necessario. Ma appunto perchè questi beni sono così grandi, non possono ottenersi altrimenti che per un singolare favore di Dio, dal quale discende omne datum optimum ei omne donum perfectum [1] . A Dio pertanto, nelle cui mani sono i cuori dei Governanti, Noi alziamo la preghiera e richiamiamo insieme tutto il popolo cristiano ad innalzarla sempre più fervorosa e concorde, affinchè il Signore inspiri a tutti pensieri di pace e non di afflizione, e, coi pensieri, il proposito magnanimo di attuarli e la forza di adempierli. Così vedremo felicemente avverato, a comune conforto, quanto la Chiesa madre invoca sul mondo intero con la preghiera che nella liturgia pone sulle labbra dei suoi ministri: Da, quaesumus, Domine, ut et mundi cursus pacifice nobis tuo ordine dirigatur et Ecclesia tua tranquilla devotione laetetur.

Nel ripetere l'espressione di questi voti e sentimenti più volte manifestati, signor Cardinale, con tutto il cuore le impartiamo l'apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 24 giugno 1923.

PIUS PP. XI


*A.A.S., vol. XV (1923), n. 7, pp. 353-355

[1] II ai Corinti, XI, 29.

[2] S. GIACOMO, Lett., I, 17.  



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