LETTERA ENCICLICA
EVANGELII PRAECONES(1)
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XII
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI,
ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI
CHE HANNO PACE
E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:
PER UN RINNOVATO IMPULSO DELLE MISSIONI
Gli araldi dell'evangelo, che s'affaticano in campi sconfinati di lavoro «perché la divina parola si diffonda e risplenda» (2 Ts 3, 1), sono in particolar modo presenti nel Nostro animo oggi, mentre si compie il venticinquesimo anniversario da quando il Nostro predecessore d'immortale memoria Pio XI, inviando l'enciclica Rerum Ecclesiae (2) e dando in essa sapientissime norme, cercò di promuovere sempre più le missioni cattoliche. E il Nostro animo s'inonda di non poca gioia considerando quanto questa causa santissima abbia progredito in questo spazio di tempo, poiché, come già abbiamo avuto occasione di affermare il 24 giugno 1944, parlando ai dirigenti delle Pontificie opere missionarie ammessi alla Nostra presenza: «L'opera missionaria, così nei paesi già illuminati dalla luce dell'evangelo, come nel campo stesso delle missioni, ha ottenuto un tale impulso, una tale ampiezza esteriore, una tale vigoria interna, quali forse non si sono mai riscontrati con eguale intensità nella storia delle missioni» (3).
Oggi tuttavia, mentre corrono tempi torbidi e minacciosi e non pochi popoli vengono divisi da contrastanti interessi, Ci sembra quanto mai opportuno tornare a raccomandare ancora una volta questa causa, poiché i missionari invitano tutti alla bontà umana e cristiana ed esortano a quella fraterna solidarietà che supera i contrasti tra le genti e i confini delle nazioni.
A questo riguardo, nella stessa udienza ai dirigenti di queste Opere, dicemmo tra l'altro: «Il vostro carattere internazionale e la vostra fraternità di lavoro rendono evidente e quasi palpabile quel segno distintivo della chiesa cattolica, che è la negazione e il contrapposto vivente della discordia, da cui le nazioni sono turbate e sconvolte: vogliamo dire l'universalità della fede e dell'amore, al di là di tutti i campi di battaglia e di tutte le frontiere degli stati, di tutti i continenti e di tutti gli oceani, universalità che vi stimola e sprona verso la meta cui tendete, di far coincidere i confini del regno di Dio con quelli del mondo» (4).
Perciò cogliendo volentieri l'occasione del venticinquennio della pubblicazione della lettera enciclica Rerum Ecclesiae, con profonda soddisfazione dell'animo lodiamo il fecondo lavoro già compiuto ed esortiamo tutti a progredire sempre con la massima alacrità; tutti, diciamo, i venerabili confratelli nell'episcopato, i missionari, il clero, i singoli fedeli, sia che lavorino in territori ancora da aprire alle verità cristiane, sia che per ogni dove aiutino questa importantissima causa, con supplici preghiere a Dio, o cooperando alla formazione dei futuri missionari o anche raccogliendo offerte.
1. Progressi
Per prima cosa conviene qui soffermarci brevemente sui progressi felicemente ottenuti a tal riguardo. Nel 1926 le missioni erano quattrocento, oggi sono circa seicento; i fedeli delle missioni non superavano allora i 15 milioni, mentre oggi quasi raggiungono i 28 milioni. Nello stesso anno i missionari, computando insieme quelli esteri e quelli del clero indigeno, erano circa 14.800, oggi sono più di 26.800. Allora le missioni erano quasi tutte rette da sacri pastori provenienti dall'estero; ora, in venticinque anni, 88 missioni sono passate al clero indigeno; e in molti luoghi, essendo stata legittimamente costituita la gerarchia con i vescovi scelti dalla propria gente, ancor più chiaramente si fa manifesto che la religione di Cristo è veramente cattolica, e che non si deve ritenere straniera rispetto a nessuna parte della terra.
Così, per esempio, nella Cina e in alcune parti dell'Africa è stata eretta la gerarchia ecclesiastica, secondo le norme dei sacri canoni; sono stati celebrati tre concili plenari di grandissima importanza, il primo in Indocina nell'anno 1934, il secondo in Australia nel 1937, il terzo in India nel 1950. Sono cresciuti molto in numero e importanza i seminari minori per l'insegnamento delle prime discipline; e i seminaristi dei seminari maggiori, che venticinque anni fa erano soltanto 1770, ascendono al presente a 4300; inoltre sono stati fondati molti seminari regionali. A Roma, presso il Collegio Urbano, è stato eretto l'«Institutum missionale»; pure a Roma e altrove sono state istituite facoltà e cattedre di missionologia. Parimenti è sorto, sempre in quest'alma città, il Collegio di San Pietro, dove i sacerdoti indigeni ricevono una più profonda e completa formazione nello studio, nella virtù, nell'apostolato. Sono poi state fondate due università; i collegi di cultura media o superiore da circa 1.600 sono saliti a più di 5.000; le scuole elementari e le medie sono state quasi raddoppiate e altrettanto si può dire dei dispensari, degli ospedali per la cura di ogni genere di malati, di infermi, non esclusi i lebbrosi. A tutto ciò bisogna aggiungere ancora l'Unione missionaria del clero che in questi anni ha avuto un grande incremento; è stata fondata l'Agenzia Fides, che ha come scopo la ricerca, l'esame e la divulgazione di notizie di carattere religioso; quasi dappertutto è in aumento e si diffonde largamente la stampa missionaria; sono stati celebrati vari Congressi missionari, tra i quali è da ricordare in particolar modo quello tenuto in Roma nello scorso anno santo, che ha chiaramente documentato l'estensione abbracciata dalle attività missionarie; e recentemente è stato celebrato il congresso eucaristico di Kumasi, nella Costa d'Oro in Africa, davvero straordinario per il concorso di gente e per la profonda pietà; infine è stata da Noi stabilita una giornata particolare da celebrarsi ogni anno, allo scopo di promuovere con preghiere e offerte la Pontificia Opera della Santa Infanzia (5). Da ciò risulta chiaro che le iniziative di apostolato hanno opportunamente corrisposto, con metodi nuovi e più adatti, alle mutate condizioni e alle accresciute necessità dei nostri tempi.
Non si deve nemmeno passar sotto silenzio che in questi venticinque anni sono state erette canonicamente altre cinque delegazioni apostoliche, in vari territori soggetti alla giurisdizione della Sacra Congregazione «De propaganda fide»; vi sono poi territori ai quali si estende la competenza di nunzi e internunzi apostolici. A questo proposito ci è gradito affermare che la presenza e l'attività svolta da questi presuli ha già date abbondantissimi frutti, ottenendo principalmente che le fatiche apostoliche dei missionari, meglio coordinate e mediante un aiuto scambievole, contribuissero al raggiungimento delle mete prefisse; alle quali hanno contribuito, inoltre, non poco, anche i Nostri rappresentanti con le frequenti visite e la partecipazione in nome Nostro alle frequenti conferenze episcopali nelle quali la preziosa esperienza dei singoli ordinari viene utilizzata a vantaggio di tutti e vengono elaborati in comune più spediti e facili programmi di apostolato. Inoltre una maggiore considerazione da parte delle autorità civili e dei non cattolici nei confronti della religione cristiana è un altro vantaggio di questa fraterna unione di fede e di opere.
Quanto abbiamo sin qui scritto con la massima brevità sullo sviluppo delle missioni nel periodo di venticinque anni e che abbiamo potuto vedere durante l'anno giubilare - quando tante schiere di pellegrini vennero a Roma dalle lontane regioni evangelizzate dai missionari per implorare i favori celesti e la Nostra benedizione - Ci muovono fortemente a ripetere gli ardentissimi voti dell'apostolo delle genti nella lettera ai Romani: «... per comunicarvi un po' di grazia spirituale sì da esserne fortificati, o meglio, per essere, in mezzo a voi, insieme confortati per la reciproca fede vostra e mia» (Rm 1, 11-12).
Ci sembra che il divino Maestro ripeta a tutti quelle parole piene di consolazione e di esortazione: «Alzate gli occhi e mirate i campi che già biondeggiano per la messe» (Gv 4, 35). Ma poiché il numero dei missionari è impari al bisogno dei nostri giorni, a tali parole risponde in qualche modo l'invito dello stesso divin Redentore: «La messe è veramente abbondante, ma gli operai sono pochi. Pregate, dunque, il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38).
Non senza profonda consolazione sappiamo anche che al presente si è felicemente accresciuto, con grande speranza della chiesa, il numero di coloro che per divina ispirazione si sentono chiamati all'alta funzione di propagare in ogni angolo del mondo la buona novella. Moltissimo tuttavia resta da fare e molto ancora rimane da impetrare da Dio, con supplichevoli preghiere. Ripensando alle innumerevoli genti che sono da condurre all'unico ovile e all'unico porto di salvezza per opera di questi missionari, rivolgiamo al divin Pastore la preghiera dell'Ecclesiastico: «Come al loro cospetto ti mostrasti santo verso di noi, così al cospetto nostro mostrati grande verso di loro. Affinché conoscano, come noi pure abbiam conosciuto, che non c'è Dio fuori di te, o Signore» (Eccli 36, 4-5).
2. Persecuzioni
Questi salutari sviluppi della causa missionaria sono costati non soltanto sacrifici e fatiche ai seminatori della divina parola, ma anche il martirio cruento eroicamente sofferto. Nel corso di questi anni infatti non mancarono in alcune nazioni persecuzioni crudelissime che infierirono contro la chiesa ivi nascente; e anche ai nostri giorni in certe regioni dell'estremo oriente non mancano cristiani che per questo motivo imporporano santamente quelle terre col loro sangue. Ci è giunta infatti notizia che non pochi fedeli, appunto perché furono e sono tuttora fortemente attaccati alla loro fede, come pure suore, missionari, sacerdoti indigeni e anche alcuni vescovi, sono stati espulsi dalla loro sede e privati dei loro beni, e ora o languiscono esiliati nell'indigenza o si trovano in stato di arresto, in carcere o in campi di concentramento, oppure sono stati qualche volta barbaramente trucidati.
Il Nostro animo è pieno di somma tristezza quando pensiamo alle sofferenze, ai dolori e alla morte di questi figli prediletti; e Noi non solo li ricordiamo tutti con paterno affetto, ma anche con patema venerazione, ben sapendo che la sublime vocazione missionaria spesso conduce anche alla dignità del martirio. Gesù Cristo, primo tra i martiri, disse: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20); «Nel mondo avrete tribolazione, ma confidate; io ho vinto il mondo» (Gv 16, 33); «Se il grano di frumento caduto in terra non muore, resta infecondo; ma se muore produce molto frutto» (Gv 12, 24-25).
Gli araldi e i propagatori della verità e della virtù cristiana, che incontrano la morte lontani dalla patria nell'esercizio della loro eccelsa missione, sono i semi dai quali a suo tempo, al cenno divino, germineranno i più abbondanti frutti. Perciò san Paolo diceva: «Ci gloriamo nelle tribolazioni» (Rm 5, 3); e san Cipriano, vescovo e martire, così confortava ed esortava i cristiani dei suoi tempi: «Volle il Signore che noi godessimo ed esultassimo nelle persecuzioni, perché durante le persecuzioni si distribuiscono le corone della fede, si vede il valore dei soldati di Dio, i cieli si dischiudono per i martiri. Non abbiamo infatti dato il nome ad una milizia per pensare alla pace soltanto e ricusare il combattimento, dal momento che nello stesso esercito per primo marciò il Signore, maestro nell'umiliazione, nel sopportare, nel soffrire, per essere il primo a praticare ciò che propose e per soffrire anticipatamente per noi ciò che esorta a soffrire» (6).
Anche quei seminatori dell'evangelo che oggi si affaticano nelle lontane regioni sviluppano un'azione non dissimile da quella della chiesa primitiva. Essi sono quasi nelle stesse condizioni in cui a Roma erano quelli che insieme con i prìncipi degli apostoli Pietro e Paolo portavano la verità evangelica nel cuore dell'impero romano. Chiunque rifletta come a quel tempo la chiesa nascente non era soccorsa da nessun appoggio umano, ma travagliata dalle angustie, dalle tribolazioni.e dalle persecuzioni, non può non sentirsi colpito da un'intensa ammirazione, vedendo quella piccola schiera inerme di cristiani, vittoriosa su una potenza della quale non sarebbe esistita, forse, alcuna più grande. Ciò che allora avvenne, senza dubbio si rinnoverà più volte. Come il giovanetto David, confidando nell'aiuto divino più che nella sua fionda, abbatté il gigante Golia, rivestito di ferrea armatura, così quella divina società fondata da Cristo non potrà mai esser vinta da un potere terreno, ma con sereno animo supererà sempre ogni persecuzione. Benché Noi sappiamo con certezza che tutto ciò scaturisce dalle divine infallibili promesse, tuttavia non possiamo fare a meno di manifestare il Nostro animo riconoscente a tutti coloro che hanno dato una testimonianza di fede coraggiosa e invitta a Cristo e alla chiesa, colonna e fondamento di verità (cf. 1 Tm 3, 15), esortandoli in pari tempo a procedere sempre con la stessa perseveranza nella via intrapresa.
Molto spesso Ci giungono, con grande Nostra consolazione, notizie di quest'invincibile fede e strenua fortezza. E se non mancarono tentativi di separare i figli della chiesa cattolica dall'unione con Roma e con questa apostolica sede, quasi che ciò fosse richiesto dall'amore e dalla fedeltà dovuta verso la propria nazione, costoro con assoluta franchezza hanno potuto e possono rispondere che nell'amor di patria essi non sono da meno di nessun altro cittadino; desiderano però con somma sincerità di poter usufruire di una giusta libertà.
3. Il lavoro da compiere
Ma è necessario aver presente quanto già sopra abbiamo accennato: che cioè quanto ancora resta da fare in questo campo richiede, senza dubbio, un lavoro immenso e un gran numero di operai. Ricordiamo che i nostri fratelli che «siedono nelle tenebre e all'ombra della morte» (Sal 106, 10) sono una moltitudine immensa che s'aggira sul miliardo. Perciò sembra che ancora risuoni il gemito inenarrabile del cuore amantissimo di Gesù Cristo: «E ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle bisogna che io conduca; e daranno ascolto alla mia voce e si farà un solo ovile e un solo pastore» (Gv 10, 16).
Ben sapete, venerabili fratelli, che vi sono pastori che si sforzano di strappare le pecore da quest'unico ovile, da quest'unico porto di salvezza; e vi è pur noto quanto un tale pericolo in qualche luogo si faccia sempre più grave. Perciò Noi, meditando davanti a Dio su questa sterminata moltitudine di uomini che non conosce ancora la verità dell'evangelo, e insieme considerando, com'è giusto, quel grave pericolo verso cui tanti sono sospinti o per la diffusione del materialismo ateo, o per una certa dottrina che usurpa il nome cristiano e che realmente risente degli errori e delle dottrine del comunismo, Ci sentiamo spinti con impellente urgenza e con ansia promuovere in ogni dove e con ogni sforzo le opere dell'apostolato, riconoscendo come rivolta direttamente a Noi l'esortazione del profeta: «Grida, non darti posa, alza la tua voce come una tromba» (Is 58, 1).
Raccomandiamo a Dio; con supplichevoli preghiere, in modo particolare gli apostoli che faticano nelle sacre missioni nell'interno dell'America Latina, sapendo da quali pericoli e insidie essi siano minacciati, più o meno palesemente, da parte delle sètte non cattoliche.
4. Il missionario
Affinché l'opera dei missionari riesca sempre più efficace e neppure una stilla del loro sudore e del loro sangue vada perduta, torna opportuno spiegare qui brevemente i principi e le norme direttive che devono reggere la diligente opera dei missionari.
Per prima cosa è da considerare che chi per un'ispirazione celeste sente di essere chiamato a educare nella verità dell'evangelo e delle virtù cristiane le lontane regioni pagane, è destinato a un compito assolutamente grande e sublime. Egli infatti consacra a Dio la vita, perché il suo regno si propaghi sino agli ultimi confini della terra. Egli non cerca le cose proprie ma quelle di Cristo (cf. Fil 2 21). Egli infine riferisce a sé in modo del tutto speciale quel bellissimo pensiero dell'apostolo delle genti: «Noi facciamo le veci di ambasciatori di Cristo» (2 Cor 5, 20). «Pur vivendo nella carne non militiamo però secondo la carne» (2 Cor 10,3). «Mi sono fatto debole coi deboli, per guadagnare i deboli» (l Cor 9, 22). Deve pertanto considerare quasi una seconda patria e amare con debito amore quella regione nella quale si reca per portare la luce dell'evangelo, e quindi non cerchi compensi terreni, né vantaggi per la sua nazione o per il suo istituto religioso, ma piuttosto la salvezza delle anime. Egli deve certamente amare con intenso amore la propria stirpe e la propria famiglia religiosa, ma con ardore ancora più grande la chiesa, memore che niente cosa potrà giovare al suo istituto se contrasta col bene della chiesa.
È necessario inoltre che i chiamati all'apostolato missionario mentre ancora sono in patria non solo attendano a una formazione completa nel campo della virtù e delle scienze ecclesiastiche, ma anche apprendano quelle cognizioni di ordine culturale e tecnico che in seguito potranno essere loro di grandissima utilità, una volta divenuti messaggeri dell'evangelo nelle missioni. Bisogna perciò che conoscano bene le lingue, specialmente quelle che sul posto saranno loro necessarie, e che abbiano sufficiente pratica e nozioni scientifiche in medicina, in agricoltura, in etnografia, in storia, in geografia e scienze affini.
5. Lo scopo delle missioni
Lo scopo principale di ogni missione, come ognuno sa, è quello di far più chiaramente risplendere in mezzo a nuovi popoli la luce della verità cristiana, in modo che si abbiano nuovi seguaci di Cristo. Per raggiungere questo fine supremo è necessario - e non deve mai esser perso di vista - che la chiesa si stabilisca su solide fondamenta presso gli altri popoli e venga costituita con propria gerarchia formata di clero indigeno.
Nella lettera del 9 agosto 1950 indirizzata al diletto figlio Nostro Pietro Fumasoni Biondi, cardinale presbitero di santa romana chiesa, prefetto della Sacra Congregazione «De propaganda fide» affermavamo tra l'altro che «la chiesa non ha alcun proposito di dominio sui popoli, o di voler comandare in cose meramente temporali, mentre è infiammata dall'unica ansia di portare la suprema luce della fede a tutte le genti, di promuovere la civiltà umana e la fraterna concordia dei popoli» (7).
Nella lettera apostolica Maximum illud (8) del 1919 di Benedetto XV, Nostro predecessore di immortale memoria, e parimente nell'enciclica Rerum Ecclesiae (9) di Pio XI, immediato Nostro predecessore di felice memoria, si annunciava che le sacre missioni, quasi come a scopo supremo dovessero mirare alla costituzione della chiesa nelle nuove terre. E Noi stessi, nella ricordata udienza alle Opere missionarie del 1944, dicemmo: «Il grande scopo delle missioni è di stabilire la chiesa nelle nuove terre e di farle ivi mettere salde radici, tanto da poter un giorno vivere e svilupparsi senza il sostegno dell'Opera delle missioni. L'Opera delle missioni non è scopo a sé medesima: essa tende con ardore a quell'alto fine, ma si ritira quando questo è stato raggiunto» (10). «L'opera missionaria non si accontenta di assicurare e proteggere le sue posizioni. Il suo scopo è di fare di tutto il mondo una terra santa. Essa mira a portare il regno del Redentore risorto, a cui è stata data ogni potestà in cielo e in terra (cf. Mt 28,18), il suo impero sui cuori attraverso tutte le regioni sino all'ultima capanna e all'ultimo uomo, che abita il nostro pianeta» (11).
6. Il clero indigeno
Naturalmente non è possibile dare una congrua e opportuna stabilità alla chiesa in nuove regioni, se non vi sia pure una sufficiente e proporzionata organizzazione di opere e principalmente se non si dispone del necessario clero indigeno, debitamente preparato e formato. Per questa ragione vogliamo ripetere di nuovo e far Nostre le gravi e profonde espressioni dell'enciclica Rerum Ecclesiae: «Se ciascuno di voi deve procurarsi il maggior numero possibile di chierici indigeni, dovete inoltre studiarvi di indirizzarli e formarli alla santità che si addice al grado sacerdotale e a quello spirito di apostolato congiunto allo zelo della salute dei propri fratelli, che li renda pronti a dare persino la vita per i membri della propria tribù e nazione» (12).
«Supponiamo che per una guerra o per altri avvenimenti politici nel territorio di una missione si soppianti un governo con un altro e si chieda o si decreti l'allontanamento dei missionari stranieri di una determinata nazione; supponiamo inoltre - cosa certo più difficile ad avverarsi - che gli indigeni, raggiunto un grado più alto di civiltà e maturità civile, vogliano, per rendersi indipendenti, cacciare dal loro territorio governatori, soldati e missionari della nazione straniera da cui dipendono, e che non possano farlo se non ricorrendo alla violenza. Quale rovina, domandiamo, sovrasterebbe allora in quei paesi alla chiesa se non si fosse provveduto pienamente alle necessità della popolazione convertita a Cristo, disponendo come una rete di sacerdoti indigeni per tutto quel territorio?» (13).
Noi siamo profondamente addolorati nel rilevare, purtroppo, come quelle cose che il Nostro immediato predecessore scriveva con animo quasi presago, siano ora divenute una realtà in non poche regioni dell'estremo oriente. Là infatti missioni fiorentissime, già biondeggianti per la mietitura (cf. Gv 4, 35), gemono ora, purtroppo, nelle più dure tribolazioni. Oh, potessimo Noi sperare che il popolo coreano e quello cinese, tanto ricchi d'innata nobiltà e gentilezza d'animo e celebri per lo splendore della loro antica civiltà, siano al più presto liberati non solo dalle rivoluzioni e da scontri guerreschi, ma ancora da quella perniciosa dottrina che, solo contenta della terra, rinnega le cose celesti; e così apprezzino giustamente la carità e la forza d'animo dei missionari esteri e dei sacerdoti indigeni che, a costo di sacrifici e della loro stessa vita, se occorre, non cercano altro che il vero bene del popolo!
Dobbiamo ringraziare incessantemente il Signore, che in queste due nazioni sia già stato formato a speranza della chiesa un numeroso clero locale, e non poche diocesi vi siano state affidate a vescovi indigeni. Se a tanto si è potuto finalmente arrivare, ciò deve ascriversi a lode dei missionari esteri.
A questo proposito, crediamo opportuno suggerire alcune norme, che giova tener presenti quando qualche sacra missione già retta da missionari esteri passa sotto la cura e il regime del clero e dell'episcopato locale. Quegli istituti religiosi, i cui membri col proprio sudore hanno dissodato il campo del Signore, non è necessario che lo abbandonino completamente quando, ormai ricco di frutti, la Sacra Congregazione «de propaganda fide» credesse conveniente affidarlo ad altri lavoratori; faranno invece cosa utile e conveniente se vorranno rimanere a collaborare con il nuovo vescovo locale. Come infatti nelle altre diocesi del mondo cattolico i religiosi coadiuvano per lo più gli ordinari del luogo, così nelle missioni i religiosi esteri come milizia ausiliaria non si stancheranno di combattere la santa battaglia e in tal maniera ben attueranno le parole del divino Maestro presso il pozzo di Sichar: «Chi miete già riceve la mercede e raccoglie frutto per la vita eterna, onde si rallegra parimenti chi miete e chi semina» (Gv 4, 36).
7. L'azione cattolica nelle missioni
Desideriamo inoltre con la presente enciclica rivolgere la Nostra parola e la Nostra esortazione non solo ai missionari, ma anche a quei laici che «con cuore grande e animo volenteroso» (2 Mac 1, 3), militando nelle file dell'Azione cattolica si adoperano ad aiutare i missionari.
Possiamo senz'altro affermare che la collaborazione dei laici, che oggi si chiama Azione cattolica, non è mai mancata fin dai primordi della chiesa, ma ha sempre apportato un prezioso aiuto agli apostoli e agli altri propagatori dell'evangelo e un valido contributo allo sviluppo della religione cristiana. A questo riguardo, l'apostolo delle genti ricorda Apollo, Lidia, Aquila, Priscilla, Filemone; egli stesso scrive ai Filippesi: «Prego anche te, compagno fedele, porgi aiuto a queste, che hanno combattuto con me per l'evangelo insieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i nomi dei quali sono nel libro della vita» (Fil 4, 3).
Del pari a tutti è noto che l'idea cristiana si propagò per le vie consolari non solo per lo zelo dei vescovi e dei sacerdoti, ma anche per l'opera dei magistrati civili, dei soldati e dei privati cittadini. Molte migliaia di credenti, di recente venuti alla fede, dei quali oggi si ignorano i nomi, animati dal desiderio ardentissimo di diffondere la nuova religione da essi abbracciata, cercarono di prepararle la strada, di modo che dopo circa cento anni il nome e le virtù cristiane avevano già raggiunto tutti i centri più importanti dell'impero romano.
San Giustino, Minucio Felice, Aristide, il console Acilio Glabrione, il patrizio Flavio Clemente, san Tarcisio e quasi innumerevoli altri santi e sante martiri, avendo consolidato e fecondato la chiesa primitiva con le proprie fatiche e col proprio sangue, possono in certo modo chiamarsi gli antesignani e i precursori dell'Azione cattolica. Ci piace qui riferire quella bellissima espressione dell'autore della Lettera a Diogneto, che sembra conservare un ammonimento anche per i nostri giorni: «I cristiani ... sono nella loro patria come inquilini; ... ogni terra straniera per loro è patria, e ogni patria per loro è straniera» (14).
Nel medioevo, con l'invasione dei barbari, sono prìncipi e principesse, oppure umili artigiani e forti popolane, che si consacrano per convertire i loro popoli alla religione di Gesù Cristo, per conformare ad essa i loro costumi e per difendere la religione e la patria nel momento del pericolo. Come ci tramanda la storia, accanto al Nostro immortale predecessore san Leone Magno, il quale coraggiosamente fermò Attila, che invadeva l'Italia, c'erano due consolari romani. A Parigi, mentre la città viene assediata dalle orde terribili degli Unni, una vergine, santa Genoveffa, che vive di continue preghiere e di aspra penitenza, con ammirabile carità si sacrifica tutta alla cura dei corpi e delle anime dei suoi concittadini. Teodolinda, regina dei Longobardi, prepara con zelo la via alla conversione della sua gente. In Spagna, il re Recaredo cerca di ricondurre il suo popolo dall'eresia ariana alla vera fede. In Francia, accanto ai grandi vescovi, come Remigio di Reims, Cesario di Arles, Gregorio di Tours, Eligio di Noyon e tanti altri celebri per la loro virtù e il loro zelo, vediamo in quei tempi anche regine insegnare la dottrina cristiana al popolo e agli ignoranti, nutrire, sollevare e confortare gli infermi, gli affamati e i miseri d'ogni specie; e, per citare qualche esempio, Clotilde attira e sollecita l'animo di Clodoveo verso la religione cattolica sì da condurlo a ricevere con entusiasmo il santo battesimo; Radegonda e Batilde si dedicano con somma carità all'assistenza degli ammalati e anche alla cura dei lebbrosi. In Inghilterra, la regina Berta accoglie sant'Agostino, apostolo di quella terra, e con diligenza dispone suo marito Etelberto ad accogliere la morale evangelica. Appena convertiti, gli anglosassoni nobili e plebei, uomini e donne, giovani e vecchi, come spinti da un impulso divino, costituiscono un'unione strettissima con la sede apostolica, fatta di pietà, di fedeltà e di obbedienza.
Uno spettacolo ugualmente meraviglioso ci viene offerto in Germania, quando san Bonifacio e i suoi collaboratori percorrono nei loro apostolici viaggi quelle terre, fecondandole generosamente con i loro sudori. Uomini e donne di quel popolo nobile e forte con generoso entusiasmo collaborano intensamente con i monaci, con i sacerdoti e con i vescovi, per diffondere sempre più estesamente la luce dell'evangelo in quelle regioni vastissime, e per promuovere sempre più la pratica della morale e della santità cristiana non senza ubertosi frutti di salvezza.
In ogni tempo, quindi, la chiesa cattolica non solo per lo zelo indefesso del clero, ma anche per la collaborazione del laicato chiamato in aiuto, ha potuto dare nuovi incrementi alla religione e condurre i popoli a una maggiore prosperità anche nel campo sociale. Tutti conoscono quanto in ciò operarono, in Germania santa Elisabetta Landgravia di Turingia, il re san Ferdinando nella Castiglia e infine san Luigi IX nella Francia; essi mediante la loro santità e la loro operosa attività esercitarono un salutare influsso in ogni ceto sociale, con benefiche iniziative, con la più vasta propagazione della fede, con la strenua difesa della chiesa e soprattutto facendosi esempio a tutti. Né è sconosciuto tutto il cumulo di meriti guadagnati dalle associazioni laiche nel medioevo. Esse comprendevano artigiani e operai d'ambo i sessi che, pur rimanendo nel mondo, miravano a una vita conforme all'ideale altissimo della perfezione evangelica, cercando di tradurlo in pratica essi stessi, e col clero, contribuendo all'elevazione spirituale di tutti gli altri.
Ebbene, le condizioni della chiesa primitiva si riflettono ancora oggi in molte parti in terra di missione; o per lo meno quei popoli si trovano a dover far fronte alle medesime necessità cui dovevano provvedere i cristiani nei secoli che seguirono. Perciò è assolutamente necessario che nelle missioni i laici, affluendo numerosissimi nelle file dell'Azione cattolica, collaborino con generosità, diligenza e infaticabile operosità con l'apostolato gerarchico del clero. Certamente l'opera dei catechisti è necessaria, e ad essi desideriamo dare la meritata lode ma non meno necessaria è l'azione gratuita prestata con diligenza da quei cristiani che, animati unicamente dalla carità divina, si offrono ad aiutare i sacerdoti nel loro ministero.
Perciò raccomandiamo vivamente che per quanto è possibile si stabiliscano dappertutto associazioni cattoliche di uomini e di donne, associazioni di studenti, di operai, di artigiani, ginniche e sportive, nonché tutti quegli altri sodalizi e pie unioni che possono chiamarsi quasi forze ausiliarie dei missionari. Nel costituirle e nel promuoverle, però, si tenga conto e stima dell'onestà, della virtù e dello zelo dei loro membri più che del numero.
È da notare inoltre che i missionaria per guadagnare la fiducia dei genitori, non hanno miglior mezzo che quello di aver cura diligentissima dei loro figli. Questi, crescendo nello spirito e nella pratica cristiana della vita saranno la forza, il decoro e l'ornamento non solo della propria famiglia, ma pure di tutta la comunità; riusciranno anzi spesso a riaccendere felicemente il primitivo fervore di qualche cristianità, se per caso esso si sia affievolito.
Sebbene poi, come tutti sanno, l'attività dell'Azione cattolica debba adoperare le sue forze specialmente nel campo dell'apostolato, ciò non toglie che gli stessi soggetti possano far parte anche di associazioni che hanno lo scopo di conformare la vita sociale e politica ai principi e alle norme dell'evangelo; anzi a ciò sono chiamati dai loro diritti e dai loro doveri non solo di cittadini ma anche di cattolici.
8. Scuole e stampa
Inoltre, poiché i giovani, soprattutto coloro che si dedicano allo studio delle lettere, delle scienze e delle arti, saranno un giorno la parte dirigente della generazione futura e della società, è facile comprendere la grandissima cura che si deve avere nel moltiplicare le scuole e i collegi. Perciò con animo paterno raccomandiamo ai superiori delle missioni di non risparmiare mezzi, cure e fatiche a questo scopo.
Le scuole infatti offrono ai missionari il grande vantaggio di stabilire utili contatti con tutto il mondo pagano, e soprattutto di attrarre più facilmente la gioventù, malleabile come cera, a comprendere, stimare e abbracciare la dottrina cattolica. Questi giovani in tal maniera educati saranno i futuri reggitori della cosa pubblica, e la massa del popolo li seguirà come guide e maestri. L'apostolo delle genti predicò l'altissima sapienza dell'evangelo anche davanti ai più dotti, come quando nell'areopàgo di Atene parlò agli astanti del Dio ignoto. E se anche in questa maniera non saranno frequenti le conversioni alla pratica della morale del divin Redentore, molti tuttavia saranno soavemente commossi nel considerare la celestiale bellezza di questa religione e la carità dei suoi seguaci.
Le scuole poi e i collegi sono utilissimi per confutare tutti quegli errori che vengono diffusi ogni giorno più, soprattutto per opera degli acattolici e dei comunisti, e vengono istillati più o meno apertamente specialmente nelle anime giovanili.
Non meno utile è la produzione e la diffusione della buona stampa. Non crediamo tuttavia necessario soffermarci molto intorno a questo argomento, poiché a tutti è noto quanto sia grande l'influenza della stampa quotidiana e periodica, sia per mettere convenientemente in luce la verità e inculcare negli animi la virtù cristiana, sia per scoprire gli errori che si presentano sotto mentite apparenze di verità, sia ancora per confutare quelle false esposizioni che contrastano con la religione ovvero propongono inopportunamente, con grave danno delle anime, accese dispute su argomenti sociali. Perciò caldamente lodiamo i pastori di anime che si preoccupano di diffondere il più largamente possibile tali scritti, ben composti e bene stampati. In questo campo molto si è operato, molto però resta ancora da fare.
9. Assistenza sanitaria
Ci piace ancora raccomandare qui assai vivamente le iniziative e le opere sanitarie e assistenziali d'ogni genere, quali gli ospedali, i lebbrosari, i dispensari, i ricoveri dei vecchi e i luoghi destinati alle opere di assistenza per la maternità e infanzia e per tutti i bisognosi di qualsiasi aiuto. Queste opere Ci sembrano i fiori più belli del giardino della carità missionaria, e richiamano alla mente lo stesso divin Redentore che «passò beneficando e sanando tutti» (At 10, 38).
Senza dubbio tutte queste opere insigni di carità hanno un'efficacia somma per preparare gli animi degli infedeli e disporli a ricevere la fede cristiana, e a praticarne gli insegnamenti; Gesù infatti disse agli apostoli: «Entrando in una città, se vi accolgono ... guarite gli infermi che ci sono, e dite loro: Sta per venire a voi il regno di Dio» (Lc 10, 8-9).
È necessario tuttavia che i missionari e le suore, che si sentono chiamati a prestare un giorno efficacemente questi soccorsi, si procurino, mentre sono ancora in patria, quella preparazione tecnica e culturale richiesta oggi in questi campi. Sappiamo che non mancano suore diplomate, le quali meritano una particolare lode per essersi applicate allo studio specifico di orribili morbi, quali la lebbra, e per averne trovato convenienti rimedi. Ad esse, come pure a tutti quei missionari che prestano generosamente la loro opera nei lebbrosari, vadano la Nostra paterna benedizione e la Nostra profonda ammirazione per la loro sublime carità.
Per l'esercizio poi della medicina e della chirurgia, gioverà cercare anche ausiliari laici, che non solo siano provvisti dei necessari diplomi e disposti a lasciare la patria per aiutare i missionari, ma che per la loro condotta e la capacità professionale corrispondano al loro ufficio.
10. Assistenza sociale
Passiamo ora a un'altra questione non meno grave e importante: vogliamo cioè precisare alcune norme che riguardano l'ordinamento cristiano della società secondo i principi della giustizia e della carità. Mentre l'ideologia comunista, oggi dappertutto diffusa, facilmente inganna l'animo semplice e incolto del popolo, a Noi sembra di udire le parole di Gesù: «Mi fa compassione questo popolo» (Mc 8, 2). È assolutamente necessario mettere in pratica con somma diligenza e zelo i santi principi della sociologia insegnati dalla chiesa. Bisogna senz'altro preservare i popoli, o guarirli se ne fossero contaminati, da quelle perniciose dottrine che assegnano agli uomini come unico scopo di questa vita il godimento dei piaceri terreni e, affidando al potere arbitrario dello stato l'acquisto e l'uso d'ogni proprietà, deprimono talmente la dignità della persona umana da distruggerla quasi completamente. Occorre insomma inculcare a tutti in pubblico e in privato che noi siamo esuli in cammino verso una patria immortale, e siamo destinati a una vita eterna e a un'eterna felicità che, dietro la guida della verità e mettendo in pratica la virtù, dobbiamo un giorno conseguire. Solo Cristo è vindice della giustizia umana e consolatore dolcissimo degli inevitabili dolori della vita presente; egli solo ci mostra il porto della pace, della giustizia, del gaudio eterno, al quale tutti, redenti dal suo sangue, dobbiamo arrivare dopo questa vita terrena.
Però è dovere per tutti ridurre, lenire e alleviare per quanto è possibile le angustie, le miserie e i dolori dei fratelli anche in questa vita terrena.
La carità potrà portare certamente un qualche rimedio a molte ingiustizie sociali, ma non basta; anzitutto bisogna che fiorisca, domini e sia realmente applicata la virtù della giustizia.
A questo proposito, Ci piace riportare le parole da Noi pronunciate davanti al sacro collegio cardinalizio e ai vescovi e prelati nel messaggio natalizio del 1942: «... La chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com'è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la chiesa non può ignorare o non vedere, che l'operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta spesso contro qualcosa, che, lungi dall'essere conforme alla natura, contrasta con l'ordine di Dio e con lo scopo, che egli ha assegnato per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose le vie che si seguirono, chi, e soprattutto quale sacerdote o cristiano potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e che, nella condizione comune, invoca da un Dio giusto giustizia e spirito di fratellanza? Ciò sarebbe un silenzio colpevole e ingiustificabile davanti a Dio, e contrario al senso illuminato dell'apostolo, il quale, come inculca che bisogna essere risoluti contro l'errore, sa pure che si vuol essere pieni di riguardo verso gli erranti e con l'animo aperto per intenderne aspirazioni, speranze e motivi... La dignità della persona umana esige dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all'uso dei beni della terra; a cui risponde l'obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata, possibilmente a tutti. Le norme giuridiche positive, che regolano la proprietà privata, possono mutare e accordare un uso più o meno circoscritto; ma se vogliono contribuire alla pacificazione della comunità, dovranno impedire che l'operaio, che è o sarà padre di famiglia, venga condannato a una dipendenza e servitù economica, inconciliabile con i suoi diritti di persona.
Che questa servitù derivi dal prepotere del capitale privato o dal potere dello stato, l'effetto non muta; anzi, sotto la pressione di uno stato che tutto domina e regola l'intera vita pubblica e privata, penetrando fin nel campo delle concezioni e persuasioni e della coscienza, questa mancanza di libertà può avere conseguenze ancora più gravose, come l'esperienza manifesta e testimonia» (15).
Sta ora a voi, venerabili fratelli, che vi affaticate nei territori di missione, far di tutto perché questi principi e queste norme vengano tradotti nella pratica. Tenendo conto delle varie circostanze locali, voi, consultandovi nelle conferenze episcopali, nei sinodi e in altre riunioni, siate solleciti di dar vita secondo le vostre possibilità a tutte quelle associazioni, unioni e istituzioni di carattere sociale ed economico che venissero richieste dai tempi e dalla particolare indole dei popoli a voi affidati. Ciò, senza dubbio, è una esigenza del vostro pastorale ministero, affinché il vostro gregge, travolto da nuove concezioni che si presentano sotto le apparenze della giustizia e della verità, e sospinto da cattivi impulsi, non venga traviato dal retto cammino. I propagatori della fede che vi accompagnano nel vostro illuminato lavoro devono essere modelli e maestri a tutti anche nell'azione sociale: «I figli di questo secolo sono più prudenti di quelli della luce» (Lc 16, 8). Sarà opportuno però che i missionari si servano, per quanto è possibile, dell'opera dei laici cattolici particolarmente onesti e competenti, per intraprendere e promuovere iniziative di tal genere.
11. Contro l'esclusivismo territoriale e giurisdizionale
Nei secoli passati il campo vastissimo dell'apostolato missionario non era confinato entro particolari circoscrizioni ecclesiastiche, né veniva posto sotto le cure dei vari ordini o congregazioni religiose e del crescente clero indigeno. E così avviene per lo più tuttora, come a tutti è noto; ma talvolta accade pure che alcune regioni vengano affidate ai religiosi di una particolare provincia del medesimo istituto. Vediamo senza dubbio l'utilità di tutto ciò, poiché in questa maniera l'organizzazione missionaria acquista più ordine e agilità. Può accadere, tuttavia, che da questo modo di procedere sorgano inconvenienti e danni non lievi, ai quali, per quanto è possibile, è opportuno rimediare. Già i Nostri predecessori si occuparono di questo argomento nelle lettere citate (16) e in tal materia stabilirono norme sapientissime, che Ci piace ripetere e confermare, paternamente esortandovi affinché «per l'esemplare zelo che vi anima, per la religione e la salvezza delle anime», accogliate «docilmente e con cuore disposto a pronta ubbidienza un'ultima e importantissima raccomandazione. I territori della Santa Sede affidati alla cura vostra operosa perché voi li rechiate alla legge di Cristo, sono per lo più di grande estensione. Può dunque accadere che il numero dei missionari appartenenti al vostro particolare istituto sia di gran lunga inferiore al bisogno. In tal caso, come nelle diocesi bene stabilite sogliono venire in aiuto ai vescovi operai appartenenti a diverse famiglie religiose, o di sacerdoti o di laici, suore di diverse congregazioni, così voi, trattandosi della propagazione della fede, dell'educazione della gioventù indigena e di altre simili imprese, non dovete esitare a invitare e accogliere come compagni di lavoro religiosi e missionari, benché di altro istituto, siano essi sacerdoti, siano membri di congregazioni laicali. Sta bene che gli ordini e le congregazioni religiose si glorino e della missione tra i pagani loro affidata e delle conquiste finora procurate al regno di Cristo; ma si ricordino, che i territori delle missioni non sono da essi posseduti in forza di un diritto esclusivo e perpetuo, ma che li posseggono a beneplacito della Santa Sede, la quale ha perciò il diritto e il dovere di provvedere che vengano rettamente e pienamente coltivati. Né il romano pontefice adempirebbe tale dovere se si restringesse unicamente a distribuire territori di maggiore o minore estensione a questo o a quell'altro istituto; ma, ciò che più conta, sempre e con ogni diligenza deve procurare che questi istituti inviino nelle regioni loro affidate tanti e soprattutto tali missionari, che possano bastare a un lavoro efficace per illuminarle bene in tutta la loro ampiezza con la luce della verità» (17).
12. Rispetto per ciò che c'è di buono nella civiltà e nei costumi dei diversi popoli
Vi è un altro punto ancora che è Nostro vivo desiderio di presentare a tutti nella luce più chiara. È stata norma sapientissima, costantemente seguita dalla chiesa, dalle origini ai nostri giorni, che l'evangelo non dovesse distruggere né soffocare ciò che vi fosse di buono, di onesto e di bello nell'indole e nei costumi dei vari popoli che lo avevano abbracciato. La chiesa nel condurre i popoli a una civiltà più elevata sotto l'influsso della religione cristiana, non si comporta come chi senza alcuna distinzione taglia, abbatte e distrugge una selva lussureggiante, ma piuttosto come chi innesta nuovi sani virgulti sui vecchi ceppi, affinché possano a loro tempo produrre e maturare frutti più squisiti e delicati.
La natura umana, sebbene viziata dalla tara ereditaria del triste peccato di Adamo, conserva ancora un fondo naturalmente cristiano (18), che illuminato dalla luce divina e plasmato dalla grazia può essere elevato ad atti di virtù vera, e un giorno alla vita eterna.
Perciò la chiesa cattolica non disprezzò o rigettò completamente il pensiero pagano, ma piuttosto, dopo averlo purificato da ogni scoria di errore, lo completò e lo perfezionò con la sapienza cristiana. Così pure accolse benevolmente il progresso nel campo delle scienze e delle arti, che in alcuni luoghi raggiunse altezze veramente sublimi, e lo perfezionò diligentemente innalzandolo a fastigi di bellezza forse prima mai raggiunti. E neppure soppresse del tutto i costumi e le antiche istituzioni dei popoli, ma in qualche maniera li consacrò; le stesse feste pagane, trasformate nel significato e nel rito, piegò a celebrare le memorie dei martiri e i divini misteri. A questo riguardo molto egregiamente si esprime san Basilio: «Come i tintori preparano prima con cura ciò che si deve tingere, e poi lo colorano di porpora o di qualche altra tinta, nella stessa maniera anche noi, se vogliamo conservare per sempre indelebile la gloria dell'onestà, prima iniziati allo studio di queste dottrine profane, apprenderemo poi i segreti delle scienze sacre: e abituati a contemplare il sole riflesso nell'acqua, alzeremo in tal maniera lo sguardo al sole raggiante. ... Certamente, com'è essenziale per l'albero produrre frutti a suo tempo, e tuttavia anche le foglie che si muovono intorno ai rami gli offrono un qualche ornamento; così anche per l'anima il frutto essenziale è la verità, ma non si deve disprezzare la veste della dottrina profana che rassomiglia a quelle foglie che dànno al frutto ombra e aspetto piacevole. Perciò si dice che anche il grande Mosè, celeberrimo sopra tutti per la sua sapienza, si esercitò in tutte le scienze degli egiziani, prima d'innalzarsi alla contemplazione di "Colui che è". Così pure anche nei tempi posteriori si dice che il saggio Daniele fosse istruito in Babilonia nella sapienza dei Caldei e poi si dedicasse allo studio delle scienze sacre» (19).
Noi stessi nella prima enciclica Summi pontificatus scrivevamo: «Innumerevoli ricerche e indagini di pionieri, compiute con sacrificio, dedizione e amore dai missionari di ogni tempo, si sono proposte di agevolare l'intima comprensione e il rispetto per le civiltà più svariate, e di intenderne i valori spirituali fecondi per una viva e vitale predicazione dell'evangelo di Cristo. Tutto ciò che in tali usi e costumi non è indissolubilmente legato con errori religiosi troverà sempre benevolo esame e, quando riesce possibile, verrà tutelato e promosso» (20).
E nel discorso che abbiamo rivolto ai dirigenti delle Pontificie opere missionarie nell'anno 1944, questo tra l'altro dicevamo: «Il missionario è apostolo di Gesù Cristo. Egli non ha l'ufficio di trapiantare la civiltà specificamente europea nelle terre di missione, bensì di rendere quei popoli, che vantano talora culture millenarie, pronti e atti ad accogliere e ad assimilare gli elementi di vita e di costumanza cristiana, che facilmente e naturalmente si accordano con ogni sana civiltà e conferiscono a questa la piena capacità e forza di assicurare e garantire la dignità e la felicità umana. I cattolici indigeni debbono essere veramente membri della famiglia di Dio e cittadini del suo regno (cf. Ef 2, 19), senza però cessare di rimanere cittadini anche della loro patria terrena» (21).
13. Esposizione missionaria degli anni santi 1925 e 1950
Il Nostro predecessore Pio XI, di felice memoria, volle che nell'anno santo 1925 fosse allestita una grandiosa Mostra missionaria di cui egli stesso così delineò l'esito favorevolissimo: «Un divino successo, quello di una nuova e pratica dimostrazione dell'universalità, dell'unità del vivente organismo della chiesa di Dio... L'esposizione è stata e rimane in realtà come un grande, immenso libro» (22).
Noi pure, come sapete, spinti dal proposito di rendere note a quanti più possibile le alte benemerenze missionarie, soprattutto quelle che riguardano in modo particolare il campo della cultura, abbiamo voluto che nel decorso anno santo venisse esposta pubblicamente in una mostra, non lungi dal Vaticano, una ricca documentazione che illustrasse chiaramente il rinnovamento cristiano dell'arte indigena, operato dai missionari sia presso i popoli di antica civiltà, sia in quelli più primitivi.
E la mostra rivelò il valido contributo apportato dagli araldi dell'evangelo al progresso delle arti e degli studi universitari in questo campo; dimostrò ancora come la chiesa non ostacola, ma rispetta e perfeziona al massimo il genio di ciascun popolo.
Dobbiamo alla bontà somma di Dio, se tale avvenimento fu accolto da tutti con singolare favore, costituendo esso un'aperta testimonianza del rinnovato vigore e dei maggiori sviluppi dell'attività missionaria. Per opera dei missionari infatti il sentimento cristiano in mezzo a popoli infedeli, tra loro lontani e diversi per costumi, ha potuto tanto profondamente penetrare negli animi, da dare sì chiare testimonianze di rifioritura di belle arti. Dalla mostra è apparso ancora una volta come solo la fede sinceramente sentita e vissuta sappia innalzare il genio artistico a quelle creazioni, che sono senza dubbio un'ininterrotta tradizione della chiesa cattolica e un magnifico ornamento offerto al culto cristiano.
14. L'Unione missionaria del clero e le Pontificie opere di cooperazione missionaria
Ben ricordate come l'enciclica Rerum Ecclesiae raccomandi vivamente l'Unione missionaria del clero, che mobilita sacerdoti e chierici, sia secolari sia regolari, a unire le forze per aiutare con ogni mezzo la causa missionaria. Noi che, come abbiamo detto sopra, Ci siamo vivamente rallegrati dei notevoli progressi di questa Unione, molto desideriamo che essa si diffonda sempre più e propaghi il senso e il dovere missionario tra i sacerdoti e tra i fedeli affidati alle loro cure. Questa Unione è come una sorgente d'acqua che irriga i campi fioriti delle altre Opere pontificie: della Propagazione della fede, di San Pietro apostolo per il clero indigeno e della Santa Infanzia. Non occorre spendere parole per illustrare l'importanza, la necessità e i meriti di queste Opere, a cui vennero concesse numerose e ricchissime indulgenze dai Nostri predecessori. Noi amiamo molto che, specialmente nella giornata missionaria, si raccolga l'obolo dei fedeli; ma desideriamo ancor più che essi preghino Dio onnipotente, che aiutino i futuri missionari e promuovano il più possibile, con la loro iscrizione, le pontificie opere da noi ricordate. Vi è noto, o venerabili fratelli, che recentemente abbiamo istituito una festa da celebrarsi in modo particolare dai fanciulli, per dare incremento con la preghiera e con le offerte all'Opera della Santa Infanzia. Possano così abituarsi questi nostri figlioletti a pregare vivamente Dio per la salvezza degli infedeli, e voglia il Cielo che possa germogliare il seme dell'apostolato missionario felicemente ricevuto nelle loro anime ancora profumate di innocenza.
Ci piace inoltre segnalare tante e sì belle iniziative che allo stesso fine con zelo così intenso promuovono gli istituti religiosi, per sostenere in ogni maniera le Pontificie opere missionarie; e ugualmente ci piace esprimere la Nostra paterna compiacenza per tutti quei circoli femminili che utilmente si adoperano per confezionare biancheria e vesti liturgiche. Infine, solennemente affermiamo a tutti i ministri della chiesa, a Noi dilettissimi, che quanto si compie dal popolo cristiano per procurare la salvezza degli infedeli ridonda in frutti preziosissimi di più viva fede, e quanto più cresce l'amore per le missioni, tanto più aumenta il fervore della vita cristiana.
15. Appello a tutto il mondo cattolico
Infine non vogliamo porre termine a questa enciclica senza rivolgere con affetto il Nostro pensiero al clero e a tutti i fedeli e manifestare loro anzitutto la Nostra vivissima gratitudine. Anche quest'anno infatti gli aiuti per le missioni hanno segnato un sensibile aumento. Certo, non c'è carità più utile di questa, destinata a estendere il regno di Dio e a procurare la salvezza di tante anime infedeli, poiché il Signore «comandò a ciascuno.., di aver pensiero del suo prossimo» (Eccli 17, 12).
A questo proposito crediamo ora opportuno ripetere con rinnovata ansia e insistenza quanto già abbiamo detto nella lettera indirizzata al Nostro diletto figlio il signor cardinale Pietro Fumasoni Biondi, prefetto della S. C. «De propaganda fide» il 9 agosto 1950: «I fedeli tutti perseverino nel proposito di sostenere le missioni, moltiplichino le loro iniziative a vantaggio di queste, innalzino incessantemente a Dio fervorose preghiere, prestino aiuto a quanti sono chiamati all'apostolato missionario, procurando loro i necessari mezzi secondo le possibilità.
La chiesa, infatti, è il corpo mistico di Cristo, nel quale "se un membro patisce, patiscono insieme tutte le membra" (1 Cor 12, 26). Perciò, essendo oggi molte di tali membra tormentate da acerbe sofferenze e ferite, tutti i cristiani sono vincolati dal sacro dovere di unirsi a loro con solidarietà e simpatia. In alcune terre di missione il furore della guerra ha devastato e distrutto in una maniera orribile non poche chiese e residenze, scuole e ospedali dei missionari. Tutto il mondo cattolico, che certamente è animato da speciale sollecitudine e carità verso le missioni, darà generosamente gli aiuti atti a riparare tali danni e a ricostruire tanti edifici» (23).
Vi è ben noto, venerabili fratelli, che oggi quasi tutta l'umanità va rapidamente dividendosi in due schiere opposte, con Cristo o contro Cristo. Il genere umano al presente attraversa una formidabile crisi che si risolverà in salvezza con Cristo o in funestissime rovine. L'alacre opera dei predicatori dell'evangelo s'adopera, sì, a diffondere il regno di Cristo; ma vi sono altri banditori, che predicano il materialismo e, rigettando ogni speranza di un'eternità beata, cercano di ridurre gli uomini a una condizione di vita quanto mai indegna.
A più forte ragione quindi la chiesa cattolica, madre amorosissima di tutti gli uomini, chiama a raccolta tutti i suoi figli sparsi in ogni parte del mondo, perché cerchino secondo le possibilità di collaborare con gli araldi dell'evangelo, per mezzo delle elemosine, della preghiera e dell'aiuto prestato alle vocazioni missionarie. Maternamente inoltre li esorta a rivestire viscere di misericordia (cf. Col 3, 12), a prendere parte al lavoro missionario col desiderio, se non possono con l'opera, e finalmente a non lasciar inappagato il voto del benignissimo cuore di Gesù, che «venne ... a cercare e a salvare ciò che era stato perduto» (Lc 19, 10). Se riusciranno in qualche maniera ad accendere o a ridestare la fiamma della fede anche in una sola famiglia, sappiano essi che ivi sarà creato un moto di grazia che andrà sempre più allargandosi nei secoli; se contribuiranno alla formazione anche di un solo sacerdote, essi parteciperanno abbondantissimamente ai frutti di tanti suoi sacrifici eucaristici, del suo sacro ministero, della sua santità. Tutti i fedeli infatti compongono un'unica immensa famiglia, i membri della quale partecipano scambievolmente ai beni della chiesa militante, purgante e trionfante. Niente perciò sembra più adatto del dogma della comunione dei santi per ben inculcare nella mente e nel cuore del popolo cristiano l'utilità e l'importanza delle missioni.
Con questi voti paterni e con queste opportune direttive, confidiamo che il venticinquesimo anniversario della pubblicazione dell'enciclica Rerum Ecclesiae sia per tutti i cattolici il punto di partenza per nuovi e sempre più importanti progressi nel campo missionario.
Frattanto, animati da questa dolcissima speranza, a voi singolarmente, o venerabili fratelli, al clero, a tutti i fedeli, a quelli specialmente che o in patria con le loro preghiere e offerte, o nei paesi missionari con la loro attività collaborano a questa santissima causa, con effusione di cuore impartiamo l'apostolica benedizione, in auspicio dei celesti favori e quale segno della Nostra paterna benevolenza.
Roma, presso San Pietro, il 2 giugno, festa di sant'Eugenio I, nell'anno 1951, XIII del Nostro pontificato.
PIUS XII
(1) A.A.S. 43 (1951), pp. 497-528.
Sull'incremento delle missioni nel 25° anniv. della «Rerum ecclesiae». Un bilancio: progressi; persecuzioni; lavoro da compiere. Il missionario; lo scopo delle missioni. Il clero indigeno. L'Azione cattolica nelle missioni. Scuola e stampa.
Assistenza sanitaria e sociale. Contro l'esclusivismo territoriale e giurisdizionale. Rispetto per ciò che c'è di buono nella civiltà e nei costumi dei vari popoli. Le esposizioni missionarie degli anni santi 1925 e 1950. L'Unione Missionaria del clero e le Pontificie Opere di cooperazione missionaria. Appello a tutto il mondo cattolico.
(2) A.A.S. 18 (1926), p. 65s; EE 5/164ss.
(5) Epist. Praeses Consilii: A.A.S. 43 (1951), pp. 88-89.
(6) S. CYPRIANUS, Epist. 56: PL 4, 351A.
(7) Epist. Perlibenti equidem: A.A.S 42 (1950), p. 727.
(8) A.A.S. 11 (1919), p. 440s; EE 4/app.
(9) A.A.S. 18 (1926), p. 65s; EE 5/164ss.
(10) A.A.S. 36 (1944), p. 210.
(11) A.A.S. 36 (1944), p. 208.
(12) A.A.S. 18 (1926), p. 76: EE 5/178.
(13) A.A.S. 18(1926), p. 75: EE 5/176.
(14) Epist. ad Diognetum, V, 5: ed. FUNK, I, 399.
(15) A.A.S. 35 (1943), pp. 16-17: EE 6/1692-1694.
(16) Cf. A.A.S. 11 (1919), pp. 444, et AAS 18(1926), pp. 81-82: EE 4,app. et 5/186.
(17) A.A.S. 18 (1926), pp. 81-82: EE 5/186.
(18) Cf. TERTULLIANUS, Apologeticum, c. XVII: PL 1, 377A.
(19) S. BASILIUS, Ad adolescentes, 2: PG 31, 567A.
(20) A.A.S. 31 (1939), p. 429.
(21) A.A.S. 36 (1944), p. 210.
(22) Allocutio 10 ianuarii 1926.
(23) A.A.S. 42 (1950), pp. 727-728.
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