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PIO XII

LETTERA ENCICLICA

ECCLESIAE FASTOS(1)

XII CENTENARIO DELLA MORTE 
DI S. BONIFACIO

 

È sommamente conveniente e opportuno non soltanto rivolgere la mente ai fasti della chiesa, ma anche commemorarli con pubblici festeggiamenti, poiché di qui facilmente si vede come nessun secolo mai nella società fondata da Gesù Cristo fu sterile di santità; e inoltre, quando si propongono appositamente all'attenzione di ognuno chiari esempi di virtù che dagli stessi fasti rifulgono, l'animo s'infiamma e vivamente si accende a imitarli secondo le proprie forze.

Ci ha rallegrato pertanto la notizia a Noi riferita che, soprattutto in quelle nazioni che per motivi speciali si sentono grate verso san Bonifacio, chiaro decoro e gloria dell'ordine benedettino, si intende commemorare quest'anno con grande giubilo e con pubbliche preghiere il dodicesimo centenario di quell'avvenimento per cui egli, subìto il martirio, volò alla patria celeste.

Ma se le vostre nazioni hanno motivo di venerare quest'uomo santissimo e le sue preclare gesta in questa fausta ricorrenza, molto più ne ha motivo questa sede apostolica, che lo vide tre volte, dopo lungo e aspro cammino, entrare in Roma in pio pellegrinaggio, inginocchiarsi davanti al sepolcro del principe degli apostoli per venerarlo e chiedere ai Nostri predecessori con animo di figlio devotissimo il mandato per potere, come fortemente desiderava, portare a genti lontane e barbare il Nome del divino Redentore e i princìpi della cultura e della civiltà cristiana.

Nato di stirpe anglosassone, fin dai primi anni sentì forte l'invito dall'alto che lo spingeva ad abbandonare l'avito patrimonio e i piaceri del mondo e a chiudersi nel sicuro recinto del chiostro per poter più facilmente attendere alla contemplazione e conformarsi interamente ai precetti evangelici. Ivi fece grandi progressi non solo nello studio delle umane lettere e delle scienze sacre, ma ancora nella cristiana virtù, tanto da venir in seguito eletto a capo del suo cenobio. Tuttavia, dotato com'era di animo fatto per maggiori e più grandi cose, già da tempo aveva in animo di portarsi in terra straniera e tra genti barbare per rischiararle con la luce dell'evangelo e informarle ai cristiani comandamenti. Nulla lo tratteneva, nulla lo impediva: non il distacco dalla patria carissima, non i lunghi e difficili viaggi e neppure i pericoli d'ogni genere che potevano venirgli da parte di popolazioni sconosciute. Nel suo animo apostolico c'era qualcosa di così appassionato, di così veemente, di così forte da non poter in alcun modo essere trattenuto da considerazioni e da vincoli umani.

 

I

È senza dubbio cosa ammirevole che la Gran Bretagna, la quale, circa cent'anni prima, dal Nostro predecessore d'immortale memoria Gregorio Magno - che vi aveva inviato un validissimo stuolo di figli di san Benedetto guidati da sant'Agostino - era stata richiamata alla religione cristiana dopo tante vicende; è, diciamo, cosa ammirevole che a quel tempo mostrasse già una fede così solida e fiorisse già di così accesa carità da inviare spontaneamente alle altre genti, come fiume in piena che irrighi le terre circostanti e le fecondi, non pochi uomini eccellenti di cui era fornita, i quali le guadagnassero a Gesù Cristo e le unissero con saldi legami al suo vicario in terra; ciò avvenne quasi come prova di gratitudine per i benefici da essa ricevuti della religione cattolica, della civiltà, della gentilezza cristiana.

Fra costoro primeggiava senza dubbio, per zelo missionario e per fortezza d'animo congiunta a dolcezza di costumi, Winfrido, che fu poi chiamato Bonifacio dal romano pontefice san Gregorio II. Egli con uno stuolo di compagni, piccolo per numero ma grande per virtù, si accinse all'impresa di evangelizzazione a cui già da tempo pensava; perciò salpò dai lidi di Bretagna e sbarcò sulla spiaggia della Frisia. Ma siccome colui che dominava tirannicamente in quella regione era aspro nemico della religione cristiana, gli sforzi di san Bonifacio e dei suoi compagni furono vani. Dopo inutili fatiche e vani tentativi, con i suoi compagni fu costretto a tornare in patria. 

Ma l'animo suo non si scoraggiò, e dopo non lungo intervallo volle venire a Roma, presentarsi alla sede apostolica e chiedere umilmente allo stesso vicario di Gesù Cristo il sacro mandato, per potere con esso più facilmente, con l'aiuto della divina grazia, raggiungere la difficile meta che era al colmo del suo desiderio. E così dopo che «ebbe messo piede felicemente sul soglio del beato Pietro apostolo»(2) ed ebbe venerato con somma pietà il sepolcro del principe degli apostoli, supplicò di essere ammesso alla presenza del predecessore Nostro di s.m. Gregorio II.

Il pontefice lo accolse volentieri ed egli gli «narrò per esteso tutte le circostanze del suo viaggio e della sua venuta e gli confidò ansiosamente l'angoscioso desiderio e le lunghe fatiche. Subito il santo papa con ilare volto e sguardo gioioso lo fissò»,(3) gli fece animo, lo incitò a intraprendere con fiducia questa lodevole opera e a tale fine lo munì di lettere apostoliche e di apostolica autorità.

Il mandato ricevuto dal vicario di Gesù Cristo sembrò conciliargli la grazia e gli aiuti divini; da essi confortato, senza lasciarsi impressionare da difficoltà di uomini e di cose, poté con migliori auspici e più abbondanti frutti incominciare e continuare l'impresa da tanto tempo desiderata. L'apostolico agricoltore percorse varie regioni della Germania e della Frisia: dove non vi era nessuna traccia della religione cristiana, ma costumi barbari, selvaggi e feroci; ivi sparse con larga mano il seme dell'evangelo e lo fecondò con le sue assidue fatiche e con il suo sudore; dove invece le comunità cristiane giacevano abbandonate e misere nell'inerzia, perché prive del legittimo pastore, o perché venivano allontanate dalla fede genuina e dai retti costumi da ministri del culto corrotti e ignoranti, ivi egli fu riformatore prudente e inflessibile della vita privata e pubblica, solerte operaio, instancabile e zelantissimo propulsore e restauratore di ogni virtù.

I felici risultati di Bonifacio furono riferiti al medesimo Nostro predecessore, che lo chiamò al soglio apostolico e a lui, benché restìo per umiltà, «dichiarò che voleva imporgli la dignità episcopale, perché così potesse con maggiore fermezza correggere e riportare sulla via della verità gli erranti, si sentisse sostenuto dalla maggiore autorità della dignità apostolica e fosse tanto più accetto a tutti nell'ufficio della predicazione quanto più appariva che per questo motivo era stato ordinato dall'apostolico presule».(4

In tal modo consacrato «vescovo regionale» dallo stesso pontefice massimo, ritorna alle immense regioni a lui affidate, dove con la nuova dignità e autorità riprende le fatiche apostoliche con più vivo impegno.

Come fu assai caro a questo pontefice per lo splendore della sua virtù e per il vivissimo zelo di dilatare il regno di Cristo, parimenti lo fu ai suoi successori; e cioè a san Gregorio III, che per i suoi meriti lo nominò arcivescovo e lo onorò del sacro pallio, dandogli la facoltà di costituire legittimamente e riformare la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni e di consacrare nuovi vescovi «per illuminare la gente germanica»;(5) a san Zaccaria, che con affettuosissima lettera confermò il suo ufficio e ne tessé ampia lode;(6) e infine a Stefano III, al quale appena eletto egli, ormai vicino al termine di questa vita mortale, scrisse una lettera piena di devoto ossequio.(7

Bonifacio, avvalendosi dell'autorità e della benevolenza di questi papi, per tutto il tempo del suo ufficio, con zelo sempre più ardente percorse le immense regioni ancora sommerse nelle tenebre dell'errore, le rischiarò con la luce della verità evangelica e fece sorgere per esse con la sua opera instancabile una nuova èra di cristiana civiltà. La Frisia, l'Alsazia, l'Austrasia, la Turingia, la Franconia, l'Assia, la Baviera lo ebbero instancabile seminatore della parola divina e padre di quella nuova vita che nasce da Gesù Cristo e si alimenta della sua grazia. Desiderava vivamente giungere fino a quella «antica Sassonia»(8) da cui riteneva provenissero i suoi avi; ma non poté condurre a lieto fine questi suoi propositi.

Per poter intraprendere, continuare e condurre a termine quest'opera immensa, supplicò e chiamò a sé nuovi compagni di fatica e anche compagne (cioè monache, fra le quali primeggia per perfezione di vita evangelica Lioba) dai cenobi benedettini della sua patria, allora fiorenti per dottrina, fede e carità; essi lo raggiunsero ben volentieri e gli prestarono preziosissimo aiuto. E non mancarono coloro che, nelle stesse terre da lui percorse, dopo che ebbero ricevuto il lume dell'evangelo, abbracciarono con così viva ed energica volontà la nuova religione e vi aderirono così intensamente, da impegnarsi a propagarla secondo le loro forze fra tutti quelli che potevano. Poiché dunque, come dicemmo, munito dell'autorità dei romani pontefici «san Bonifacio incominciò dappertutto, quale nuovo archimandrita, a seminare divine piantagioni e ad estirpare quelle diaboliche, a edificare cenobi e chiese, a preporre a quelle chiese pastori prudenti»,(9) a poco a poco le condizioni di quei paesi mutarono. Si potevano vedere moltitudini di uomini e di donne accorrere numerosi a sentir predicare quest'uomo apostolico; ascoltandolo restare commossi; abbandonare le vecchie superstizioni; infiammarsi d'amore verso il divin Redentore; conformare alla sua attraente dottrina i propri costumi aspri e corrotti; lavarsi nelle acque purificatrici del battesimo e cominciare una vita interamente nuova. Si costruirono cenobi di monaci e di monache, che divennero sede non solo di culto divino, ma anche di civiltà, di lettere, di scienze e di arti. Ivi, dopo aver diradate o interamente tagliate e abbattute selve impervie inesplorate e tenebrose, furono coltivati nuovi campi a comune vantaggio; si cominciarono a costruire qua e là nuove dimore umane, che nel corso dei secoli sarebbero poi divenute popolose città.

Il fiero popolo germanico, il quale, gelosissimo della sua libertà, a nessuno mai aveva voluto piegarsi e, senza neppur lasciarsi atterrire dalle potentissime armi dei romani, non si era mai stabilmente sottomesso al loro dominio, dopo essere stato evangelizzato da questi inermi messaggeri di Cristo, finalmente obbedendo ad essi, piega la fronte; viene imbevuto delle bellezze della verità della nuova dottrina, ne è intimamente scosso e attratto; e infine si avvera il felice evento: e cioè spontaneamente si sottomette al soavissimo giogo di Gesù Cristo.

Per opera di san Bonifacio si aprì senza dubbio per il popolo germanico una nuova èra: nuova non solo per quanto riguarda la religione cristiana, ma anche per una vita civile e insieme più umana. A buon diritto perciò questo popolo lo considera e lo onora come suo padre, e gli deve perenne gratitudine; inoltre deve conformarsi completamente al suo fulgido esempio di ogni virtù. «Non solo Dio onnipotente si può chiamare padre spirituale, ma anche tutti coloro che ci hanno condotti con la dottrina e con l'esempio alla conoscenza della verità, che ci hanno incitati alla fedeltà verso la religione. ... Proprio per questo motivo, il santo vescovo Bonifacio può dirsi padre di tutti gli abitanti della Germania, perché per primo li ha generati a Cristo con la parola della sua santa predicazione, li ha confermati con l'esempio, e infine ha dato per essi la vita, carità questa di cui non può darsi maggiore».(10

Fra i vari cenobi, che egli eresse in quelle regioni in numero non esiguo, viene senza dubbio in primo luogo quello di Fulda, apparso ai popoli come un faro che indica con la sua luce il cammino alle navi fra le onde del mare. In esso fu fondata come una nuova Città di Dio, nella quale innumerevoli monaci, succedendosi gli uni agli altri, si formavano con diligenza nelle discipline profane e sacre; nella preghiera e nella contemplazione si preparavano a combattere le future pacifiche battaglie; indi come sciami di api, dopo aver attinto dai libri sacri e profani il dolce miele della sapienza, partivano per le varie regioni a diffonderlo e a farne generosamente partecipi gli altri. Nessun ramo di scienza e di arte fu trascurato. Gli antichi codici furono accuratamente ricercati, fedelmente trascritti, artisticamente miniati e diligentemente commentati; perciò a buon diritto si può affermare che le scienze sacre e profane, che oggi fanno tanto onore al popolo germanico, vi trovarono la culla a cui esso guarda con venerazione.

Inoltre da queste dimore partirono innumerevoli monaci benedettini, i quali con la croce e con l'aratro, cioè con la preghiera e con il lavoro, portarono alle terre ancora avvolte nelle tenebre la luce del cristianesimo e della civiltà; per la loro lunga e instancabile opera selve immense, già popolate di bestie feroci e quasi inaccessibili all'uomo, divennero campi coltivati e fecondi. E quelle tribù, prima divise tra loro a causa di rozzi e feroci costumi, divennero col tempo una sola nazione ammansita dalla mitezza e dal vigore dell'evangelo e luminosa per le virtù cristiane e civili.

Ma soprattutto il monastero di Fulda fu domicilio della preghiera e della contemplazione divina. Ivi i monaci, prima di intraprendere la difficile impresa di evangelizzare i popoli, nella preghiera, nella penitenza, nel lavoro si sforzavano di conformarsi all'ideale di santità. Lo stesso Bonifacio, appena poteva riposarsi per un certo tempo dalle fatiche apostoliche o appartarsi un poco, volentieri vi si rifugiava per temprare e rafforzare il suo animo nella contemplazione delle cose celesti e nella continua preghiera. «C'è una località selvaggia - così scriveva al Nostro predecessore di s.m. Zaccaria - nella solitudine di un estesissimo eremo, nel centro dei popoli ai quali predichiamo, in cui abbiamo costruito un monastero e abbiamo costituito monaci che vivono sotto la regola del santo padre Benedetto: uomini di austera penitenza, che si astengono dalla carne e dal vino, senza birra e senza servi, contenti del lavoro delle proprie mani. ... In questo luogo, con il consenso della santità vostra, mi sono proposto, riposando un po' per pochi giorni, di recuperare le forze del mio corpo indebolito per la vecchiaia e di esservi poi sepolto dopo morto. Vi sono quattro popolazioni a cui abbiamo predicato con la grazia di Dio la verità di Cristo, che abitano nei dintorni di questo luogo; ad esse, con il vostro assenso, finché vivo e sono in me, posso essere utile. Desidero, con le vostre preghiere e con la grazia di Dio, perseverare nell'unione con la romana chiesa e al vostro servizio fra i popoli germanici ai quali fui mandato, e obbedire al vostro comando».(11

Soprattutto nel silenzio di questo cenobio egli attinse da Dio la forza per partire animosamente a iniziare nuove battaglie e condurre dovunque poté tante popolazioni germaniche all'ovile di Gesù Cristo o ricondurle e riconfermarle nella fede, o anche, non di rado, a stimolarle a raggiungere la perfezione evangelica della vita.

Ma se Bonifacio fu in modo del tutto speciale apostolo della Germania, lo zelo che lo infiammava per la dilatazione del regno di Dio non si limitava ai confini di questa nazione. Anche la chiesa in Gallia, che fin dall'età apostolica aveva abbracciato generosamente la fede cattolica e l'aveva consacrata con il sangue di un numero sterminato di martiri, e che anche dopo la fondazione dell'impero dei Franchi aveva scritto nei fasti del cristianesimo pagine degne di somma lode, in quell'epoca aveva bisogno di una riforma dei costumi, della restaurazione e rinnovamento della vita cristiana. Non poche erano le diocesi prive del loro vescovo o affidate a un pastore non degno; in alcuni luoghi svariate superstizioni, eresie, scismi turbavano molti animi; già da lungo tempo per grave negligenza non si celebravano i concili ecclesiastici, molto necessari per tutelare l'integrità della religione, restituire la disciplina del clero, riformare i pubblici e privati costumi; i sacerdoti spesso erano ìmpari all'alta dignità del loro ufficio; e non di rado il popolo giaceva in una grande ignoranza della religione cristiana e perciò schiavo della corruzione. Erano pervenute all'orecchio di san Bonifacio notizie di questa triste situazione; appena egli si accorse della crisi in cui si dibatteva l'illustre chiesa dei franchi, mise mano a sanare radicalmente questa situazione con assiduo zelo.

Tuttavia anche in queste gravi difficoltà capì di aver bisogno dell'autorità della sede apostolica;(12) munito della quale, come legato del romano pontefice;(13) per lo spazio di circa cinque anni lavorò con infaticabile impegno e somma prudenza a richiamare la chiesa dei franchi al primitivo splendore. «... Allora con l'aiuto di Dio e per suggerimento dell'arcivescovo san Bonifacio fu rinsaldata l'eredità della religione cristiana, furono tra i franchi rivedute le disposizioni sinodali dei padri ortodossi e tutto fu emendato e rinnovato con l'autorità dei canoni».(14) Infatti quattro concili furono celebrati a questo scopo per stimolo e interessamento di san Bonifacio;(15) e il quarto di essi fu per tutto l'impero franco; venne restaurata la gerarchia ecclesiastica; furono scelti e destinati alle proprie sedi vescovi degni di questo nome e di questo ufficio; la disciplina del clero fu con ogni impegno restaurata e riformata; garantita l'autorità dei sacri canoni; emendati con diligente cura i costumi del popolo cristiano; proibite le superstizioni;(16) riprovate e condannate le eresie;(17) felicemente composti gli scismi. Con grande gioia di san Bonifacio e di tutti i buoni si vide allora la chiesa dei franchi splendere di nuova luce e pienamente rifiorire; i vizi furono sradicati o almeno diminuiti; restituito l'onore alle virtù cristiane; la necessaria comunione con il romano pontefice rafforzata con vincoli più stretti e più saldi. I padri del concilio generale di tutto l'impero franco inviarono gli atti, che avevano solennemente sancito, a Roma al sommo pontefice, quale luminoso documento della propria fede cattolica e di quella dei loro fedeli, documento che essi deponevano davanti al sepolcro del principe degli apostoli a testimonianza della propria venerazione, pietà e unità.(18

Condotta a termine, con l'aiuto di Dio, anche questa grave impresa, san Bonifacio non si concesse il meritato riposo. Per quanto oppresso dal peso di tante sollecitudini e pur sentendosi ormai giunto alla vecchiaia e con la salute scossa per tante fatiche incontrate, si preparò tuttavia appassionatamente a una nuova e non meno ardua impresa. Rivolse di nuovo lo sguardo e il pensiero alla Frisia: a quella Frisia che era stata la prima meta dei suoi viaggi apostolici e dove anche in seguito aveva tanto lavorato. Questa regione, specialmente nella sua parte settentrionale, giaceva ancora avvolta nelle tenebre degli errori pagani; con animo giovanile si diresse dunque verso di essa per generare nuovi figli a Gesù Cristo e portare ad altri popoli la civiltà cristiana. Era infiammato dal desiderio «di ricevere la mercede al termine della sua vita anche dove aveva svolto inizialmente l'opera della predicazione, accantonando titoli per il suo premio eterno».(19) Sentendosi ormai vicino al termine della vita, con queste parole scriveva presago al suo discepolo carissimo, il vescovo Lullo, dimostrando contemporaneamente di non volere star ad aspettare la morte in ozio: «Io desidero condurre a termine il proposito di questo viaggio; non posso in alcun modo rinunziare al desiderio di partire. È vicino il giorno della mia fine e si approssima il tempo della mia morte; deposta la salma mortale, salirò all'eterno premio. Ma tu, figlio carissimo, richiama senza posa il popolo dal ginepraio dell'errore, compi l'edificazione della già iniziata basilica di Fulda e ivi deporrai il mio corpo invecchiato per lunghi anni di vita».(20

Licenziatosi non senza lacrime dai suoi con un piccolo stuolo di compagni, «percorse l'intera Frisia, e, aboliti i riti pagani e stroncati i costumi depravati dei gentili, predicava dappertutto indefessamente la parola di Dio; dopo avere spezzato gli idoli dei templi pagani, costruì con grande cura delle chiese. Battezzò parecchie migliaia di uomini, donne, fanciulli».(21) Giunto nella parte settentrionale della Frisia, mentre stava per conferire il sacramento della cresima a una moltitudine di neofiti già battezzati con l'acqua lustrale, irruppe all'improvviso contro di essi una furibonda schiera di pagani, che agitando spaventosamente le aste e le spade minacciava di uccidere. Allora il santo vescovo, fattosi avanti con fronte serena, «vietò ai suoi di combattere dicendo: "Cessate, figliuoli, dai combattimenti, abbandonate la guerra, poiché la testimonianza della Scrittura ci ammonisce di non rendere male per male, ma bene per male. Ecco il giorno da tempo desiderato, ecco che il tempo della nostra fine è venuto; coraggio nel Signore... Siate forti, non lasciatevi atterrire da coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima immortale; godete nel Signore e fissate l'àncora della vostra speranza in Dio, che vi darà subito la mercede del premio eterno e la sede dell'aula celeste con i cittadini del cielo, gli angeli"».(22) Incitati da queste parole alla palma del martirio, volgendo tutti in preghiera la mente e gli occhi al cielo, dove speravano di ricevere tra breve il premio eterno, subirono l'impeto dei nemici, i quali insanguinarono quei corpi «con una felice strage di santi».(23) Accadde che Bonifacio, al momento del suo martirio, «mentre stava per esser colpito dalla spada pose sul suo capo l'Evangeliario per ricevere il colpo del carnefice sotto di esso e avere in morte il presidio di quel santo libro, di cui in vita aveva amato la lettura».(24)

Con questa morte gloriosa, che gli apriva sicura la via all'eterna beatitudine, san Bonifacio terminò il corso della sua vita, che fu tutta spesa alla gloria di Dio e per la salvezza sua e degli altri. Le sue sacre spoglie, dopo varie vicende, «furono portate al luogo che egli vivente aveva designato»,(25) cioè al monastero di Fulda, ove i discepoli al canto dei salmi e con molte lacrime gli diedero degna sepoltura. A questo sepolcro guardarono con venerazione turbe sterminate di popoli e tuttora vi guardano, poiché ivi sembra quasi che san Bonifacio ancor vivo parli a tutti coloro, i cui avi generò a Gesù Cristo e condusse a una vita e civiltà cristiana; parla, diciamo, con l'ardore della sua carità e della sua pietà, con l'invitta fortezza del suo animo, con l'integrità della sua fede, con lo zelo indefesso fino al termine della vita, con il suo apostolato e con la sua morte decorata della palma del martirio.

Appena da questa vita mortale egli volò al cielo, tutti incominciarono a esaltare la sua santità e a venerarlo in privato e pubblicamente. Tanto presto si propagò la fama della sua santità, che in Gran Bretagna, poco dopo il martirio di san Bonifacio, Cutberto, arcivescovo di Canterbury, scrivendo di lui, dava la seguente testimonianza: «Con piacere consideriamo e veneriamo quest'uomo, esaltandolo tra gli egregi grandi dottori della fede ortodossa. Perciò nel nostro sinodo generale, introducendo il giorno natalizio di lui e dello stuolo di coloro che con lui subirono il martirio, abbiamo decretato di celebrarne solennemente ogni anno la festa».(26) Lo stesso fecero fin dall'antichità con uguale ardore la Germania, la Francia e altre nazioni.(27)

 

II

Da dove, venerabili fratelli, san Bonifacio attinse tanta instancabile energia e quella invitta fortezza d'animo con cui poté affrontare tante difficoltà, sottoporsi a tanti travagli, superare tanti pericoli; con la quale poté combattere fino alla morte per la dilatazione del regno di Gesù Cristo, conquistando la corona del martirio? Senza dubbio dalla grazia di Dio, che egli implorava con umile continua intensa preghiera. Era talmente guidato e infiammato dall'amore di Dio, che altro non desiderava che di congiungersi con lui ogni giorno con vincoli più stretti; nient'altro che stare a colloquio con lui il maggior tempo possibile; nient'altro che propagare la sua gloria anche tra popoli sconosciuti e portare a lui in atto di venerazione, di ossequio e di amore il più gran numero possibile di uomini. Poteva a buon diritto attribuirsi e ripetere quelle parole di san Paolo: «La carità di Cristo ci spinge» (2 Cor 5,14). E anche quelle altre: «Chi ci separerà dalla carità di Cristo? La tribolazione? L'angustia? La fame? Io sono certo che né la morte, né la vita, né il presente, né il futuro, né fortezza, né altezza, né profondità, né altra creatura ci potrà separare dalla carità di Dio in Gesù Cristo Signore nostro» (Rm 8,35.38.39).

Ogni volta che questa divina carità invade gli animi, li informa e li stimola, ben possono gli uomini far propria la sentenza di Paolo: «Tutto io posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13); nulla perciò - e lo insegna la storia della chiesa - nulla può impedire o ostacolare i loro sforzi e le loro fatiche. Allora in modo mirabile felicemente si ripete ciò che avvenne al tempo degli apostoli: «... per ogni terra si diffuse la loro fama e le loro parole giunsero ai confini del mondo» (Sal 18,5; Rm 10,18). Per mezzo di essi l'evangelo di Gesù Cristo ha nuovi propagatori, i quali animati da questa forza soprannaturale non possono esser trattenuti altro che dalle catene da cui siano stretti, come anche oggi vediamo con grande tristezza; nulla li può fermare se non la morte; tale morte però che, abbellita dalla palma del martirio, sempre commuove grandi moltitudini e fa sorgere - come accadde ai tempi di san Bonifacio - sempre nuovi seguaci del divino Redentore.

Quanta fiducia riponesse quest'uomo nella divina grazia, che impetrava con supplice preghiera affinché le sue imprese potessero dare abbondanti frutti, ben si vede dalle sue lettere, nelle quali si rivolgeva senza posa al romano pontefice(28) e ai suoi amici insigni per santità, e anche alle monache, le cui comunità aveva fondato o desiderava formare, attraverso il suo saggio consiglio, all'ideale di perfezione evangelica, affinché con le loro preghiere gli volessero ottenere dal cielo conforto e aiuto. Ci piace citare come esempio ciò che scrive «alle venerabili e dilettissime sorelle Leobgita, Tecla e Cyneilda»: «Vi prego, anzi vi comando come a figlie carissime, che supplichiate Dio con le vostre incessanti preghiere, come del resto confidiamo che voi fate, avete fatto e farete senza posa... E sappiate che noi lodiamo il Signore, e sono cresciute le tribolazioni del nostro cuore, affinché il Signore Dio che è rifugio dei poveri e speranza degli umili, ci liberi dalle nostre necessità e dalle tentazioni di questa triste vita, affinché la parola di Dio si espanda e sia fatto conoscere il glorioso evangelo di Cristo e affinché la grazia di Dio in me non sia vana. E poiché io sono l'ultimo e il peggiore di tutti coloro che la chiesa cattolica e apostolica romana ha mandato a predicare l'evangelo, pregate perché io non muoia sterile e proprio senza alcun frutto dell'evangelo».(29)

Queste parole, come mettono in mostra il suo zelo per diffondere il regno di Gesù Cristo, zelo che egli irrobustiva con la continua orazione sua e degli altri, così pure pongono in rilievo la cristiana umiltà e la totale devozione e unione alla chiesa apostolica romana. Questa intensa devozione ed unione strettissima egli custodì accuratamente e fervidamente per tutta la vita; tanto che si può veramente dire che essa fu lo stabile fondamento del suo lavoro apostolico.

Sebbene abbiamo già sopra accennato ai suoi pii pellegrinaggi al sepolcro del beato Pietro e alla sede del vicario di Gesù Cristo, vogliamo qui parlarne più estesamente affinché sia ben manifesto il suo impegno di obbedienza e deferenza verso i Nostri predecessori e parimenti sia messo in luce il grande affetto che avevano verso di lui i romani pontefici.

La prima volta che venne in quest'alma città, per ricevere da san Gregorio II, pontefice massimo, il mandato di predicare la divina parola, il Nostro predecessore, appena lo conobbe, gli diede l'approvazione e lo lodò, scrivendogli poi con animo paterno queste parole: «Il religioso proposito che Ci hai manifestato, pieno di amore per Cristo, e le prove che Ci sono state date dalla tua sincera fede esigono che Noi ti abbiamo come collaboratore nella predicazione della parola divina che per grazia di Dio Ci è affidata... Ci rallegriamo della tua fede e vogliamo aiutarti in quello che Ci hai chiesto; perciò in nome della indivisibile Trinità, per l'inconcussa autorità del beato Pietro, principe degli apostoli, del cui magistero Noi partecipiamo per [divina] volontà e ne facciamo le veci in questa sacra sede, investiamo la tua modesta persona di missione religiosa e ordiniamo che nella parola della grazia di Dio ... a tutte le genti avvolte nell'errore dell'infedeltà a cui potrai giungere con l'aiuto di Dio, con la persuasione della verità tu proclami il regno di Dio attraverso il nome di Cristo Signore e Dio nostro».(30) Consacrato poi vescovo dallo stesso Nostro predecessore per i suoi grandi meriti, dopo aver giurato obbedienza a lui e ai suoi successori,(31) fece questa solenne dichiarazione: «Io professo integralmente la purità della santa fede cattolica e con l'aiuto di Dio voglio restare nell'unità di questa fede, nella quale senza alcun dubbio sta tutta la salvezza dei cristiani».(32)

Questi attestati di obbedienza e di riverenza, come a san Gregorio II, li diede apertamente anche ai romani pontefici suoi successori, e ogni qualvolta se ne presentò l'occasione li affermò apertamente.(33) Così, per esempio, scrisse al Nostro predecessore san Zaccaria, appena avuta notizia della sua elevazione al pontificato: «Non potevamo ricevere notizia per noi più lieta e felice; levando le mani al cielo rendiamo grazie a Dio perché l'altissimo Signore ha concesso alla Vostra mitezza, padre santo, di presiedere ai sacri canoni e di prendere il timone della sede apostolica. Perciò prostrati umilmente in ginocchio ai vostri piedi vi preghiamo caldamente affinché, come fummo servi devoti e sudditi fedeli del vostro predecessore per l'autorità di san Pietro, così meritiamo di essere servi obbedienti alla vostra pietà a norma del diritto canonico. Io non cesso mai d'invitare e di sottoporre all'obbedienza della sede apostolica coloro che vogliono restare nella fede cattolica e nell'unità della chiesa romana e tutti coloro che in questa mia missione Dio mi dà come uditori e discepoli».(34)

Negli ultimi anni della sua vita, ormai vecchio e affranto dalle fatiche, così scrive devotamente a Stefano III, appena eletto sommo pontefice: «Dall'intimo del mio animo rivolgo calda preghiera alla mite santità vostra, affinché io meriti di impetrare e ottenere dalla vostra clemenza familiarità e unità con la santa sede apostolica e, prestando servizio come pio discepolo alla vostra sede apostolica, possa continuare a essere vostro servo fedele e devoto allo stesso modo con cui ho servito la sede apostolica sotto i tre vostri predecessori».(35)

Ben a ragione perciò il Nostro predecessore di f.m. Benedetto XV, nel dodicesimo centenario della legazione apostolica iniziata da questo glorioso martire presso i germani, scriveva ai vescovi di detta nazione: «Mosso da questa salda fede e infiammato da siffatta pietà e carità, Bonifacio mantenne costantemente quella fedeltà e unione con la sede apostolica che aveva attinta dapprima in patria nell'esercizio della vita monastica, che poi sul punto d'iniziare il pubblico agone del suo apostolato, a Roma, sulla tomba di san Pietro principe degli apostoli, aveva solennemente giurato, e che infine in mezzo alle lotte e ai combattimenti aveva proclamato quale caratteristica del suo apostolato e regola della missione che aveva accettata; non solo, ma anche a tutti coloro che aveva conquistati all'evangelo non cessò mai di raccomandarla caldamente e di inculcarla con tanta sollecitudine, da lasciarla quasi come suo testamento».(36)

Questo modo di agire di san Bonifacio, dal quale appare fulgida la sua fedeltà verso i romani pontefici, fu sempre fedelmente seguìto, come voi sapete, venerabili fratelli, da tutti coloro che ebbero ben presente essere stato posto dal divin Redentore il principe degli apostoli come salda pietra, sulla quale sorge l'intero edificio della chiesa, che resterà fino alla fine dei secoli; e a lui essere state date le chiavi del regno dei cieli e il potere di legare e di sciogliere (cf. Mt 16,18-19). Coloro che ricusano questa pietra e si sforzano di costruire fuori di essa non fanno che gettare sulla mobile rena i fondamenti di un edificio barcollante; e i loro sforzi, le loro opere e imprese, come tutte le cose umane, non possono essere solide, né valide, né stabili; ma, come insegna la storia antica e recente, per le opinioni di menti discordi e le varie vicende degli eventi, quasi per necessità con l'andar del tempo si mutano e si trasformano.

Perciò stimiamo assai opportuno che in questa celebrazione giubilare si ponga nella sua piena luce, sotto la vostra guida, la strettissima unione di questo insigne martire con l'apostolica sede, come pure le sue grandi imprese; ciò infatti, mentre confermerà la fede e la fedeltà di coloro che aderiscono al magistero ineffabile del romano pontefice, così non potrà non scuotere salutarmente per una più profonda riflessione anche coloro che per qualsiasi motivo sono separati dai successori di san Pietro, in modo da incamminarsi a ragion veduta e animosamente, sotto l'impulso della grazia di Dio, per quella via che felicemente li riporti all'unità della chiesa. Questo è il Nostro vivo desiderio; questo domandiamo con supplici preghiere al Datore dei doni celesti, affinché si avveri finalmente l'ardente voto di tutti i buoni, che tutti cioè siano una sola cosa (cf. Gv 17,11) e tutti convergano all'unità dell'ovìle sotto la guida di un unico pastore (cf. Gv 21,15.16.17).

Un altro insegnamento ancora, venerabili fratelli, ci viene dalla vita di san Bonifacio, che abbiamo in breve riassunta. Nel piedistallo della statua eretta nel 1842 nel monastero di Fulda, che rappresenta l'immagine dell'apostolo della Germania, i visitatori leggono questa frase: «La parola del Signore rimane eternamente» (1 Pt 1,25). Non si poteva porre una scritta più significativa e più vera. Dodici secoli, l'un dopo l'altro, sono trascorsi; diverse trasmigrazioni di popoli si sono avute dall'una all'altra parte; ci sono state tante vicende e si sono susseguite tante orrende guerre; scismi e eresie hanno tentato e tentano di lacerare l'inconsutile veste della chiesa; prepotenti imperi e dittature di uomini che sembravano non aver paura di nulla all'improvviso sono crollati; varie dottrine filosofiche che si sforzano di toccare la vetta del sapere, nel corso dei tempi si avvicendano, prendendo spesso l'apparenza di una nuova verità. Ma la parola che Bonifacio predicò alle genti di Germania, di Gallia e di Frisia, essendo parola di Colui che rimane in eterno, vigoreggia anche nella nostra età e per tutti coloro che volentieri l'abbracciano essa è via, verità e vita (cf. Gv 14,6). Certo non mancano anche oggi coloro che la respingono, che tentano di inquinarla con fallaci errori o che - calpestando la libertà che compete alla chiesa e ai cittadini - si sforzano con menzogne, persecuzioni e vessazioni di sradicarla dagli animi e di distruggerla. Eppure, voi bene lo sapete, venerabili fratelli, questa astuzia non è nuova; fu già conosciuta fin dai primordi dell'èra cristiana; già lo stesso divin Redentore aveva in antecedenza ammonito i suoi discepoli con queste parole: «Ricordatevi di quanto vi ho detto: non c'è servo maggiore del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Tuttavia il nostro Redentore aggiunse a conforto queste parole: «Beati coloro che patiscono persecuzione per la giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10). E ancora: «Beati siete se gli uomini vi malediranno e vi perseguiteranno e diranno di voi ogni male, mentendo, per causa mia; godete ed esultate, poiché la vostra ricompensa è abbondante nei cieli» (Mt 5,11-12).

Nessuna meraviglia, perciò, se anche oggi in alcuni luoghi si odia il nome cristiano, se in molte regioni la chiesa, nell'esplicare la missione divinamente ricevuta, è impedita in diversi modi e con diversi metodi, come pure se non pochi cattolici si lasciano ingannare da false dottrine e si mettono in grave pericolo di perdere l'eterna salute. A tutti noi dia forza e coraggio la promessa del divin Redentore: «Ecco io sono con voi per sempre fino alla consumazione dei secoli» (Mt 28,20); ci impetri forza dall'alto san Bonifacio, che per portare il regno di Gesù Cristo fra genti ostili non ricusò lunghi travagli, aspri cammini, né infine la morte stessa, alla quale anzi andò incontro con fortezza e con fiducia, versando il suo sangue.

Egli ottenga da Dio con tutto il suo patrocinio tali invitta fortezza d'animo soprattutto per coloro che oggi si trovano in angosciosa situazione per le azioni ostili dei nemici di Dio; e ancora richiami tutti a quella unità della chiesa che fu sua costante norma di vita e d'azione, il fervido desiderio che lo sostenne per tutto il corso della sua vita nella solerte e diligente fatica.

Questo Noi domandiamo a Dio con supplice preghiera, mentre a voi tutti, venerabili fratelli, e ai singoli greggi affidati alle vostre cure impartiamo di cuore l'apostolica benedizione, che sia auspicio dei doni celesti e pegno della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, il 5 di giugno, nella festività di san Bonifacio vescovo e martire, l'anno 1954, XVI del Nostro pontificato.

 

PIO XII 


(1) PIUS PP. XII, Epist. enc. Ecclesiae fastos duodecimo exeunte saeculo a piissimo s. Bonifatii episcopi et martyris obitu, [Ad venerabiles Fratres Britanniae, Germaniae, Austriae, Galliae, Belgicae et Hollandiae Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 5 iunii 1954: AAS 46(1954), pp. 337-356.

I. Appunti biografici su s. Bonifacio, vescovo, apostolo della Germania; Cenobi da lui fondati; Monastero di Fulda; Martire per l'evangelo. - II. Testimone della carità; Zelo per il regno di Cristo; Uomo di preghiera; Attaccamento e fedeltà alla sede apostolica romana; Apostolo della parola di Dio. 

(2) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, Hannoverae et Lipsiae 1905, p. 21. 

(3) Ibidem.

(4) Vita S. Bonifatii, auctore Otloho, ed. Levison, lib. I, p. 127.

(5) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Berolini 1916, Epist. 28, p. 49.

(6) Cf. ibidem, Epist. 51, 57, 58, 60, 68, 77, 80, 86, 87, 89.

(7) Ibidem, Epist. 108, pp. 233-234. 

(8) Ibidem, Epist. 73, p. 150.

(9) Vita S. Bonifatii, auctore Otloho, v. Levison, lib. I, p. 157.

(10) Ibidem, p. 158.

(11) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 86, pp. 193-194.

(12) Cf. ibidem, Epist. 41, p.66.

(13) Cf. ibidem, Epist. 61, pp. 125-126. 

(14) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 40.

(15) Cf. SIRMOND, Concilia antiqua Galliae, Parisiis 1629, t. I, p. 511.

(16) Cf. S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 28, pp. 49-52.

(17) Cf. ibidem, Epist. 57, pp. 104-105; et Epist. 59, p. 109.

(18) Cf. ibidem, Epist. 78, p. 163.

(19) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 46.

(20) Ibidem.

(21) Ibidem, p. 47.

(22) Ibidem pp. 49-50.

(23) Cf. ibidem, p. 50; et Vita S. Bonifatii, auctore Otloho, ed. Levison, lib. II, p. 21.

(24) Vita S. Bonifatii, auctore Radbodo, ed. Levison, p 73.

(25) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p 54.

(26) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 111, p. 240.

(27) Cf. Epistolae Lupi Servati, ed. Levillain, t. I, Parisiis 1927, Epist. 5, p. 42.

(28) Cf. S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 86, pp. 189-191.

(29) Ibidem, Epist. 67, pp. 139-140.

(30) Ibidem, Epist. 12, pp. 17-18.

(31) Cf. ibidem, pp. 28-29.

(32) Cf. ibidem, p. 29.

(33) Cf. Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 25 et pp. 27-28; S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 67, pp.139-140; Epist. 59, pp.110-112; Epist. 86, pp. 191-194; Epist. 108, pp. 233-234.

(34) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 50, p. 81.

(35) Ibidem, Epist. 108, pp. 233-234.

(36) Epist. enc. In hac tanta: AAS 11(119), pp. 216-217; EE 4/442.

 



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