DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AL SACRO COLLEGIO NEL GIORNO DI SANT'EUGENIO,
PER LA RICORRENZA DEL SUO ONOMASTICO
Venerdì, 2 giugno 1939
In questo giorno, — in cui l’imperscrutabile consiglio di Dio Ci concede per la prima volta di festeggiare il sacro ricordo del Nostro santo Patrono sulla Cattedra di Pietro, pur se indegni eredi di un sommo officio, al quale Eugenio I apportò nuovo splendore con lo zelo della sua vigile azione apostolica e con l’eletta pietà e integrità della sua vita, — nulla Ci poteva riuscire più gradito del vedere raccolti intorno a Noi coloro, che la benignissima Provvidenza Ci ha associati come i più intimi consiglieri e collaboratori nelle sacre e molteplici sollecitudini del supremo officio pastorale. Gli auguri così alti e pii che il venerando Decano del Sacro Collegio, a voi e a Noi carissimo, Ci ha testé rivolti in nome di voi tutti con la nobiltà a lui propria di pensiero e di parola, suonano per Noi esteriore espressione di un intimo sentimento, di una spirituale devozione che è in voi, e per la quale Noi vi siamo profondamente grati, mentre Ci sentiamo in questo momento particolarmente mossi a invocare dal Signore con l’Apostolo delle genti « che la vostra congratulazione pei Nostri riguardi cresca sempre più in Gesù Cristo » (1). La Nostra speranza, avanti ogni cosa, si innalza e si appunta nella multiforme grazia di Colui « che ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti » (2); ma nell’ora di quel dì che la vostra fiducia di Fratelli e la volontà di Dio in essa manifestantesi Ci chiamava al carico di un officio, la cui dignità e il cui peso egualmente si univano a sgomentarCi, Ci fu di conforto e tranquillità la sicurezza di avere voi al fianco, e di trovare in voi, nella vostra scienza, nell’esperienza vostra, nella vostra alta sapienza acquistata e maturata a prova in lunghi anni, i più validi e fidi cooperatori.
Il vostro augurio, — augurio per la festa onomastica di un Padre di spirituale famiglia, il quale vi ringrazia e vi ama nella carità di Cristo, — si riversa dall’animo Nostro sopra la Chiesa, Sposa del Redentore e Madre nostra, e sopra il mondo, a cui va tutta la Nostra sollecitudine e il Nostro pensiero nell’ora presente; ora, che volge satura, in più di un lato, di fermenti che iniziano o compiono eventi, dei cui termini estremi non è acume di prudenza che valga a dire se condurranno a costruzione o a disfacimento. Non figlia del mondo, ma pure nel mondo è la Chiesa, e in esso vive e da esso trae i suoi figli, sempre partecipe delle vicende liete e tristi del mondo; in mezzo al quale soffre, combatte e prega, come pregava, nei suoi primi tempi, insieme col grande Apostolo Paolo, e faceva « suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini; per i re e per tutti i costituiti in posto sublime, affinché possiamo condurre una vita quieta e tranquilla » con tutta pietà e onestà; poiché questo è ben fatto e grato nel cospetto del Salvatore, Dio nostro, « il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità »(3). Che altro è questo se non la preghiera per la pace fra i popoli, che la Chiesa, fin dall’aurora del Cristianesimo, innalzava a quel Dio, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino al conoscimento della verità?
Ma, per via dei fatti che incontra e attraverso la loro realtà, il cammino della Chiesa di Cristo è divenuto più che in altri tempi difficile e arduo. In mezzo a un mondo di contrasti e di scissioni, di conflitti di sentimenti e d’interessi, di esaltazioni di idee e di ambizioni altere, di timori e d’audacia, in mezzo a una umanità la quale sembra quasi non saper ancora definire né risolvere se debba riconoscere e affidare il primato dell’azione e la decisione delle proprie sorti all’affilatura della spada o al nobile impero del diritto, alla ragione o alla forza; riesce alla Sposa di Cristo ancor più malagevole e conteso l’assicurare alle sue concezioni ed esortazioni, che scaturiscono dalla sua religiosa missione e nel loro flusso coincidono col vero bene dei singoli popoli e della intera comunanza umana, quell’auspicato ascolto e quell’intima prontezza di accoglimento, senza la quale la sua parola rimarrebbe « una voce che grida nel deserto ». D’altra parte non sarebbe conciliabile coi sacri doveri del Nostro apostolico ministero, se esteriori impedimenti o il timore di false interpretazioni o misconoscimenti delle Nostre intenzioni e dei Nostri scopi, tutti volti al bene, Ci trattenessero dall’esercitare quel salutare officio di pace che è proprio della Chiesa. La quale, se non pensa a lasciarsi adescare e avvincere da particolari interessi, né ad immischiarsi, non richiesta, nelle competizioni territoriali fra gli Stati o a venir trascinata entro gli intricati conflitti che facilmente ne derivano, non può tuttavia, in momenti di più grave pericolo per la pace e di più ardenti passioni per la contesa, rinunziare a proferire una sua parola materna e, richiedendolo il caso, ad offrire i suoi materni servigi, affine di arrestare il minaccioso uso della forza e le sue incalcolabili conseguenze materiali, spirituali e morali.
Da questo spirito di pace e di giustizia animati nell’intimo del Nostro cuore di Padre Comune, credemmo, dopo matura considerazione, opportuno, in un’ora che appariva particolarmente grave nella vita dei popoli, sul principio dello scorso mese di Maggio, di far conoscere ad alcuni Uomini di Stato di grandi Nazioni europee le preoccupazioni che la situazione delle cose in quel momento Ci inspirava e il timore che i dissidi internazionali non si inasprissero al punto da degenerare in conflitto sanguinoso.
Da un tal passo, che riscosse — lo diciamo con animo grato — in generale la simpatia dei Governi e, dopo venuto, senza Nostra cooperazione, a notizia del pubblico, la gratitudine delle popolazioni, raccogliemmo assicurazioni di buona volontà e del proposito di mantenere la pace tanto desiderata dai popoli. Chi più di Noi poteva restar soddisfatto nel conoscere questo inizio di distensione degli animi o con maggior ardore bramare e augurare ch’essa si consolidasse sempre più? Né vogliamo tacere che anche altre informazioni da Noi potute avere, in occasione dell’anzidetto passo, circa i sentimenti e le intenzioni di influenti Uomini di Stato, a cui ne siamo vivamente riconoscenti, Ci sollevarono a qualche maggior speranza che le considerazioni di nobile umanità, la coscienza della inevitabile responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi alla storia, il retto giudizio dei veri interessi dei loro popoli abbiano bastevole vigore e peso da indurre i Governi, negli sforzi per il conseguimento di una pace stabile che salvi la libertà e l’onore delle Nazioni, a pensieri e ad opere che valgano ad attenuare, ridurre o vincere gli ostacoli reali e psicologici, i quali s’interpongono ad una sincera e sicura intesa. Circostanza questa, che Ci ha lasciata aperta la via a nuove sollecitudini e a nuove premure.
Ma le sorti e la felicità dei popoli stanno nelle mani di « quello Imperador che lassù regna », il quale è Padre dei lumi, e fonte di ogni perfetto bene nell’universo. Al pari della felicità e delle sorti dei popoli tiene nelle sue mani anche i cuori degli uomini: in qualunque parte vorrà, li inclinerà. Egli sa allargare, restringere, fermare o dirigere la loro volontà senza mutarne la natura. Nell’opera dell’uomo tutto è debole come l’uomo; timidi sono i suoi pensieri, incerte le sue provvidenze, rigidi i suoi mezzi, vacillanti i suoi passi, buio il suo termine. Nell’opera di Dio tutto è forte come Lui; il suo consiglio non conosce dubbi; la sua potenza si diletta e quasi scherzando si ricrea nel governo del mondo; le sue delizie sono in mezzo ai figli degli uomini, ma nulla a Lui resiste; anche gli ostacoli nelle sue mani sono mezzi a plasmare le cose e gli eventi, a volgere le menti e i liberi voleri umani agli altissimi fini della sua misericordia e della sua giustizia, le due stelle dell’universale suo impero. In Lui è riposta la Nostra più ferma speranza. A implorare i lumi e le benedizioni celesti sopra gli avvenimenti dei nostri giorni e sopra le decisioni che in essi maturano, chiamammo già nel mese di maggio intorno all’altare di Maria a una crociata di preghiere il mondo cattolico, e ponemmo all’avanguardia le candide legioni dei bambini, come gigli sbocciati ai piedi della Vergine Madre, custoditi dagli angeli beati, da Gesù intorno a sé chiamati, abbracciati, benedetti e proposti alla imitazione di tutti gli eredi del regno dei cieli. L’innocenza che prega e supplica è un monito e un esempio; e godiamo in questa occasione di far manifesto il dolce appagamento dell’animo Nostro nel ricordare con lode quale devota prontezza, quale intenso fervore, quale emula spirituale concordia siano sfolgorati a gara fra i fedeli di tutto il mondo nel rispondere a questo appello mariano. Entrati ora nel bel mese di Giugno, dedicato al Cuore Sacratissimo di Gesù, Ci volgiamo con cresciuto ardore e con più aperta e ansiosa speranza a Colui che « è il Re e il centro di tutti i cuori », rifugio e conforto in tutti gli affanni e i timori. Egli, cui è stata data ogni potestà in cielo e in terra, si degni di placare i flutti del mondo turbato e agitato e vi susciti un soffio di spirito nuovo fra gli uomini e le Nazioni! Ai Nostri inviti per la pace faccia Egli che nei cuori dei governanti e dei popoli si desti quell’eco, e nelle decisioni e nelle opere dei poteri responsabili appaiano quelle concrete attuazioni, che invocano i desideri e le preghiere di tutti i buoni!
Con questo augurio sulle labbra e nel cuore, Vi impartiamo, come pegno dell’abbondanza delle grazie divine, dalla pienezza del Nostro animo riconoscente l’Apostolica Benedizione.
(1) Phil., I, 26.
(2) I Cor., I, 26
(3) I Tim., II, 1-4.
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