DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AL PATRIZIATO E ALLA NOBILTÀ ROMANA*
Sala del Concistoro - Mercoledì, 8 gennaio 1947
L'omaggio della vostra devozione e della vostra fedeltà, e i voti augurali, che ogni anno, diletti figli e figlie, per antica costumanza venite ad offrirCi, felicemente espressi dal vostro Ecc.mo interprete, scendono sempre graditi al Nostro cuore. Essi sogliono naturalmente riflettere i pensieri e le ansie, che in differente grado agitano gli animi dinanzi alle mutevoli condizioni dei tempi. Dopo gli orrori della guerra, dopo le indicibili miserie, che ne seguirono, e le angustie derivanti da una sospensione delle ostilità che non poteva chiamarsi e non era pace, Noi v'intrattenemmo, più di una volta, in questa stessa ricorrenza, sull'officio e sui doveri della nobiltà nella preparazione del nuovo stato di cose nel mondo, e in particolar modo nella vostra tanto amata patria. La nota caratteristica era allora la completa incertezza. Si camminava in piena oscurità : le deliberazioni, le manifestazioni della volontà popolare si formavano e si trasformavano incessantemente. Che ne sarebbe uscito? Niuno avrebbe potuto pronosticarlo con qualche precisione.
Frattanto sulla scena del mondo l'anno testè trascorso ha presentato al nostro sguardo uno spettacolo, nel quale non potrebbe certo dirsi che siano mancate attività, commozioni, sorprese. Ciò che invece ha fatto difetto, come negli anni precedenti, è stato il conseguimento di soluzioni, che lascino gli animi respirare tranquilli, che chiariscano definitivamente le condizioni della vita pubblica, che additino il diritto cammino verso il futuro, anche se dovesse essere arduo ed aspro. In tal guisa — nonostante alcuni notevoli progressi che Ci auguriamo duraturi — la incertezza continua ad essere ancora il carattere dominante del momento presente, non solo nelle relazioni internazionali, in cui ansiosamente si attendono conclusioni di pace almeno tollerabili, ma altresì nell'ordinamento interno dei singoli Stati. Anche qui non è dato finora di prevedere con qualche certezza quale sarà per essere il risultato finale dell'incontro o dell'urto delle varie tendenze e forze, e soprattutto delle diverse e discordanti dottrine nel campo religioso, sociale e politico.
Meno malagevole è oggi invece di determinare, fra i differenti modi che si offrono a voi, quale debba essere la vostra condotta.
Il primo di tali modi è inammissibile; è quello del disertore, di colui, che fu ingiustamente chiamato l'« Emigré à l'intérieur »; è l'astensione dell'uomo imbronciato o corrucciato, che per dispetto o per scoraggiamento, non fa alcun uso delle sue qualità e delle sue energie, non partecipa ad alcuna delle attività del suo Paese e del suo tempo, ma si ritira — come il Pelide Achille nella sua tenda, presso alle navi del rapido tragitto, lontano dalle battaglie, — mentre sono in giuoco i destini della patria.
Anche men degna è l'astensione, quando è l'effetto di una indifferenza indolente e passiva. Peggiore, infatti, del cattivo umore, del dispetto e dello scoraggiamento, sarebbe la noncuranza di fronte alla rovina, in cui fossero per cadere i propri fratelli e il proprio popolo. Invano essa tenderebbe di celarsi sotto la maschera della neutralità; essa non è punto neutrale; è, volere o no, complice. Ciascuno dei fiocchi leggieri, che riposano dolcemente sul pendio della montagna e l'adornano della loro bianchezza, contribuisce, mentre si lascia trascinare passivamente, a far della piccola massa di neve, staccatasi dalla vetta, la valanga che porta il disastro nella valle e vi abbatte e vi seppellisce le tranquille dimore. Soltanto il saldo blocco, che fa corpo con la roccia fondamentale, oppone alla valanga una resistenza vittoriosa, e può arrestarne o almeno frenarne la corsa devastatrice.
In tal guisa l'uomo giusto e fermo nel suo proposito di bene, di cui parla Orazio in una celebre Ode (Carm, III, 3), che non si lascia scuotere nel suo incrollabile pensiero nè dal furore dei cittadini, che danno ordini delittuosi, nè dal cipiglio minaccioso del tiranno, rimane impavido, anche se l'universo cadesse in frantumi sopra di lui « si fractus inlabatur orbis, impavidum ferient ruinae ». Ma se quest'uomo giusto e forte è un cristiano, non si contenterà di restare ritto, impassibile, in mezzo alle rovine; egli si sentirà in dovere di resistere e d'impedire il cataclisma, o almeno di limitare i danni. Che se non potrà contenerne l'opera distruggitrice, egli sarà ancora là per ricostruire l'edificio abbattuto, per seminare il campo devastato. Tale conviene che sia la vostra condotta. Essa consiste — senza dover rinunziare alla libertà delle vostre convinzioni e dei vostri giudizi sulle umane vicissitudini — nel prendere l'ordine contingente delle cose tale quale è, e nel dirigere la sua efficienza verso il bene, non tanto di una determinata classe, quanto della intiera comunità.
Ora questo bene comune, vale a dire l'attuazione di normali e stabili condizioni pubbliche, in modo che sia ai singoli sia alle famiglie, col retto uso delle loro forze, riesca non difficile di condurre una vita, secondo la legge di Dio, degna, regolata, felice, è il fine e la norma dello Stato e dei suoi organi.
Gli uomini, così i singoli come la umana società, e il loro bene comune, sono sempre legati all'assoluto ordine dei valori stabilito da Dio. Ora precisamente per attuare e rendere efficace questo legame in modo degno della natura umana, è stata data all'uomo la libertà personale, e la tutela di questa libertà è lo scopo di ogni ordinamento giuridico meritevole di tal nome. Ma da ciò consegue altresì che non vi può essere la libertà e il diritto di violare quell'ordine assoluto dei valori. Si verrebbe quindi a lederlo e a scardinare la difesa della pubblica moralità, che è senza dubbio un elemento precipuo per il mantenimento del bene comune da parte dello Stato, se, per citare un esempio, si concedesse, senza riguardo a quell'ordine supremo, una incondizionata libertà alla stampa e al « film ». Nel qual caso non si riconoscerebbe il diritto alla vera e genuina libertà; ma si verrebbe a legalizzare la licenza, se si permettesse alla stampa e al « film » di scalzare i fondamenti religiosi e morali della vita del popolo. Per comprendere ed ammettere un tale principio, non. è neppure necessario di essere cristiani. Basta l'uso, non turbato dalle passioni, della ragione e del sano senso morale e giuridico.
È ben possibile che alcuni gravi avvenimenti, maturati nel corso dell'anno testè terminato, abbiano avuto nel cuore di non pochi fra voi un'eco dolorosa. Ma chi vive della ricchezza del pensiero cristiano, non si lascia abbattere nè sconcertare dagli eventi umani, quali che essi siano, e volge coraggiosamente lo sguardo a tutto ciò che è rimasto, e che è pur tanto grande e tanto degno delle sue cure. Quel che è rimasto, è la patria e il popolo; è lo Stato, il cui fine supremo è il vero bene di tutti, e la cui missione richiede la comune cooperazione, nella quale ciascun cittadino ha il suo posto; sono i milioni di animi integri, che amano di vedere questo bene comune nella luce di Dio e di promuoverlo secondo gli ordinamenti non mai caduchi della sua legge.
L'Italia è sul punto di darsi una nuova Costituzione. Chi potrebbe disconoscere la importanza capitale di una tale impresa? Ciò che è il principio vitale nel corpo vivente, è la Costituzione nell'organismo sociale, il cui sviluppo, non solo economico, ma anche morale, è da quella strettamente condizionato. Se vi è quindi alcuno che ha bisogno di tenere lo sguardo fisso sugli ordinamenti stabiliti da Dio, se mai alcuno è obbligato ad avere costantemente dinanzi agli occhi il vero bene di tutti, tali sono certamente coloro cui è affidata la grande opera di redigere una Costituzione.
D'altra parte, a che giovano le migliori leggi, se hanno da restare lettera morta? La loro efficacia dipende in gran parte da quelli che debbono applicarla. Nelle mani di uomini, che non ne hanno lo spirito, che forse internamente dissentono da quanto essa dispone, o che non sono spiritualmente e moralmente capaci di metterla in atto, anche la più perfetta opera legislativa perde molto del suo valore. Una buona Costituzione è senza dubbio cosa di alto pregio. Ciò però, di cui lo Stato ha assoluta necessità, sono uomini competenti ed esperti in materia politica e amministrativa, interamente dediti al maggior bene della Nazione, guidati da chiari e sani principi.
Perciò la voce della vostra Patria, scossa dai gravi rivolgimenti degli ultimi anni, chiama a collaborare tutti gli onesti, uomini e donne, nelle cui famiglie e nelle cui persone vive il meglio del vigore spirituale, delle categorie morali e delle tradizioni vissute e sempre viventi del Paese. Quella voce li scongiura di mettersi a disposizione dello Stato, con tutta la forza delle loro intime convinzioni, e di lavorare per il bene del popolo!
Ed ecco che si apre così anche a voi il cammino verso l'avvenire.
Noi abbiamo l'anno scorso, in questa medesima occasione, mostrato come anche nelle democrazie di fresca data e che non hanno dietro di loro alcun vestigio di un passato feudale, si è venuta formando, per la forza stessa delle cose, una specie di nuova nobiltà o aristocrazia. È la comunanza delle famiglie che per tradizione mettono tutte le loro energie al servizio dello Stato, del suo Governo, della sua amministrazione, e sulla cui fedeltà esso può in ogni momento contare.
Il vostro ufficio è dunque ben lungi dall'essere negativo; esso suppone in voi molto studio, molto lavoro, molta abnegazione, e soprattutto molto amore. Nonostante la rapida evoluzione dei tempi esso non ha perduto il suo valore, non è giunto al suo termine. Ciò che richiede altresì da voi, e che deve essere la caratteristica della vostra educazione tradizionale e familiare, è il fine sentimento e la volontà di non prevalervi della vostra condizione — privilegio oggidì bene spesso grave ed austero — che per servire.
Andate dunque con coraggio e con umile fierezza incontro al futuro, diletti figli e figlie. La vostra funzione sociale, nuova nella forma, è nella sostanza la stessa, come nei vostri tempi passati di maggior splendore. Se talvolta essa vi sembrasse difficile, ardua, forse anche non priva di delusioni, non dimenticate che la Provvidenza divina, la quale ve l'ha affidata, vi elargirà ad un tempo le forze e i soccorsi necessari per adempirla degnamente. Questi aiuti Noi li chiediamo per voi al Dio fatto uomo per risollevare la società umana dal suo decadimento, per stabilire la nuova società sopra una incrollabile base, per essere Egli stesso la pietra angolare dell'edificio, per restaurarlo sempre nuovamente di generazione in generazione. Intanto, pegno dei più eletti favori celesti, impartiamo con paterno affetto a voi, alle vostre famiglie, a tutte le persone che avete nel cuore, presenti e lontane, in modo particolare alla vostra cara gioventù, la Nostra Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, VIII,
Ottavo anno di Pontificato, 2 marzo 1946 - 1° marzo 1947, pp. 367-371
Tipografia Poliglotta Vaticana
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