DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARTECIPANTI AL PRIMO CONVEGNO NAZIONALE
ITALIANO DEI CAPPELLANI DELLE CARCERI*
Sala del Concistoro a Castel Gandolfo - Sabato, 15 novembre 1947
Nel salutarvi qui adunati intorno a Noi, diletti figli, Ci sembra di vedere alla Nostra presenza una schiera eletta di soldati di prima linea, volontari in una missione di sacrificio e di ardue conquiste. Dei pochi giorni trascorsi in Roma voi avete approfittato non tanto per godere di un breve e meritato riposo, quanto per intrattenervi insieme sulle questioni riguardanti il vostro difficile, ma pur consolante ministero; questioni molteplici e varie, di ordine giuridico, tecnico, sociale, pedagogico, concernenti la rieducazione dei carcerati e la organizzazione della cura spirituale nelle prigioni. Voi avete felicemente scelti i temi dei vostri studi e delle vostre discussioni; ma se Noi dovessimo dire quali sono quelli che hanno maggiormente attirato la Nostra attenzione, non esiteremmo a segnalare i delicati problemi della « rieducazione dei minorenni » e della « assistenza postcarceraria agli ex detenuti ».
Il vostro zelo, bramoso di conseguire sempre più ampi risultati di bene, ha suscitato in voi il desiderio di udire dalle Nostre labbra qualche parola d'incoraggiamento e di consiglio. Che potremmo Noi dirvi, diletti figli, che voi non sappiate già per vostra propria esperienza? Abbiamo Noi forse bisogno d'inculcare a voi, che ne siete così intimamente persuasi, la necessità della padronanza di voi stessi, della pazienza, della longanimità, della circospezione, della prudenza, del tatto, e soprattutto di una carità piena di abnegazione e di bontà, « in aedificationem et non in destructionem » (2 Cor. 10, 8), attinta al Cuore di Colui che « non spezza la canna rotta e non spegne il lucignolo fumigante » (cfr. Matth. 12, 20)?
Noi parlavamo testè della vostra missione di sacrificio, del vostro difficile ministero. Senza dubbio, ciascuno di voi potrebbe narrare numerosi esempi edificanti, che fanno toccare con mano la potenza della grazia misericordiosa, mutamenti tali che il convertito di oggi offre speranze incomparabilmente più grandi dei presagi sinistri, che il criminale di ieri aveva fatto concepire. La biografia di San Giuseppe Cafasso presenta alla nostra considerazione molti simili casi. Tuttavia anche nella vita di quel gran Santo, provvidenzialmente dotato di qualità eccezionali, questi fatti meravigliosi non sono di tutti i giorni. Si leggono con singolare compiacimento, come allineati in una bella antologia, quasi collana di perle infilate in una invisibile catenina d'oro; ma chi può conoscere quale fatica è costata ognuna di quelle perle, ognuna delle pagliuzze d'oro, pazientemente raccolte nella sabbia del torrente, ognuna delle pepite estratte dalla miniera e staccate dalla loro ganga? Voi ben sapete, nel segreto dei vostri cuori, con quali preghiere, con quali sforzi, con quali angosce, avete pagata ciascuna delle vostre conquiste, ed anche, ahimè! delle vostre perdite.
Come potrebbe essere altrimenti? Poveri infelici, di cui molti forse non avevano nè l'anima malvagia, nè il cuore guasto ! Senza parlare di quelli che portano in sè la tara di tristi eredità o di una cattiva educazione, quanti sono giunti al delitto, vittime inesperte e imprudenti dei consigli, delle sollecitazioni, delle iniziazioni precoci, degli esempi di compagni perversi, i quali hanno saputo, essi, sfuggire alla umana giustizia per continuare a far nuove vittime! Ed ora, umiliati, scoraggiati, sgomentati di dover languire nella promiscuità di un'accolta anormale, che fa sentir loro più acutamente la morale solitudine, essi non hanno più altri che voi. Dopo esser riusciti a vincere le loro prime diffidenze e a guadagnare la loro fiducia, voi soli potete ancora sorreggere e tener vivo quel che resta in loro di buone disposizioni. Le lettere da casa non apportano che un pallido barlume — non oseremmo dire di gioia — nel fondo della loro angusta cella. Quale terreno e quale clima per infondere e sviluppare nelle loro anime il germe di una viva fede, di un pentimento sincero, di una calma rassegnazione alla volontà di Dio, che renderebbe loro la santa speranza! Eppure tale è il vostro sublime ufficio.
Quanto più arduo è questo ministero, quanto maggiori dolori e delusioni esso può cagionare, tanto più è degno di essere debitamente apprezzato, tanto più merita incoraggiamento, riconoscenza e lode. Nel manifestarvi la Nostra gratitudine, Noi sappiamo di essere l'interprete della compiacenza del divino Pastore, che si è affaticato nel ricercare la pecorella smarrita, del sommo Sacerdote che, morente, dall'alto della Croce, ha perdonato, beatificato, santificato il ladrone pentito, crocifisso come Lui.
Ma anche la riconoscenza di tutti gli animi retti vi è acquisita. Per non dire di quella che, nonostante ogni illusione od inganno, vi conserveranno sempre e vi attestano già, talvolta in una maniera commovente, tanti di quegl'infelici, quanto grande deve essere la gratitudine delle loro famiglie! La madre conta su di voi per consolare il suo figliuolo, agli occhi di lei più sventurato che colpevole; grazie alle vostre premure, la sposa consente a riconciliarsi con uno sposo disonorato e forse infedele verso lei stessa; il padre irritato, mosso dalla vostra parola, sente calmarsi la sua giusta collera; intenerito dalle vostre preghiere, lascia scorrere le lacrime che avrebbe voluto frenare e accoglie il prodigo al suo ritorno nel focolare domestico. Tutti infine confidano in voi per mantenere, dopo la scarcerazione, nei suoi buoni propositi il loro congiunto, sinceramente desideroso di emendarsi, ma ancora ben debole; e la famiglia così ricostituita rimane a voi legata coi vincoli della più profonda venerazione.
La umana società non deve a voi minor riconoscenza. Essa non sempre confessa, ma ben sente la propria insufficienza, la propria incapacità di salvare coi suoi regolamenti e con le sue pur lodevoli istituzioni i relitti del naufragio morale, miseramente arenati nelle sue prigioni. Essa deve riconoscere la sua parte, spesso la sua gran parte, di responsabilità nel naufragio e che soltanto la religione, con la parola e la carità del sacerdote, con la grazia dei Sacramenti, può trasformare i reclusi, che forse la maledicono e la minacciano, in onesti cittadini, pronti a riscattare con utili servigi i loro debiti verso di lei.
Anche le autorità dello Stato hanno ogni motivo di apprezzare, di promuovere e di favorire il vostro lavoro, aumentando, se ve ne è bisogno, il numero dei Cappellani e facilitando l'esercizio del loro benefico ministero. È assai significativo che, fin dal primo incontro di collaborazione fra la Chiesa e lo Stato nell'Impero romano-bizantino, lo Stato stesso chiamò il sacerdote nelle prigioni, « ut carceris — così si esprimeva la Costituzione degl'imperatori Onorio e Teodosio del 21 novembre 419 — ope miserationis aulas introeat, medicetur aegros, alat pauperes, consoletur insontes et cum singulorum causas scrutatus agnoverit, interventiones suas apud iudicem conpetentem pro iure moderetur » (cfr. Th. Mommsen, Theodosiani libri XVI cum Constitutionibus Sirmondianis, Berolini 1905, vol. I, p. I, pag. 917). La esperienza è rimasta sempre la stessa. Nonostante tutte le riforme dell'ordinamento carcerario, ai soli freddi paragrafi della legge e al regolamento esteriore non sarà mai dato di conseguire quello scopo, che consiste nel miglioramento del colpevole, nel preservarlo dalla rovina morale, nell'elevarlo e rigenerarlo. A ciò si richiedono umana comprensione e soprattutto le forze soprannaturali della religione, di cui il sacerdote è ministro.
Noi viviamo in un tempo di grandi calamità morali e di duri contrasti, ma altresì di una più viva coscienza sociale e di un più profondo senso di responsabilità. In questo campo la Chiesa sta, insegnando e operando, nella linea più avanzata. Anche la vostra azione, diletti figli, sarà, in gran parte, sempre più di natura caritativa sociale. Tuttavia l'ammonimento, che indirizziamo oggi a quanti lavorano nell'apostolato, vale anche per voi : non fermatevi al lato puramente sociale dell'opera vostra, ma spingetevi più innanzi, penetrate nelle anime, per la loro riconciliazione con Dio e la loro salvezza. Non dimenticate che voi non potrete mai raggiungere questa ultima e assolutamente necessaria meta, senza la vostra personale preghiera e il vostro sacrificio. Fatevi voi stessi, per il bene dei carcerati commessi alle vostre cure sacerdotali, in quotidiano lavoro e in costante abnegazione, « prigionieri di Cristo », come l'Apostolo delle Genti, « vinctus Christi Jesu », ha profondamente detto (Eph. 3, I ; Phile. I, 9) e fatto.
Noi poniamo voi stessi e i vostri detenuti, i colpevoli e anche più specialmente gl'innocenti, sotto la Croce del Figlio di Dio, che per la nostra salvezza « cum sceleratis reputatus est » (Is. 53, 12). Maria, Madre di misericordia, stenda la sua mano protettrice su di voi e su di loro. San Giuseppe Cafasso sia il vostro modello e il vostro intercessore presso Dio. La Beata Vergine e Martire Maria Goretti, che condusse meravigliosamente alla conversione il suo uccisore, vi sia di guida e di aiuto nei casi più difficili.
In pegno della sovrabbondante grazia del Signor Nostro Gesù Cristo, impartiamo a voi e a tutti i vostri carcerati con paterno affetto l'Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, IX,
Nono anno di Pontificato, 2 marzo 1947- 1° marzo 1948, pp. 351-355
Tipografia Poliglotta Vaticana
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