DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI MEMBRI DELL'«ASSOCIAZIONE FRA I ROMANI»*
Domenica, 20 giugno 1948
Nel momento in cui, diletti figli, membri del Comitato generale e della benemerita « Associazione fra i Romani », con l'Eccmo vostro Presidente, Principe D. Francesco Chigi della Rovere, vi vediamo adunati intorno a Noi, sorge dinanzi al Nostro sguardo con dolorosa chiarezza l'immagine, grondante lagrime e sangue, di un giorno, il quale deve essere annoverato fra i più foschi, che la infelicissima seconda guerra mondiale ha iscritti negli Annali della eterna città.
Rare volte, forse, Pastore e gregge della diocesi di Roma si sono sentiti così profondamente uniti in un comune lutto, come in quel 19 luglio del 1943, la cui prossima ricorrenza voi intendete di ricordare con un atto di alto significato umano e cristiano.
Quel giorno funesto vide distrutte sotto il bombardamento modeste e pacifiche abitazioni popolari ; vide nella Città dei morti, consacrata al silenzio e al raccoglimento, tombe aperte e sconvolte; vide crollare col tetto il portico, la facciata e parte dei muri perimetrali di una delle più vetuste Basiliche romane. Esso però fu al tempo stesso occasione per Noi di un indimenticabile incontro col popolo sofferente e angustiato della Nostra diletta, Città natale.
Fino all'ultimo respiro vivrà in Noi la memoria di quell'incontro, non solo come avvenimento di molteplice amarezza, ma anche come ora di grazia celeste per il Pastore ed il gregge.
La vostra presenza qui è una prova palpabile che l'intima eco, le irradiazioni spirituali di quell'evento sono tuttora vive anche nei vostri cuori.
Perciò, avanti che si compia un quinquennio da quel tristissimo giorno, voi avete voluto che nell'atrio degnamente ricomposto per le cure della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, e mentre la Basilica, già ricoperta e con la facciata ricostruita, attende con ansia la sua completa restaurazione, un ricordo marmoreo richiami alla memoria delle future generazioni con efficacia ammonitrice quel tempo di prova, da voi e da Noi vissuto, nella storia dell'Urbe.
Per questa nobile testimonianza di devozione e di fedeltà Noi esprimiamo a voi e alla cittadinanza romana, che voi qui rappresentate, la Nostra paterna gratitudine.
In quel ricordo marmoreo Noi ravvisiamo una aperta professione ed adesione della Roma credente alle gloriose tradizioni del suo passato, radicate nel suolo sacro dell'Urbe, e a cui questa è indissolubilmente congiunta;
ravvisiamo una manifestazione della volontà incrollabile del popolo romano di sollevarsi dalle rovine del presente a nuove e più salde opere di cristiane virtù e di civile progresso;
ravvisiamo il vostro fermo proposito di promuovere, al di sopra della ricostruzione materiale della vostra città e della vostra Patria, la vigile tutela e il ristabilimento di quei fattori religiosi e morali, che di ogni terrena attività debbono essere guida, regola e misura;
ravvisiamo il chiaro e incondizionato rifiuto di quanto è non romano, non vero, non onesto, non giusto, non santo (cfr. Phil. 4, 8), nel pensiero e nell'azione, e la difesa di tutto ciò che a Roma e alla Chiesa di Cristo, la quale in Roma ha il suo centro per divina Provvidenza costituito, conferisce la loro sacra e insostituibile funzione.
Quanto più si diradano le ombre, che avevano lasciato fino ad ora oscuri alcuni particolari periodi del tempo di guerra in questa nostra Roma, tanto più manifesto appare il quadro dei gravi pericoli, da cui, specialmente in momenti di maggior tensione, essa era minacciata.
Perciò al Salvatore divino e alla sua santissima Madre, al cui Cuore immacolato l'Urbe è stata di recente per la voce del suo primo Magistrato solennemente consacrata, siano rese anche in questa occasione fervide grazie, perchè alla Sion del Nuovo Testamento sono state risparmiate le amarezze delle devastazioni, che altre città hanno dovuto invece sino alla fine assaporare.
In tal guisa alla visibile protezione celeste corrisponde il comune tributo della riconoscenza di quanti hanno il privilegio e il vanto di essere figli, cittadini, ospiti della eterna città.
A questo sentimento di gratitudine voi darete fra poco degna espressione nel mistico atrio della Basilica di San Lorenzo fuori , le mura. Col cuore saremo anche Noi in mezzo a voi in quell'insigne Santuario, che angosciati piangemmo allora in rovina, e preghiamo il Signore che dia a voi e a tutti coloro che respirano questa medesima aura romana un soffio dello spirito in quel venerando tempio diffuso : lo spirito del diacono Lorenzo, la cui vita si consumò nel servizio dei poveri, la cui morte fu un trionfo sul despotismo della forza brutale; lo spirito del Protomartire Stefano, dell'invitto confessore di Cristo, che sotto la pioggia delle pietre scagliate contro di lui perdonò e pregò per i suoi persecutori.
La ricostruzione morale della vostra città e del vostro Paese, che deve armonicamente associarsi alla sua esterna restaurazione, è possibile soltanto mediante una viva alleanza con gli ideali e gli scopi, che ai tempi di Santo Stefano e di San Lorenzo condussero le forze della fede cristiana alla vittoria contro le resistenze dei suoi più fieri oppositori.
Andate dunque, e nella venerazione di quei due Eroi raccogliete una scintilla di quella fiamma, che avvivò ed arse i loro cuori. Andate, e presso la tomba di un grande ed indimenticabile Pontefice che là, in quelle zolle santificate da così sublimi rimembranze, scelse la sua ultima dimora quaggiù, attingete nuove energie e nuova fiducia nel « Non praevalebunt » che, come allora, così anche oggi rifulge come consolante promessa divina alla Chiesa di Cristo.
Con tale augurio e includendo i vostri desideri e le vostre cure, le vostre domande e le vostre prove, le vostre speranze e Le vostre aspettazioni nelle Nostre quotidiane preghiere al S. Altare, - a voi tutti qui presenti e a tutti i membri della vostra Associazione consacrata a un retto senso di romanità e al vero bene della vostra e Nostra città natale, non meno che alle vostre famiglie, impartiamo di cuore l'Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, X,
Decimo anno di Pontificato, 2 marzo 1948 - 1° marzo 1949, pp. 125 -127
Tipografia Poliglotta Vaticana
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