DISCORSO
NEL QUARTO CENTENARIO DEL COLLEGIO ROMANO*
Sabato, 24 febbraio 1951
Ci torna particolarmente gradito il vedere oggi intorno a Noi questa numerosa accolta di docenti e di alunni nella fausta ricorrenza quattro volte centenaria della fondazione di quel Collegio Romano, la cui gloria risplende — oltre che nella Pontificia Università Gregoriana, la quale vi istituì nel 1553 i corsi universitari — nel Liceo Ginnasio Ennio Quirino Visconti e nell'Istituto Massimiliano Massimo alle Terme, che in diverso modo ad esso si ricollegano.
Noi non sapremmo considerarCi estranei alla letizia della odierna celebrazione — con felice pensiero promossa dall'illustre Preside, Prof. Carlo Piersanti —, nè come Pastore universale della Chiesa, che nel Collegio Romano ha raccolto per lunghi secoli frutti copiosi di dottrina, di virtù e di energie apostoliche, nè per il grato ricordo del tempo trascorso nel Liceo Ginnasio E. Q. Visconti e nella Università Gregoriana, ai cui tesori di sapere e di bontà volentieri riconosciamo di avere attinto. Anzi, circondati come ora siamo da così fiorente gioventù, avvicendatasi e succeduta a quella di cui facemmo parte Noi stessi, Ci sembra quasi di tornare ai verdi anni dei Nostri primi studi e alla età delle speranze e delle gioie serene, di ravvisare nei vostri volti, cari alunni, i lineamenti di coloro coi quali un giorno lontano intraprendemmo l'arduo cammino della vita, e nei volti degli Insegnanti di oggi le venerate sembianze dei Nostri antichi Maestri.
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Fulgida luce rischiara il corso quadrisecolare del Collegio Romano! La nobiltà degl'intenti che ispirarono la sua fondazione, la santità degli uomini che ne furono i promotori, le difficoltà e l'intrepidezza dei primi passi, avvolgono la sua culla in quell'aura quasi epica, che suole accompagnare il sorgere delle opere più grandiose. Alle sue origini stanno due Santi: Ignazio di Loiola e Francesco Borgia, che, pur nei loro differenti caratteri esteriori, riuniscono una pari conoscenza del proprio secolo, una eguale vastità di vedute, un comune ardimento e una somigliante concretezza di gigantesche concezioni, la medesima impronta della universalità e della perpetuità nelle loro imprese; sta un Sommo Pontefice, Giulio III, dal quale, come dal suo immediato Predecessore, prende sicuro avvio il salutare movimento di restaurazione religiosa e quasi di riscossa dal lamentevole letargo, in cui era pressochè caduta la vita cattolica anche per effetto dell'abbandono degli studi e della incuria nella educazione della gioventù. Anime illuminate e ardenti di zelo, essi ben compresero che ad un mondo, in parte invecchiato per deficienza di vera e solida coltura, in parte traviato dalle deformazioni della nuova dottrina umanistica, sorta ed alimentata dalla rinascente civiltà pagana, occorreva opporre una gioventù forte, sana, così plasmata nella mente e nel cuore, da saper conservare ed accrescere le conquiste secolari del Cristianesimo e al tempo stesso accordarle coi progressi scientifici portati dai tempi. Soprattutto si avvidero quanto fosse necessario che la desiderata armonia tra il vecchio e il nuovo si attuasse in una vita ricostituita nella santità dei costumi, cosicchè il verum risplendesse col bonum e l'humanum si arricchisse col divinum. Il Collegio Romano negli espressi intenti dei suoi fondatori mirava appunto a ristabilire queste armonie, senza le quali nessuna civiltà risponde al suo nome, in tal guisa veniva a gettare su terreno propizio i semi migliori e più efficaci della improrogabile rifioritura cattolica. La Chiesa e Roma ancora una volta rivendicavano a sè la missione del magistero spirituale delle genti; tornava a sfolgorare la città posta sul monte; e alla gioventù, nella quale si rinnova la vita, veniva riconosciuto l'ufficio e l'onore di salvare il mondo preparando un avvenire migliore.
Così nel febbraio 1551 si apriva in una umile casa situata alle pendici del Campidoglio la nuova « Scuola di Grammatica, di Umanità e di Dottrina cristiana, gratis » per i giovanetti residenti nell'Urbe. Come in tutte le imprese vigoreggianti, e specialmente nelle opere volute più da Dio che dagli uomini, il piccolo seme crebbe rapidamente, travolgendo ogni sorta di ostacoli, superando le aspettazioni più favorevoli, se non dei fondatori, che ne intravidero fin dall'inizio la forza e i futuri destini, certamente dei contemporanei, attoniti davanti a un così ardimentoso cimento. Alunni e corsi si moltiplicarono di anno in anno; saldi e copiosi risultati ne sparsero la fama fra le nazioni; il valore stesso e l'eccellenza dei maestri e dei dotti, che vi si raccoglievano intorno, conciliò e accrebbe l'ammirazione di ogni ceto: finchè, vincendo la precarietà e la insufficienza delle misere condizioni materiali, per fermo volere dell'immortale Pontefice Gregorio XIII, l'edificio definitivo del Collegio Romano s'insediò con onore tra i monumenti della Roma antica e cinquecentesca, in quello stile di austerità e di grandezza, che ne testimonierà nei secoli la dottrina e il nome. La nuova istituzione, già largamente rinomata, faceva scrivere nel 1563 ad Aldo Manuzio junior, per la prima volta in visita a Roma, nella sua dedica al Collegio Romano della edizione di Sallustio: « Ac me quidem hic permulta delectarunt ex veteribus monumentis, quae vel excellentium artificum ingenia, vel mores, aut eruditionem superiorum temporum declarant: sed neque marmoreum ullum aeneumve simulacrum, neque septem collium adspectus, neque augusta illa Capitolii facies tantam animo meo iucunditatem ad mirationemve attulit, quantam Collegii vestri dignitas et ordo » (cfr. Edizione aldina di Sallustio, Venetiis 1567, A 2).
Veramente è ben raro d'incontrare altre venerande mura, che abbiano accolto tante glorie di scienza e di virtù, quante ne hanno vedute le aule dell'Ammannati. Di là uscirono, cospicue per numero e per qualità, schiere di uomini illustri: docenti profondi nelle scienze teologiche e filosofiche, alcuni sommi nelle discipline professate; Santi e Martiri; Papi e Vescovi; celebri cultori di lettere e di scienze profane fino ai nostri giorni: vera riserva di uomini e di opere a bene del mondo civile e della Chiesa.
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Le vicende dei tempi, come anche le crescenti necessità e le diverse esigenze di metodo hanno oggi separato in molteplici istituzioni quel che era all'inizio un tutt'uno. Ma queste, o per essere la genuina continuazione nei legittimi sviluppi del primitivo disegno, o per averne l'antica sede, si sentono con vanto legate alle medesime origini del Collegio Romano, che in questi giorni varca la soglia del suo quinto secolo.
Riservando, come si addice, alla Nostra Università Gregoriana la particolare predilezione in mille modi manifestata, Ci è grata l'occasione di esprimere quanto cari abbiamo, sia l'Istituto Massimiliano Massimo alle Terme, sorto dalla mente e dal cuore di un figlio degno di Roma e della Compagnia di Gesù, sia il Liceo Ginnasio E. Q. Visconti, ambedue destinati alla gioventù romana, e anche i tanti Istituti di educazione, che sul l'esempio del glorioso ed antico Collegio Romano fioriscono nelle Nazioni cristiane. Noi vogliamo ridire tutta la Nostra compiacenza paterna, tutta la Nostra viva sollecitudine per loro, perchè da essi in gran parte dipende l'avvenire civile e religioso del mondo.
L'esperienza fatta principalmente nell'ultimo secolo non dovrebbe lasciare più alcun dubbio circa i benefici che dalla scuola cattolica, o guidata dai suoi principi, derivano; al contrario, dovrebbe riempire di angoscia ogni animo, che sappia pensare con senso di responsabilità a tanta tenera gioventù, dinanzi alle rovine che agl'individui e alla società arreca la scuola senza Dio. Da ciò potete stimare quanto grande sia la Nostra gioia nel vedere in voi i continuatori dell'opera educatrice cristiana, e quali siano i frutti non sterili che Ci auguriamo saprete trarre dalla vostra celebrazione.
A voi, Insegnanti, si fanno sempre più manifesti il merito e la dignità della missione, a cui lodevolmente dedicate tutta la vostra vita: voi modellatori di anime, voi continuatori dello sforzo d'incivilimento nei secoli, voi plasmatori al vero e al bene, voi, come forse non mai nel passato, oggi quasi arbitri dell'avvenire della società umana. Da voi dipende in tanta parte se il mondo di domani dovrà ricadere nella barbarie di funesti errori e di inique leggi, o invece proseguire l'ascesa verso più ricche e più eccelse conquiste. Coi genitori e con la Chiesa voi avete riposta nelle vostre mani la chiave della felicità anche eterna di queste anime, poichè, sebbene a voi affidate col motivo della coltura, — genuina coltura, che intimamente le perfezioni —, esse non varranno a farla veramente propria, se non dopo aver appreso ad amare e servire Dio.
E voi, cari alunni, dimostratevi degni del nome e del motto « Religioni et bonis artibus » di quel Collegio Romano, che ha dispensato tante glorie, e tante ne ha raccolte dai suoi alunni. Un particolare titolo esige da voi quel che la Chiesa e la patria domandano agli altri: di attuare in rettitudine di vita le verità che apprendete, e in bontà di costumi il senso estetico della col tura classica, che soltanto sul terreno della fede cristiana può rendere i suoi pieni e maturi frutti.
Nè dimenticate l'alto titolo di « romano », di cui vi fregiate, parola che richiama grandezza, armonia, universalità, e soprattutto cristianità. In Roma ogni opera deve essere egregia ed esemplare, perchè a Roma sono costantemente rivolti gli occhi dell'Italia, come a suo centro, e del mondo, come a suo faro. Qui ogni fatica, maturamente intrapresa e fermamente proseguita, deve giovare al bene universale; qui ogni giustizia più alta, ogni virtù più schietta, ogni pietà più ardente deve essere appannaggio di ciascuno che abbia il privilegio di chiamarsene cittadino, e in lui debbono in qualche modo rifulgere le leggi e le tradizioni, che fanno venerando e glorioso il nome di Roma.
In tal guisa questa ricorrenza centenaria valga per voi tutti, Insegnanti ed alunni, come benefico ritorno alle sorgenti, ove le irrompenti acque di salute con la loro limpida freschezza svelano il segreto della loro fecondità, indicano la direzione del loro corso, ritemprano a vigore ciò che il tempo tenderebbe ad assopire.
Con questi paterni voti, a voi tutti, alle vostre famiglie, ai vostri studi, a quanto portate nella mente e nel cuore, impartiamo, auspicio di copiose grazie celesti, la Nostra Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 455 - 459
Tipografia Poliglotta Vaticana
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