A MIGLIAIA DI FEDELI CONVENUTI A ROMA PER LA
BEATIFICAZIONE DEL BEATO FRANCESCO FASANI*
Aula della Benedizione - Mercoledì, 18 aprile 1951
Parlando dell'accoglienza che gli era stata fatta a Nazareth, Gesù diceva con un accento di tristezza: « Non est propheta sine honore nisi in patria sua et in domo sua ». Un profeta non è senza onore, fuorchè nella sua patria e in casa propria (Matth. 13, 57). Egli stesso ha voluto, per incoraggiamento dei suoi discepoli, sperimentare la verità dolorosa di questo detto, non smentita che in ben rari casi. Il vostro Beato, diletti figli, che Noi abbiamo avuto il gaudio di elevare agli onori dell'altare, è stato una di queste eccezioni. Salvo alcuni anni dedicati alla sua formazione ecclesiastica e intellettuale, egli ha trascorso tutta la sua vita nella città natale. Il figlio e l'apostolo di Lucera è sfuggito così alla sorte comune, è stato sottratto alla regola generale: forse perchè egli era già distaccato da tutti gli allettamenti e gli appoggi umani, da tutte le piccolezze dell'amor proprio.
Egli rivendica a sè la sua condizione di figlio di un povero zappatore, lavoratore della gleba; contempla con amore, ringraziando Iddio, la misera casetta nativa, ch'egli ritrova rimasta in piedi nel crollo dei palazzi che un violento terremoto ha fatto cadere in rovina; non si stanca di ripetere che, se Colui il quale « solleva dalla polvere il misero » (Ps. 112, 7), non lo avesse chiamato al suo servizio, sarebbe stato eguale a tutti i suoi congiunti, sarebbe andato, come loro, a tagliare la legna o a guardare i suini. Soprattutto con quale rispetto, con quale filiale tenerezza, alla porta del convento, ove la folla dei più bisognosi attende pazientemente dalla carità il quotidiano pasto frugale, egli porge la scodella della minestra calda alla madre, « la povera Isabella », che sta sulla soglia, mescolata al gruppo degli indigenti, come Maria attendeva Gesù dinanzi alla entrata della Sinagoga.
Ma « chi si umilia sarà esaltato » (Luc. 14, 11). La stima, l'affetto, la venerazione lo circondano. Egli non ha bisogno di schermirsene. Come l'Apostolo, insensibile al caso che si fa di lui, questo umile sa mostrare la sua fermezza e sostenere il prestigio della autorità, che egli ha dal Signore e non dagli uomini. Egli si dà alla cura dei poveri malati, dei carcerati; predica dai pulpiti, con non minor scienza teologica che semplicità comunicativa, la dottrina e la legge di Cristo; fa sentire il suo pugno di ferro nella riforma dei religiosi e nella restaurazione della osservanza regolare, congiungendo e dosando, ovvero alternando, secondo il bisogno, la severità e la dolcezza, senza detrimento della fortezza e della carità.
Quale poema sono gli ultimi giorni della sua santa vita! Un giro di visite alle famiglie a cui lo legano vincoli di gratitudine, e dalle quali vuol prendere l'estremo congedo; un supremo sforzo per alzarsi di notte, tremante per la febbre, affine di rispondere alla chiamata di un suo penitente gravemente infermo; una mattinata di confessioni; un'ultima giornata di fedeltà alla vita comune, e infine, sul letto ove lo mantiene l'ubbidienza, la serena preparazione prima di andare a render conto a Dio della sua vita e della sua missione.
Giunta per lui l'ora della ricompensa, l'umile e glorioso figlio di Lucera è acclamato, pianto, invocato da tutta la popolazione della sua città natale, senza distinzione di classe e di grado.
Più di due secoli sono trascorsi dal beato suo transito, senza che s'impallidisse la sua memoria. Possa essa vivere sempre nel vostro ricordo e anche più nella vostra fedeltà a imitare i suoi esempi, qualunque sia la condizione in cui voi dovrete svolgere la vostra attività. E intanto implorando su di voi le più elette grazie divine, impartiamo di cuore a voi e a tutti i membri della vostra serafica Famiglia la Nostra paterna Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIII,
Tredicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1951 - 1° marzo 1952, pp. 43 - 44
Tipografia Poliglotta Vaticana
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