DISCORSO
AGLI ESPOSITORI DELLA VI QUADRIENNALE DI ROMA*
Martedì, 8 aprile 1952
Con viva soddisfazione, diletti figli e figlie, cultori delle arti figurative, accogliamo il devoto omaggio vostro e delle vostre famiglie, venuti come siete a Noi in occasione della Sesta Quadriennale Romana, e vi esprimiamo il Nostro compiacimento per il dono ricordo che volete lasciarCi.
Quanto Ci sia gradita la vostra presenza, vi insegna la tradizione stessa del Pontificato Romano, che, erede di universale coltura, non ha mai cessato di pregiare l'arte, di circondarsi delle sue opere, di farla collaboratrice, nei debiti limiti, della sua divina missione, conservandone ed elevandone il destino, che è di condurre lo spirito a Dio.
E voi, da parte vostra, già al varcare la soglia di questa casa del Padre comune, vi siete sentiti nel vostro mondo, riconoscendo voi stessi e i vostri ideali nei capolavori qui adunati attraverso i secoli. Nulla dunque manca a rendere scambievolmente gradito questo incontro fra il Successore, sebbene indegno, di quei Pontefici, che rifulsero come munifici mecenati delle arti, e voi, continuatori della tradizione artistica italiana.
Non occorre che spieghiamo a voi — che lo sentite in voi stessi, spesso come nobile tormento — uno dei caratteri essenziali dell'arte, il quale consiste in una certa intrinseca « affinità » dell'arte con la religione, che fa gli artisti in qualche modo interpreti delle infinite perfezioni di Dio, e particolarmente della sua bellezza ed armonia. La funzione di ogni arte sta infatti nell'infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l'uomo è immerso, finchè vive quaggiù, e nell'aprire come una finestra al suo spirito anelante verso l'infinito.
Da ciò consegue che ogni sforzo — vano, in verità — inteso a negare e sopprimere qualsiasi rapporto fra religione ed arte, risulterebbe menomazione dell'arte stessa, poichè qualsiasi bellezza artistica che si voglia cogliere nel mondo, nella natura, nell'uomo, per esprimerla in suoni, in colori, in giuoco di masse, non può prescindere da Dio, dal momento che quanto esiste è legato a Lui con rapporti essenziali. Non si dà dunque, come nella vita, così nell'arte — sia essa intesa quale espressione del soggetto o quale interpretazione dell'oggetto — l'esclusivamente « umano », l'esclusivamente « naturale » od « immanente ». Con quanto maggior chiarezza l'arte rispecchia l'infinito, il divino, con tanta maggior probabilità di felice successo essa s'innalza all'ideale e alla verità artistica. Perciò quanto più l'artista vive la religione, tanto meglio è preparato a parlare il linguaggio dell'arte, ad intenderne le armonie, a comunicarne i fremiti.
Naturalmente siamo ben lontani dal pensare che, per essere interpreti di Dio nel senso ora esposto, si debbano trattare esplicitamente soggetti religiosi; d'altra parte, non si può contestare il fatto che forse mai come in essi l'arte ha raggiunto i suoi più alti fastigi.
In tal guisa i sommi Maestri dell'arte cristiana divennero interpreti oltre che della bellezza, anche della bontà di Dio Rivelatore e Redentore. Meraviglioso ricambio di servigi tra il Cristianesimo e l'arte. Dalla fede essi attinsero le sublimi ispirazioni; alla fede essi attrassero le anime, allorché, durante lunghi secoli, comunicarono e diffusero le verità contenute nei Libri Santi, verità inaccessibili, almeno direttamente, all'umile popolo. A ragione furono detti « Bibbia del popolo » i capolavori artistici, come, per citare noti esempi, le vetrate di Chartres, la porta del Ghiberti (con felice espressione detta del Paradiso), i mosaici romani e ravennati, la facciata del Duomo di Orvieto. Capolavori questi ed altri, che non soltanto traducono in caratteri di facile lettura e con lingua universale le verità cristiane, ma di esse comunicano l'intimo senso e la commozione con una efficacia un lirismo, un ardore, quale forse non possiede la più fervida predicazione. Ora le anime ingentilite, elevate, preparate dall'arte, sono più disposte ad accogliere la realtà religiosa e la grazia di Gesù Cristo. Ecco dunque uno dei motivi, per i quali i Sommi Pontefici, e in generale la Chiesa, onorarono ed onorano l'arte, e ne offrono le opere quale omaggio delle umane creature alla Maestà di Dio nei suoi templi, che sono stati sempre in pari tempo dimore di arte e di religione.
Coronate, diletti figli, i vostri ideali di arte con gl'ideali religiosi, che quelli rinvigoriscono ed integrano. L'artista è di per sè un privilegiato fra gli uomini; ma l'artista cristiano è, in un certo senso, un eletto, perché è proprio degli Eletti contemplare, godere ed esprimere le perfezioni di Dio. Cercate Dio quaggiù nella natura e nell'uomo, ma innanzi tutto dentro di voi; non tentate vanamente di dare l'umano senza il divino, nè la natura senza il Creatore; armonizzate invece il finito con l'infinito, il temporale con l'eterno, l'uomo con Dio, e voi darete così la verità dell'arte, la vera arte. Anche senza proporvelo espressamente come scopo, studiatevi di educare gli animi — così facilmente inclinati verso il materialismo — alla gentilezza e al gusto spirituale; avvicinateli gli uni agli altri, voi a cui è dato di parlare un linguaggio che tutti i popoli possono comprendere. Sia questa la missione a cui tenda la vocazione artistica, della quale siete a Dio debitori; missione così nobile e degna che basta da sè sola a dare alla vostra vita quotidiana, spesso aspra ed ardua, la pienezza e il fiducioso coraggio. E affinchè questi Nostri voti si adempiano e Dio sia glorificato nella vostra arte, invochiamo su di voi e sulle vostre famiglie l'abbondanza dei celesti favori, di cui sia auspicio l'Apostolica Benedizione, che di gran cuore v'impartiamo.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIV,
Quattordicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1952 - 1° marzo 1953, pp. 49 - 51
Tipografia Poliglotta Vaticana
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