DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA*
Sala Clementina - Giovedì, 10 marzo 1955
Siano rese grazie a Dio, che anche quest'anno ci ha concesso di rivolgere la parola a voi, diletti figli, parroci e Predicatori quaresimalisti di questa Nostra diocesi di Roma, per la quale noni, cessiamo di pregare e di prodigarCi, secondo le Nostre forze, offrendo per essa la Nostra stessa vita.
Il Nostro primo pensiero è di vivo compiacimento Per quanto sotto la sapiente guida del Nostro carissimo Cardinale Vicario con gli zelantissimi Vicegerenti, avete fatto e continuate a fare — anche con grandi fatiche e privazioni — per il bene della popolazione dell'Urbe. Abbiamo voluto assumere esatte informazioni e vi diremo che, pur nel desiderio di lodare anche quest'anno e addurre in esempio qualcuna delle parrocchie dove particolari imprese siano state iniziate e condotte a buon esito, ci siamo accorti che non sarebbe stato agevole di scegliere l'una o l'altra oggi che in tutta Roma è un fervore di nuova vita. Tutti vedono l'aumentato numero delle chiese, ed è parimente noto il vostro impegno per rendere più facile e fruttuosa la frequenza alla S. Messa e alle sacre funzioni. Così si svolgono ogni zona corsi di cultura religiosa per laici, e assidua cura si pone per l'assistenza della gioventù specialmente studiosa.
Ma affinchè, predicando e donandovi agli altri, non veniate a consumare tutte le vostre energie spirituali, vi siete prima raccolti in santi Esercizi, poi avete discusso i problemi Pastorali in un ben riuscito Convegno e, ultimamente, avete voluto ancora sostare in preghiera e studio, prendendo parte attiva a un Corso di « Esercitazioni per un mondo migliore », di cui Ci giungono consolanti echi da tante parti, mentre Vescovi e sacerdoti ne rilevano particolarmente la perfetta conformità ai bisogni dei termini e la straordinaria efficacia per la soluzione dei più urgenti e assillanti problemi dell'ora presente.
Diletti figli! In altre occasioni Ci siamo intrattenuti Con Voi presentandovi il parroco come un buon pastore e Parlando: della necessità che egli si faccia aiutare da una schiera ardita e pronta di cattolici militanti, capaci di portare la dottrina e gli esempi di Gesù dove al sacerdote è quasi impossibile di penetrare. Non vi dispiaccia dunque se oggi vi proponiamo alcune semplici note pastorali concernenti la vostra azione apostolica.
I. - Per il lavoro diretto al rinnovamento dei singoli, vi raccomandiamo di essere discreti nel cominciare, costanti nel continuare, coraggiosi nel portare a termine.
I) Siate anzitutto discreti nel cominciare.
Spinto dallo zelo che spesso realmente lo « divora » (Ps. 68, 10; Io. 2, 17), il sacerdote apostolo può cadere in un dannoso errore, pretendendo di conseguire tutto in una volta e volendo già fin dall'inizio quello che si presenta come il punto più arduo e bisognoso perciò di molteplice impegno e fatica. Procedere in tal modo significherebbe esporsi, quasi certamente, prima a vane illusioni e poi a delusioni amare. L'apostolo, infatti, non può fare a meno di considerare l'altrui morale debolezza, l'impreparazione intellettuale, le persone e le cose in mezzo a cui vive, e la sponda — per così dire — dalla quale l'anima traviata dovrebbe venire a lui, o meglio tornare a Dio, se si lasciasse indurre ad intraprendere la traversata. Ma attaccarla con argomenti che essa non comprende, chiederle ciò che non è preparata a dare, sarebbe certamente nocivo agli effetti dell'apostolato. Si tratta forse di ristabilire contatti interrotti: è necessario quindi di avvicinarsi delicatamente all'aniima lontana, ridestando in lei l'interesse perduto e adoperandosi per riprendere un linguaggio forse completamente dimenticato. Naturalmente tale necessaria discrezione non vuol dire un venire a patti col falso e col male. Non si tratta qui di far pace » a tutti i costi, ma di saper iniziare le trattative per una pace giusta, non tra il male e il bene — il che sarebbe assurdo —, ma tra l'uomo che rinunzia alla sua malizia e Dio che lo accoglie con infinita bontà e tenerezza immensa. Saper rinunziare alla fretta, saper attendere il momento propizio, saper dosare ciò che si dice e ciò che si chiede: ecco un primo requisito indispensabile all'azione apostolica individuale.
2) Ma un'altra dote deve avere l'apostolo nel trattare con le anime fatte oggetto delle sue cure pastorali. Accade che non sempre si ottenga ciò che si vuole, e in ogni modo è raro che si ottenga subito. Non è nemmeno escluso che ostilità, freddezza o indifferenza possano tentare il sacerdote a desistere dall'opera sua, o almeno rendano la sua azione più debole e quindi meno efficace. Bisogna, diletti figli, essere costanti, persistenti; senza cedere alla stanchezza e al tedio. Bisogna saper stare in piedi, anche quando tutto spinge a vacillare, rimaner fermi anche quando si dovesse cader bocconi, in preda ad una angoscia, che trasforma in silenziose agonie certe notti che sembrano eterne. Allora, quando le labbra dell'apostolo mormorano: «Quid lucri? » (Ps. 29, 10), o quando egli dolorosamente esclama : « Transeat a me calix iste » (Matth. 25, 39), occorre che aggiunga subito, come fece Gesù nell'orto: « Verumtamen non mea voluntas, sed tua fiat » (Luc. 22, 42). E Dio manderà l'angelo consolatore (cfr. Luc. 22, 43) a rinfrancarlo, a sorreggerlo; e la sua opera di salvezza continuerà, a coronamento del suo zelo e del suo sacrificio.
3) Ma una terza dote vorremmo nell'apostolo che attende alla santificazione delle anime.
Come abbiamo avuto occasione di notare altre volte, vi è nella Chiesa un soffio di Spirito Santo, che chiama all'eroismo, alla dedizione completa. In mezzo alle spine di un mondo ridivenuto pagano, spuntano sempre più numerosi fiori immacolati, che ricreano con la loro freschezza e incantano col loro profumo : spiriti eletti di tutte le età e di tutte le condizioni. Vorremmo che i sacerdoti sapessero santamente osare e non temessero di proporre le mete della santità più eccelsa. Perché tante anime cadono nelle reti del mondo? Perché credono di trovare in esso ciò che forma l'oggetto delle loro ansie, dei loro desideri; e invece quando è già troppo tardi, si accorgono che i frutti di quella convivenza sono l'irrequietezza, il dubbio, la tristezza, la sfiducia, l'odio. Siate coraggiosi, diletti figli. Sappiate prendere per mano le anime e spingerle dolcemente, ma fermamente, verso Gesù, verso l'amicizia con Lui, verso la trasformazione in Lui. Fate loro comprendere che solo così troveranno la pace, la fede, la gioia, la speranza, l'amore; solo così troveranno la vita.
II. - Per la vostra azione apostolica diretta al rinnovamento collettivo, torniamo alcuni istanti su quanto accennammo già nel Nostro Radiomessaggio del 10 febbraio 1952. « Studiatevi — dicevamo — che siano ben accertati i bisogni, ben chiarite le mete, ben calcolate le disponibili forze . . . di tutte si faccia un assennato impiego ».
1) Nell'accertare i bisogni evitate la superficialità.
Essa genera quello che si potrebbe chiamare il criterio dell'approssimazione, i cui disastrosi effetti si riscontrano in tutti i campi, non escluso quello dell'apostolato. A prevenire tali conseguenze occorre un lavoro di statistica fatto con serietà, con realismo esigente, con serena imparzialità.
È certo, per esempio, che molti in Roma, sodisfanno al precetto dell'assistenza alla Santa Messa festiva. Ci risulta che le chiese, anche in certe zone periferiche, sono veramente e ripetutamente affollate durante le Ss. Messe, che si celebrano la domenica e nelle feste. Può il parroco essere lieto di questa affluenza? Senza dubbio e a buon diritto; ma prima di sentirsi del tutto tranquillo, dovrebbe calcolare con sufficiente precisione il numero di coloro che sarebbero obbligati a venire e non vengono. Ci consta, infatti, che non di rado un calcolo accurato riserva sorprese sgradite al sacerdote pensoso della sorte delle anime.
Così non può negarsi che a Roma la scuola di catechismo sia frequentata in modo consolante, e che i sacerdoti (come anche i vari Istituti, Astsociazioni, Congregazioni mariane e simili) si adoperano con ogni zelo, affinchè tutto sia fatto sempre meglio. Ma appunto perchè il miglioramento possa essere più facilmente conseguito, occorre chiedersi: quanti bambini della parrocchia dovrebbero venire e non vengono? Alcun tempo fa, desiderammo di esaminare personalmente lo stato del catechismo parrocchiale in Roma, e abbiamo ancora sotto gli occhi le cifre che Ci furono comunicate. Vi sono, certamente, anche in questo campo condizioni di cose assai belle e fiorenti; ma altre non possono non rattristare ogni cuore apostolico. Opportune osservazioni, giuste considerazioni, notevoli recentissimi progressi, attenuano l'impressione che si prova a prima vista, e fanno anche sperare che possano essere rimosse alcune principali difficoltà che il solo zelo dei parroci non vale a superare.
Un'altra domanda, diletti figli. Come va l'istruzione religiosa agli adulti? Per quanti di essi le nozioni apprese nell'infanzia rimangono l'unico fondo di dottrina cristiana?
Ancora: quanti in parrocchia prendono la Pasqua? E quanti tra i vostri fedeli vi sembra che vivano in grazia di Dio?
Determinati i numeri, bisogna studiarne il significato per conoscere le cause di alcune lontananze o di alcuni ritorni. L'accertamento del male non è ancora la diagnosi, senza la quale non si può parlare di giusta prognosi, e tanto meno di cura adeguata.
2) Anche nel calcolo delle forze bisogna evitare un difetto che non di rado vediamo ricorrere. Alcune sono ignorate dal parroco, altre si « sottovalutano » o si svalutano, quando anche non si contrastano apertamente. Aprite le braccia a tutti, diletti figli, benedicendo quanto la Chiesa approva. Chiunque sia animato da buona volontà, trovi posto nella vigna del Signore, il quale accetta ogni servizio, come cerca operai di tutte le ore. Con tanto terreno da dissodare, con tante piante da coltivare, soprattutto con tanta messe da raccogliere, non è lecito al sacerdote di fermarsi — senza una ragionevole causa — a considerare i vessilli sotto i quali i fedeli si raccolgono, o i distintivi che portano, purchè siano benedetti dalla Chiesa. Sia il benvenuto chiunque si offre di aiutarvi. Il campo di Dio è vasto, e le esigenze della coltivazione sono innumerevoli.
3) Perchè possa esservi un saggio ordinamento delle forze, bisogna soprattutto guardarsi dall'individualismo.
Quando da una parte si nota il fervore di tante intraprese, ove nessuno si ferma, ove nessuno rallenta il passo, nessuno si risparmia, e dall'altra si deve riconoscere che gli effetti non sono quali tanto impiego di energie e tanta abnegazione farebbero prevedere, nasce il dubbio se forse non si combatte troppo da sè soli, troppo slegati e disuniti.
Chi sa, diletti figli, che anche in Roma non giovi riesaminare il lavoro apostolico al lume dei principi che regolano ogni retta collaborazione. Per quanto Ci consta, questa è oggi una delle esigenze più imperiose per l'azione apostolica del clero e del laicato.
Pertanto tutto quello che farete per coordinare il vostro lavoro, sarà da Noi benedetto, sarà benedetto da Dio. E Maria, sotto la cui protezione nell'ormai lontano 10 febbraio 1952 mettemmo il Nostro « grido di risveglio », continui a benedire i vostri sforzi e la vostra generosità. Così la eterna Roma splenderà sempre più fulgida davanti a tutti i popoli come faro di luce e di verità!
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVII,
Diciassettesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1955 - 1° marzo 1956, pp. 5 - 9
Tipografia Poliglotta Vaticana
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