DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARROCI E AI PREDICATORI QUARESIMALISTI DI ROMA*
Martedì, 14 febbraio 1956
Questo incontro con voi, diletti figli, predicatori quaresimalisti e parroci della città di Roma, è una ben dolce consuetudine. Ogni anno vi adunate intorno a Noi per considerare il lavoro compiuto, e soprattutto per animarvi ad operare con sempre maggiore impegno nella eletta porzione della Vigna affidata a voi dalla provvidente bontà di Dio.
Ogni anno venite a rinnovare il proposito di continuare nei vostri sforzi, affinchè la vostra azione di difesa, di conquista, di positiva costruzione divenga sempre più fervida e illuminata, sempre più ardita, concorde ed organica. Per portare, come altre volte, il Nostro contributo al vostro lavoro, eccovi una parola che vorremmo restasse impressa nel vostro cuore.
Tutti ricordate certamente la commovente scena narrata da S. Girolamo (Comm. in Epist. ad Galatas, l. 3 cap. 6 - Migne PL, t. 26 col. 462), che forse avete fatta più volte oggetto della vostra meditazione. Ad Efeso l'Apostolo ed Evangelista Giovanni nella sua estrema vecchiaia veniva a stento portato nella chiesa dalle mani dei suoi discepoli; ma, non potendo parlare a lungo con la sua stanca voce, non soleva più dire in ogni adunanza che un solo testo: Filioli, diligite alterutrum: figliuoli amatevi scambievolmente.
Attesa la loro straordinaria venerazione per il santo Vegliardo, i discepoli e i fratelli in un primo tempo ascoltarono attenti e commossi: poi cominciarono a meravigliarsi, e in ultimo finirono col manifestare il loro tedio. Ma, avendo chiesto a Giovanni il motivo di quella sua monotona ripetizione, ne ebbero una risposta degna dell'Apostolo : Quia praeceptum Domini est, et si solum fiat, sufficit: È il precetto del Signore: osservatelo, e tutto è compiuto.
La stessa parola vogliamo dirigere a voi, diletti figli, parroci di Roma, in questo incontro solenne e insieme intimo; siamo certi, dicendola, di interpretare il desiderio di Gesù, di cui vorremmo essere — oggi più che mai — semplice e fedele portavoce: Filioli: diligite alterutrum. Figliuoli, amatevi scambievolmente. Questo è il precetto del Signore: quia praeceptum Domini est.
I° - Diligite alterutrum: amatevi, anzitutto, tra voi.
Oh, lo sappiamo bene che i sacerdoti si amano! Sappiamo che si amano, grazie a Dio, più di quanto non possa apparire a un osservatore superficiale e distratto. Quando il ritmo e l'intensità del vostro lavoro vi prende e talora addirittura vi opprime; quando esso occupa intieri i vostri giorni e vi obbliga perfino talvolta a trascorrere insonni le notti, allora la vostra azione apostolica, che non ammette soste nè ritardi, può anche causare l'impressione che alcuni di voi pensino soltanto a sè, ignorando gli altri; che vi sia, quindi, tra voi poco amore. Di fatto non è così. Chi vi osserva meglio, chi vi conosce intimamente, sa che appena una necessità materiale e morale affligge uno dei vostri confratelli, voi non tardate ad accorrere per aiutarlo. Appaiono in tal guisa alcuni stati di animo che parevano non esistenti, non solo agli altri, ma anche a voi stessi: donde quelle ansie e quelle affettuose premure, che sono naturali, e tuttavia sembravano inimmaginabili. Voi vi amate già, diletti figli; ma dovete amarvi anche di più: perché questo è il precetto del Signore.
Nessun precetto, in verità, Egli ha predicato come il comandamento dell'amore; per conseguenza troviamo pochi atteggiamenti così ripudiati da Lui come la freddezza o, peggio ancora, l'odio verso i propri simili. Dell'amore egli ha fatto il suo comandamento, presentandolo come il riassunto di tutti i suoi precetti e proclamando che su di esso sarebbe, alfine, giudicato tutto il mondo. Nell'ultima Cena, dopo la scomparsa di Giuda nelle tenebre della notte, Gesù prese il tono di chi chiede un particolare raccoglimento e una speciale attenzione, perché volle riassumere tutto il suo insegnamento e mormorò: Filioli, adhuc modicum vobiscum sum: figlioli, ancora per poco tempo io rimango con voi. E continuò dicendo: mandatum novum do vobis: vi do un precetto nuovo: ut diligatis invicem, sicut dilexi vos: che vi amiate scambievolmente, come io ho amato voi. In hoc cognoscent homines quia disciputi mei estis, A dilectionem habueritis ad invicem (Io. 13, 30-35): A questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri. Disse queste parole con infinita tenerezza, quasi scandendo ogni sillaba, affinchè si imprimessero bene nelle loro menti e si incidessero nei loro cuori.
Tali parole del divino Maestro, rivolte a tutti i cristiani, si riferivano certo, in modo particolare, ai sacerdoti. Essi, come abbiamo più volte raccomandato, devono possedere tutte le doti, dalle quali dipende in gran parte l'efficacia del loro ministero; ma se, diletti figli, accanto alla fede, alla speranza, alla umiltà, alla purezza non aveste, ardente e fattivo, l'amore che Gesù prescrive, vi gioverebbero forse le altre virtù? No certamente. Parlare, infatti, le lingue degli uomini e degli angeli, far profezie ed operare miracoli, senza avere la carità, a nulla giova; anzi, è come essere un nulla: nihil sum, dichiara l'Apostolo (cfr. 1 Cor. 13, 1-3).
a) Questo amore scambievole vi farà non solo evitare ogni atto scorretto (neanche a dirlo!), ma altresì ogni parola scortese, e perfino ogni volontario pensiero malevolo. Spesso i sacerdoti sono fatti segno ad attacchi più o meno ostili, che giungono talvolta fino alla calunnia, alla maligna interpretazione delle loro parole, allo svisamento dei loro gesti. Talora gli stessi fedeli, sia pure senza cattivo animo, cooperano a rendere amara la vita del sacerdote, il quale, a somiglianza di Gesù nell'Orto, viene assalito dalla tristezza, dal tedio, dal timore.
Voi dunque vedete, diletti figli, quanto sia necessario l'amore innanzi tutto tra di voi: quanto sia indispensabile la reciproca comprensione e la stima profonda, che non solo vi impedirà di travisare i detti e i fatti dei vostri confratelli, ma vi farà propensi a interpretarli con fraterna benevolenza e a difenderli contro ogni genere di attacchi.
b) L'amore vi farà anche prevedere ciò di cui i vostri confratelli potrebbero avere bisogno; solleciti nel provvedere, diligenti nel prevenire i loro stessi desideri.
Ecco : un vostro confratello ha bisogno di consiglio, chiede conforto e attende forse un urgente soccorso. Andategli incontro, offrendogli generosamente quanto è nelle vostre possibilità, certi che l'aiutare un sacerdote, il sostenerlo e rincorarlo, l'animarlo o anche l'ammonirlo affettuosamente, è tra le divine opere la più divina, la più gradita a Gesù, sommo ed eterno Sacerdote.
Talvolta senza l'intervento tempestivo e fraterno di uno di voi, qualche mente sacerdotale rimarrebbe forse smarrita, qualche entusiasmo stroncato, alcuni ardori apostolici si spegnerebbero tristemente. Noi benediciamo perciò, con tutta l'effusione dell'animo Nostro, quanti, fra i sacerdoti, si prodigano a vantaggio dei loro confratelli; specialmente se assistono con paterna tenerezza i più giovani, fragili piante, costrette, per l'urgenza dell'opera apostolica, ad affrontare troppo presto l'impeto dei venti e le tempeste del mondo. Soltanto in cielo tale opera di salvezza e di santificazione potrà essere degnamente apprezzata.
c) Per manifestare questo vostro fraterno amore vorremmo indicarvi un mezzo particolarmente adatto. Voi sapete, diletti figli, quanto è difficile fare molto da sè soli, e come spesso è praticamente impossibile di far tutto. Siate dunque e dichiaratevi pronti a mettere insieme le vostre forze, rispondendo generosamente alle chiamate dei vostri confratelli, quando vi chiedessero aiuto per il loro apostolico ministero.
Naturalmente il retto ordine nell'apostolato e le stesse prescrizioni canoniche (can. 465) richiedono che ognuno di voi rimanga abitualmente al suo posto di lavoro; ma quando la legittima autorità permettesse o anche suggerisse di aiutarvi scambievolmente, superate per amore ogni ostacolo; si avrà così non solo la somma delle forze, ma anche, per così dire, la moltiplicazione di esse.
2° - Diligite alterutrum: amatevi scambievolmente;
amate in particolar modo coloro che sono affidati alle vostre cure.
Senza dubbio l'amore deve essere universale, deve abbracciare tutti gli uomini. Tutti, infatti, sono creature di Dio, immagine di Lui e chiamati alla beatitudine celeste.
Ma il retto ordine nell'amore può ammettere — anzi prescrive di fatto — alcuni gradi. Nulla di inconveniente, quindi, se il vostro tempo e le vostre energie saranno dedicate principalmente alle anime che più vi appartengono, perché a voi le ha affidate la Chiesa. Ad esse dovete dirigere le vostre particolari premure; per esse deve essere la vostra fervida dedizione.
a) Dedizione continua, innanzi tutto.
Salvo quindi il necessario ordine — per esempio, alcuni orari che di quest'ordine sono effetto insieme ed efficace strumento, — i sacerdoti hanno l'obbligo sacro di fare quanto è possibile, perché i fedeli abbiano facile modo di rivolgersi loro per le spirituali necessità. Ciò vale in particolar modo per l'amministrazione dei Sacramenti, che, quando vengono legittimamente richiesti anche per sola devozione, non possono essere rifiutati: Raccomandiamo specialmente di rendere possibile e agevole la Comunione quotidiana, tanto desiderata dalla Chiesa, la quale, mediante le recenti agevolazioni alla legge del digiuno eucaristico, ha voluto aprire anche più le porte dei Tabernacoli ai suoi fedeli.
b) La vostra dedizione deve essere gioiosa.
Sappiamo bene, e lo ricordavamo al principio, quanto costi al sacerdote l'essere pronto per tutti i bisogni, (spirituali, e, talora, anche temporali, specialmente in momenti difficili, come il presente), e a tutti i richiami. Sovente Noi stessi proviamo. tanta pena nell'apprendere di quante gravi fatiche sono sovraccarichi molti di voi, diletti figli; ma tale paterna comprensione non Ci dispensa dal mettervi in guardia da un pericolo, che potrebbe aver origine appunto dal vostro eccesso di lavoro: questo, infatti, potrebbe non solo rendervi mal disposti, ma talvolta addirittura irritarvi, farvi meno gentili, meno cortesi, insomma, meno caritatevoli. È facile immaginare con quanto grave danno delle anime ciò avverrebbe. Esse vengono a voi come a padri, quasi sempre con l'affanno nel cuore, con il dubbia nella mente. Poichè la carità è paziente e benefica (1 Cor, 13, 4), poichè « l'amore non sente gravame e non conosce fatica » (Imit. di Cr. 1. 3 cap. 5 n. 4), può compiere il miracolo di rendere perenne il sorriso sulle vostre labbra. Chi può immaginare il bene che viene alle anime dalla letizia del sacerdote, il quale risponde pronto e gioioso a ogni chiamata, come se fosse chiamata di Dio?
3° - Un'ultima parola bramiamo di dirvi, diletti figli.
Nei giorni scorsi abbiamo fatto oggetto di attenta considerazione le risposte da voi pervenute al questionario inviatovi dal Vicariato di Roma. È inutile dirvi quanti motivi di paterna consolazione Noi vi abbiamo trovato, rilevando tanta diffusione di luce, tanto vigore di vita, tanto fervore di opere apostoliche in molte parrocchie dei Rioni, dei Quartieri, delle Borgate e dell'Agro Romano. Tutto questo si deve al vostro spirito, vorremmo dire eroico, di abnegazione e al conseguente impeto col quale vi prodigate, raggiungendo un ritmo e una intensità di lavoro, si direbbe, superiori alle energie di cui potete effettivamente disporre.
Ma la stessa attenta meditazione Ci ha rivelato alcune ombre, che voi avete voluto lealmente mettere in evidenza. Per aiutarvi a dissiparle, Noi faremo quanto è in Nostro potere, affinchè la vostra volontà di prodigarvi senza respiro e senza riserve trovi corrispondenti opportunità di aiuto e precisione di indirizzi, e la vostra opera divenga sempre più coordinata, organica ed efficace.
È però necessario da parte vostra di conseguire quella piena fusione di menti e di cuori, che è il più nobile effetto dell'amore. Poichè sono tante e tanto importanti le battaglie da vincere per la santificazione delle anime, per la salvezza delle famiglie, per la conservazione del volto cristiano alla città di Roma, voi dovete unire i vostri sforzi per un'azione comune che non badi a interessi personali, a gelosie, a rancori, ma tutto bruci nel fuoco di una carità efficiente. Tale concorde azione voi dovete inculcare a tutti i vostri militanti, siano essi organizzati nell'Azione Cattolica, o raccolti sotto altri vessilli benedetti dalla Chiesa, od anche operanti al di fuori di ogni associazione. « Multitudinis... credentium erat cor unum et anima una » (Act. 4, 32). Questo, come ben sapete, narrano gli Atti degli Apostoli, parlando dei primi cristiani: questo deve dirsi di tutti voi, di tutti i vostri fedeli.
Un particolare paterno richiamo intendiamo di fare a quei cristiani, che operano nel campo civico e nel campo politico. Anche là si deve servire Cristo con le parole e le azioni individuali e collettive. Se qualcuno fosse tentato di usare il cristianesimo come strumento di ascesa nella infida montagna delle ambizioni personali, deve essere francamente ammonito, specie se fosse indotto da non nobili motivi ad attentare alla concordia e alla unione dei cristiani. Troppo serio continua ad essere il pericolo e troppo gigantesca l'opera, alla quale tutti siete chiamati, Occorre saper resistere ancora e rinunciare non solo, come è ovvio, a velleità personali, ma anche a idee che potrebbero apparire, ed anche essere, giuste e geniali. L'unione che raccomandiamo è frutto di amore, e l'amore è sempre sacrificio parziale o completo, ma dolce e fecondo, di ciò che abbiamo, di ciò che siamo.
Filioli diligite alterutrum. Amatevi scambievolmente. È il ricordo del vostro Padre; è la parola che con tenerezza immensa vi ripetiamo.
Ed ora, diletti figli quaresimalisti e parroci, mentre di gran cuore impartiamo l'Apostolica Benedizione a voi e a tutta la solerte opera vostra, vorremmo anche esprimere l'augurio che il nuovo Ordine della Settimana Santa, che quest'anno per la prima volta si attua, permettendo ad un più grande numero di fedeli di assistere a quei grandi e venerandi riti liturgici, apporti i frutti spirituali che se ne sperano e contribuisca all'incremento della pietà e della vita cristiana nella meditazione della passione, morte e resurrezione del Signor Nostro Gesù Cristo, Cui sia onore e gloria nei secoli. Amen!
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVII,
Diciassettesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1955 - 1° marzo 1956, pp. 529 - 535
Tipografia Poliglotta Vaticana
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