DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO NAZIONALE
DELL'UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI DIRIGENTI*
Sala del Concistoro - Giovedì, 7 marzo 1957
Con vivo compiacimento accogliamo la rinnovata testimonianza di devozione, che voi, diletti figli della « Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti », avete desiderato di renderCi in occasione del Congresso Nazionale, si potrebbe quasi dire « giubilare », da voi adunato nel decimo anno dalla fondazione del vostro Istituto.
Al presentarsi di simili date, sorge spontaneo il bisogno di rivolgere uno sguardo al passato, non soltanto per rallegrarsi dei progressi compiuti e quasi trovar riposo in essi, ma per trarre da una visione d'insieme nuovi impulsi all'azione e al perfezionamento dei propositi e degl'impegni generosamente abbracciati, quando l'Unione era sul nascere. Come in uno studio di revisione delle fondamenta, molte domande si affacciano alla mente, quali, ad esempio, se la ragion d'essere della vostra Unione conservi tuttora il carattere di necessità; se il decorso del tempo, rivelando forse qualche difetto, consigli nuovi indirizzi; ed altri simili problemi fondamentali per assicurare vigore ed efficienza all'opera vostra.
Vorremmo però indugiarCi alquanto sulla prima di quelle domande : è ancora indispensabile la vostra Unione? Rispondiamo che la sua necessità, non che attenuarsi, Ci sembra accresciuta.
L'avvenire è infatti promettente di nobili sviluppi, ma anche irto di molteplici difficoltà, tra cui emerge quella di una chiara previsione dei possibili riflessi del futuro mondo economico. Anche lo studio dei vostri scritti, cortesemente inviatíCi, specialmente sulla automazione e l'azienda agricola, lo confermano. Ardua è la prima questione, da voi affrontata concretamente come imprenditori e dirigenti italiani, non solo poiché è tale in sè stessa, ma anche perché tocca la futura capacità di concorso industriale dell'Italia con gli altri Paesi; ed ardua è altresì la seconda, che riguarda il consolidamento interno, non unicamente economico, di tutta la popolazione. Ambedue le questioni racchiudono altri estesi problemi, come, per esempio, la raccolta del necessario capitale, la formazione e l'addestramento morale, intellettuale e professionale, specialmente della gioventù, l'adeguamento del mercato e dei prezzi, dell'offerta e della richiesta, delle ore lavorative, della stessa attività politica e sindacale, alle nuove condizioni che la trasformazione tecnica creerà.
Non è Nostra intenzione di svolgere qui tali argomenti, a voi, del resto ben noti, tanto più che numerosi altri impegni non Ci permettono ora di rivolgervi se non una breve parola su due aspetti del complesso problema.
1.— Voi tutti sapete che la questione della qualità personale del lavoratore, sia esso dirigente o esecutore, in grado superiore o medio, oggi, dovunque si fanno sforzi per aumentare la produttività, scopo primario della automazione, si presenta come sommamente determinante, ma pur troppo particolarmente negletta.
Tale trascuranza, ove non trovasse rimedio, non solo ritarderebbe lo sviluppo naturale della automazione, ma potrebbe causare improvvise crisi di disoccupazione nelle classi lavoratrici, e alla fine gravi danni alla intera economia nazionale. Per evitare questo triplice inconveniente, occorre che gl'imprenditori e i dirigenti, fin da questo momento e con molto più vigore che in passato, si occupino della formazione tecnica delle, persone addette alla produzione. Anche la trasformazione del sistema produttivo artigiano del primo '800 in quello meccanico striale, benché fosse sembrata all'inizio dover mettere i valori personali dei lavoratori alla pari di semplici spettatori delle macchine, dimostrò poi una crescente esigenza di qualificazione nei tecnici e nelle maestranze. Anche maggiore sarà tale esigenza nei processi automatici, non solo durante il periodo della trasformazione, ma anche dopo per la manutenzione e il funzionamento dei nuovi macchinari. Si prevede anzi che l'era dell'automazione rafforzerà sempre più la preminenza dei valori intellettuali della classe produttrice: scienza, inventiva, organizzazione, previdenza. Senza dubbio il periodo di transizione potrebbe produrre un incremento della disoccupazione fra i lavoratori più anziani, meno adatti alla riqualificazione; . ma il pericolo grava anche sui lavoratori più giovani, qualora la nazione fosse costretta dalla concorrenza di altri Paesi ad accelerare le tappe verso l'automazione. Si rende pertanto necessario escogitare fin da ora opportuni provvedimenti, affinché il dinamismo della tecnica non si tramuti in una pubblica calamità. In ogni caso occorre che gl'imprenditori accettino il principio che la tecnica è al servizio della economia, e non viceversa.
Questo principio non si salva, se non tenendo conto delle concrete condizioni di ogni singolo Paese, particolarmente dei lavoratori, che sono una gran parte dei consumatori.
La questione, invero, del futuro, in un'epoca, qual è la presente, di rapido sviluppo tecnico, si presenta in modo diverso per ogni Paese; senza dubbio diversamente per l'Italia, col suo relativamente scarso capitale e limitata base di materie prime, ma con numerosa popolazione, in confronto a Paesi ricchi di capitale e di materie prime, e che hanno quindi i presupposti naturali per il moderno sviluppo tecnico della produzione. Anche al presente, dopo più di cento anni, non si è ancora del tutto superata in Italia la crisi dell'operaio salariato, causata dalla prima trasformazione industriale, che sacrificò alla dinamica della tecnica il primato della economia, e specialmente il primato dello scopo obiettivo della economia nazionale, ossia il benessere del popolo. L'errore consistè appunto nel rimettere tutto al meccanismo, unico (come allora si credeva) regolatore del mercato, trascurando altri provvedimenti, sia pure a lunga scadenza, che regolassero le forze produttrici con ordine e a vantaggio dell'intero corpo sociale.
La necessità di tali provvedimenti, rispondenti alle particolari condizioni del vostro Paese, permane anche nell'auspicata attuazione del progetto che gli attribuisce il suo posto nella unità dell'Europa. Questa infatti, almeno all'inizio, non potrebbe subitamente sopperire a quella relativa insufficienza di capitale e di, materie prime, che assegnano al vostro Paese uno stato d'inferiorità rispetto agli altri meglio forniti, e pertanto più pronti ad impegnarsi nella nuova tecnica. In questo caso, e fino a che tra i membri dell'Europa unita non si attuino provvedimenti di compenso, come lo scambio di lavoratori qualificati, prestiti o mercati di privilegio, sarà inevitabile una sempre crescente disproporzione nella produttività fra i Paesi o i gruppi di Paesi, e per conseguenza una minaccia alla intiera economia della vostra Nazione.
È necessario dunque che tutti, singoli e organizzazioni, studino e usino sagge previsioni a vantaggio della comune economia. La cura della superiorità nella bontà dei prodotti, il servizio ad un genuino, non artificiale bisogno del popolo, sembra che debbano essere per ora le caratteristiche della economia italiana del prossimo futuro. Ad essa dovranno essere ordinate le forze dell'intiero popolo, del produttore e del consumatore, e soprattutto del risparmiatore.
2. — Nell'assegnare a tutto il popolo come ufficio proprio, sebbene parziale, l'ordinamento della futura economia, siamo ben lontani dal consentire che tale ufficio venga addossato allo Stato come tale. Eppure, osservando l'andamento di alcuni Congressi anche cattolici in materie economiche e sociali, si può notare una sempre crescente tendenza ad invocare l'intervento dello Stato, tanto che si ha talvolta quasi l'impressione che sia questo l'unico espediente immaginabile. Ora, senza dubbio, secondo la dottrina sociale della Chiesa, lo Stato ha il suo proprio ufficio nell'ordinamento della convivenza sociale. Per adempire tale ufficio, esso deve anzi essere forte ed avere autorità. Ma coloro, che continuamente lo invocano e su di lui riversano ogni responsabilità, lo conducono alla rovina e ne f anno anche il giuoco di potenti gruppi interessati. La conclusione è che viene così a cessare qualsiasi responsabilità personale nelle cose pubbliche e che, quando alcuno parla di doveri o di negligenze dello Stato, intende i doveri o le mancanze di gruppi anonimi, tra i quali naturalmente egli non pensa di annoverarsi.
Invece ogni cittadino deve essere consapevole che lo Stato, di cui si chiede l'intervento, concretamente ed in ultima analisi è sempre la collettività dei cittadini stessi, e che quindi nessuno può pretendere da esso obblighi e pesi, al cui adempimento non sia egli stesso risoluto di contribuire, sia pure soltanto con la consapevolezza della responsabilità nell'uso dei diritti a lui accordati dalla legge.
In realtà le questioni della economia e delle riforme sociali non dipendono che molto esternamente dal buon andamento di queste o quelle istituzioni, supposto che esse non siano in opposizione col diritto naturale; ma necessariamente ed intimamente dalla qualità personale dell'uomo, dalla sua forza morale e dal buon volere di portare responsabilità e di comprendere e trattare con sufficiente coltura e perizia le cose che egli intraprende o a cui è tenuto. Nessun ricorso allo Stato può creare simili uomini. Essi debbono sorgere in mezzo al popolo, in tal guisa da impedire che l'urna elettorale, nella quale convengono, anche irresponsabilità, imperizia e passione, produca una sentenza di rovina per il vero e genuino Stato.
Ma perché, diletti Imprenditori e Dirigenti, diciamo a voi tutto questo? Perché siamo persuasi che precisamente la vostra posizione nella vita vi mette quotidianamente innanzi agli occhi come quel che più importa è l'uomo personalmente; nessun ordinamento di azienda, nessun istituto professionale o legislativo, nessuna vasta organizzazione con funzionari e adunanze, può creare o sostituire il valore personale dell'uomo. Fate conoscere e valere questa verità, poiché il pregiudizio dello Stato che deve far tutto, della istituzione che a tutto provvede, è assai diffuso. Fate conoscere e valere questa verità: ciò sarà realmente una sana politica degli Imprenditori e dei Dirigenti. Il risanamento della famiglia, la solidità della istruzione ed educazione scolastica, l'elevamento della coltura del popolo appartengono a quella politica. Ma essa si estende anche ad altre questioni, come, per esempio, apparisce a chi, forse per misurare a quale grado sia nei popolo il senso di responsabilità individuale e personale, studia accuratamente le statistiche di coloro che hanno una doppia paga, od anche quelle dell'aumento del consumo in larghi ceti della popolazione in questo certamente non ricco Paese.
Fate dunque che l'uomo consapevole, colto ed esperto trovi sempre posto nella società e nella economia e possa elevarsi a più alto grado col suo lavoro. Allora la coscienza, interprete di Dio, vi loderà dell'opera vostra, perché porterete nel popolo il meglio dei vostri cristiani ideali. E l'Italia troverà anche nella moderna economia la via verso il suo provvidenziale destino.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIX,
Diciannovesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1957 - 1° marzo 1958, pp. 27-31
Tipografia Poliglotta Vaticana;
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana