DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARTECIPANTI AL I CONGRESSO INTERNAZIONALE DI
ALTA MODA PROMOSSO DALLA «UNIONE LATINA ALTA MODA»*
Venerdì, 8 novembre 1957
Di gran cuore vi diamo il paterno benvenuto, diletti figli e figlie, promotori ed associati della « Unione Latina Alta Moda », che avete desiderato venire alla Nostra presenza per renderCi testimonianza della vostra filiale devozione e, allo stesso tempo, per implorare i celesti favori sopra la vostra Unione, ponendola, fin dal suo nascere, sotto gli auspici di Colui, alla cui gloria deve indirizzarsi ogni umana attività, anche quelle in apparenza profane, secondo il precetto dell'Apostolo delle Genti: « Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio » (1 Cor. 10, 31).
Voi vi proponete di affrontare con vedute ed intenti cristiani un problema, altrettanto delicato che complesso, i cui imprescindibili riflessi morali furono in ogni tempo oggetto di attenzione e di ansietà in coloro cui spetta per ufficio, nella famiglia, nella società e nella Chiesa, di adoperarsi per preservare le anime dalle insidie della corruzione e la comunità intiera dalla decadenza dei costumi: il problema, cioè, della moda, specialmente femminile.
È giusto che ai vostri generosi propositi corrispondano la gratitudine Nostra e della Chiesa ed il fervido voto che la vostra Unione, nata ed ispirata da una sana coscienza religiosa e civile, ottenga, mediante l'illuminata autodisciplina degli stessi artefici della moda, il duplice scopo dichiarato nei vostri statuti: moralizzare questo importante settore della vita pubblica, e contribuire ad elevare la moda a strumento ed espressione di benintesa civiltà.
Bramosi d'incoraggiare così lodevole intrapresa, consentiamo volentieri al desiderio espressoCi, di esporvi qualche pensiero, in particolare su la retta impostazione del problema e sopra i suoi aspetti morali, indicandovi altresì alcuni pratici suggerimenti, atti ad assicurare all'Unione una bene accetta autorità in un campo spesso così contrastato.
I - ALCUNI ASPETTI GENERALI DELLA MODA
Seguendo il consiglio dell'antica saggezza che addita nella finalità delle cose il supremo criterio di ogni valutazione teorica e la sicurezza delle norme morali, sarà utile di ricordare quali scopi l'uomo si sia sempre prefissi, ricorrendo al vestito. Senza dubbio egli obbedisce alle tre ben note esigenze dell'igiene, del pudore e del decoro. Sono tre necessità, così profondamente radicate nella natura, che non possono disconoscersi, nè contrariarsi, senza provocare ripulsione e pregiudizio. Conservano il loro carattere di necessità oggi come ieri; si riscontrano quasi presso ogni stirpe; si ravvisano sotto ogni forma della vasta gamma, in cui la necessità naturale del vestito si è storicamente ed etnologicamente concretata. È importante di notare la stretta e solidale interdipendenza fra le tre esigenze, nonostante che scaturiscano da sorgenti diverse: l'una dal lato fisico, l'altra dallo spirituale, la terza dal complesso psicologico-artistico.
L'esigenza igienica del vestito riguarda massimamente il clima, le sue variazioni ed altri agenti esterni, quali possibili cause di disagio o di infermità. Dalla sopraccennata interdipendenza deriva che la ragione, o meglio, il pretesto igienico non vale a giustificare la deplorevole licenza, particolarmente in pubblico e fuori dei casi eccezionali di provata necessità, anche nei quali, peraltro, ogni animo bennato non saprà sottrarsi all'angustia di uno spontaneo turbamento, espresso all'esterno dal naturale rossore. Allo stesso modo, una maniera di vestire nociva alla sanità, di cui non pochi esempi sono citati dalla storia della moda, non può essere legittimata dal pretesto estetico; come anche, le comuni norme del pudore debbono cedere al bisogno di una cura medica, che, sebbene sembri infrangerle, le rispetta invece con adoperare le debite cautele morali.
Altrettanto palese, quale origine e scopo del vestito, è l'esigenza naturale del pudore, inteso sia nel significato più largo, che comprende anche la dovuta considerazione per l'altrui sensibilità verso oggetti ripugnanti alla vista; sia soprattutto come tutela della onestà morale e scudo alla disordinata sensualità. La singolare opinione che attribuisce alla relatività di questa o quella educazione il senso del pudore; che, anzi, lo considera quasi una deformazione concettuale della innocente realtà, un falso prodotto della civiltà, e perfino uno stimolo alla disonestà e una fonte di ipocrisia, non è suffragata da nessuna seria ragione; al contrario, essa incontra una esplicita condanna nella sopravveniente ripugnanza in coloro che talvolta ardirono di adottarla come sistema di vita, confermando in tal modo la rettitudine del senso comune, manifesto nelle usanze universali. Il pudore, atteso il suo significato strettamente morale, qualunque sia la sua origine, si fonda sulla innata e più o meno cosciente tendenza di ciascuno a difendere dalla indiscriminata cupidigia altrui un proprio bene fisico, affine di riservarlo, con prudente scelta di circostanze, ai sapienti scopi del Creatore, da Lui stesso posti sotto l'usbergo della castità e della pudicizia. Questa seconda virtù, la pudicizia, il cui sinonimo « modestia » (da modus, misura, limite) esprime forse meglio la funzione di governare e signoreggiare le passioni, particolarmente sensuali, è il naturale baluardo della castità, il suo valido antemurale, poichè modera gli atti prossimamente connessi con l'oggetto proprio della castità. Quale sua scolta avanzata, la pudicizia fa sentire all'uomo il suo monito fin da quando acquista l'uso della ragione, anche prima che egli apprenda la nozione di castità e del suo oggetto, e l'accompagna per l'intiera vita, esigendo che determinati atti, in sè onesti, perchè divinamente disposti, siano protetti dal discreto velo dell'ombra e dal riserbo del silenzio, quasi per conciliare loro il rispetto dovuto alla dignità del loro grande scopo.
È quindi giusto che la pudicizia, quasi depositaria di beni così preziosi, rivendichi a sè una autorità prevalente sopra ogni altra tendenza o capriccio, e presieda alla determinazione delle fogge di vestire.
Ed ecco la terza finalità del vestito, donde più direttamente trae origine la moda, e che risponde alla esigenza innata, dalla donna maggiormente sentita, di dar risalto alla bellezza e dignità della persona, coi medesimi mezzi che provvedono a soddisfare le altre due. Per evitare di restringere l'ampiezza di questa terza esigenza alla sola bellezza fisica, e molto più per sottrarre il fenomeno della moda alla bramosia di seduzione quale prima ed unica sua causa, il termine decoro è preferibile a quello di abbellimento. L'inclinazione al decoro della propria persona procede manifestamente dalla natura, ed è pertanto legittima.
Prescindendo dal ricorso al vestito per celare le imperfezioni fisiche, ad esso la gioventù chiede quel risalto di splendore, che canta il lieto tema della primavera della vita ed agevola, in armonia coi dettami della pudicizia, le premesse psicologiche necessarie alla formazione di nuove famiglie; mentre l'età matura dall'appropriato vestito intende ottenere un'aura di dignità, di serietà e di serena letizia. In ogni caso in cui si miri ad accentuare la bellezza morale della persona, la foggia del vestito sarà tale da quasi eclissare quella fisica nell'ombra austera del nascondimento, per stornarlo dall'attenzione dei sensi, e concentrare invece la riflessione sullo spirito.
Il vestito, considerato da questo lato più ampio, ha un suo proprio linguaggio multiforme ed efficace, talora spontaneo, e quindi fedele interprete di sentimenti e di costumi, tal altra convenzionale e artefatto, e per conseguenza scarsamente sincero. In ogni modo al vestito è dato di esprimere la gioia ed il lutto, l'autorità e la potenza, l'orgoglio e la semplicità, la ricchezza e la povertà, il sacro ed il profano. La concretezza delle forme espressive dipende dalle tradizioni e dalla coltura di questo o quel popolo, mentre la loro mutevolezza è tanto più lenta, quanto più stabili sono le istituzioni, i caratteri e i sentimenti, che quelle fogge interpretano.
A dare risalto alla bellezza fisica accudisce espressamente la moda, arte antica, dalle origini incerte, complessa per i fattori psicologici e sociali che vi si mescolano, e che al presente ha raggiunto una indiscutibile importanza nella vita pubblica, sia come espressione estetica del costume, sia come desiderio del pubblico e convergenza di rilevanti interessi economici. Dalla osservazione approfondita del fenomeno risulta che la moda non è solo bizzarria di forme, ma punto di incontro di diversi fattori psicologici e morali, quali il gusto del bello, la sete di novità, l'affermazione della personalità, l'insofferenza per la monotonia, non meno che il lusso, l'ambizione, la vanità. La moda è bensì eleganza, condizionata però da un continuo mutarsi, in tal guisa che la sua stessa instabilità le conferisce il contrassegno più evidente. La ragione del perpetuo suo mutarsi, più lento nelle linee fondamentali, rapidissimo invece nelle variazioni secondarie, al presente divenute stagionali, sembra da ricercarsi nell'ansia di superamento del passato, facilitata dall'indole frenetica dell'epoca contemporanea, che ha il tremendo potere di bruciare in breve tempo tutto ciò che è destinato alla soddisfazione della fantasia e dei sensi. È comprensibile che le nuove generazioni, protese verso il loro proprio avvenire, sognato diverso e migliore di quello dei loro padri, sentano il bisogno di staccarsi da quelle forme non solo di vestito, ma di oggetti e di arredamento, che più palesemente ricordano un modo di vivere che si vuole sorpassare. Ma l'estrema instabilità della presente moda è soprattutto determinata dalla volontà dei suoi artefici e guide, che hanno dalla loro, parte mezzi sconosciuti nel passato, come l'enorme e svariata produzione tessile, la fertilità inventiva dei « modellisti », la facilità dei mezzi di informazione e di « lancio » nella stampa, nel cinema, nella televisione e nelle mostre e « sfilate ». La rapidità dei mutamenti è inoltre favorita da una specie di muta gara, in verità, non nuova, tra le « élites », desiderose di affermare la propria personalità con forme originali di abbigliamento, e il pubblico, che immediatamente se le appropria, con imitazioni più o meno felici. Nè deve trascurarsi l'altro sottile e decadente motivo : lo studio dei « modellisti » che, per assicurare successo alle loro « creazioni », puntano sul fattore della seduzione, consapevoli dell'effetto che provocano la sorpresa e il capriccio continuamente rinnovati.
Un'altra caratteristica della moda odierna è che essa, pur restando principalmente un fatto estetico, ha assunto altresì le proprietà di un elemento economico di grandi proporzioni. Alle poche antiche sartorie di alta moda, che da questa o quella metropoli dettavano incontrastate le leggi dell'eleganza al mondo di coltura europea, si sono sostituite numerose organizzazioni, potenti per mezzi finanziari, che mentre soddisfano il fabbisogno dell'abbigliamento, formano il gusto delle popolazioni, ne stimolano i desideri allo scopo di costituirsi mercati sempre più vasti. Le cause di tale trasformazione sono da ricercarsi, da una parte, nella così detta « democratizzazione » della moda, per cui un sempre più largo numero d'individui soggiace al fascino dell'eleganza, dall'altra, nel progresso tecnico, che consente la produzione in serie di modelli, altrimenti costosi, ma ora resi facilmente acquistabili sul mercato delle cosiddette « confezioni ». È sorto in questo modo il mondo della moda, che abbraccia artisti e artigiani, industriali e commercianti, editori e critici, e inoltre, un'intiera classe di umili lavoratori e lavoratrici, che dalla moda ritraggono i proventi per vivere.
Benché il fattore economico sia la forza motrice di questa attività, l'anima ne è sempre il « modellista », colui, cioè, che con geniale scelta dei tessuti, dei colori, del taglio, della linea e degli ornamenti accessori, dà vita a un nuovo modello espressivo e gradito al grande pubblico. Non è a dire quanto sia difficile quest'arte, frutto di genialità e di perizia, e molto più, di sensibilità riguardo al gusto del momento. Un modello, del cui felice successo si sia certi, acquista l'importanza di una invenzione; si circonda del segreto, in attesa del « lancio »; quindi, posto in vendita, riscuote alti prezzi, mentre i mezzi di informazione ne danno larga diffusione, parlandone come se si trattasse di un avvenimento d'interesse nazionale. L'influsso dei « modellisti » è tanto risolutivo, che la stessa industria tessile si fa da essi guidare nella determinazione della propria produzione, sia come qualità che come quantità. Egualmente grande è il loro influsso sociale nella parte che ad essi spetta nell'interpretare il pubblico costume; poichè, se la moda è stata sempre l'espressione esteriore delle usanze di un popolo, oggi è tale anche più di quando il fenomeno si svolgeva come frutto di riflessione e di studio.
Ma la formazione del gusto e delle preferenze nel popolo e la direzione stessa della società verso costumi seri oppure decadenti non dipendono solo dai modellisti, bensì da tutto il complesso organizzato della moda, specialmente dalle case produttrici e dalla critica, in quel settore più raffinato che ha per clienti le classi sociali più elevate, assumendo il nome di « Alta Moda », quasi per designare la scaturigine delle correnti che poi il popolo seguirà, pressochè ciecamente e come per magica imposizione.
Ora, di fronte a tanti e così elevati valori, chiamati in causa dalla moda e talora messi a repentaglio, quanti ne abbiamo qui enumerati con rapidi cenni, appare provvidenziale l'opera di persone, tecnicamente e cristianamente preparate, che si propongono di contribuire all'affrancamento della moda da tendenze non commendevoli; di persone che vedono in essa anzitutto l'arte del saper vestire, il cui scopo è bensì, quantunque parzialmente, quello di mettere in moderato risalto la bellezza del corpo umano, capolavoro della creazione divina, però in modo che non resti offuscato ma, al contrario, sia esaltato — come si esprime il Principe degli Apostoli, — « l'ornamento incorruttibile di uno spirito tranquillo e modesto, che è tanto prezioso agli occhi di Dio » (1 Petr. 3, 4).
II –IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA MORALE DELLA MODA E SUE SOLUZIONI
Se non che, conciliare in equilibrata armonia l'ornamento esteriore della persona con quello interiore di « uno spirito tranquillo e modesto » costituisce il problema della moda. Ma esiste davvero — si domandano alcuni — un problema morale intorno ad un fatto tanto esteriore, contingente e relativo, qual è la moda? E, ciò concesso, in che termini va posto il problema, e con quali principi deve essere risolto?
Non è qui il caso di deplorare estesamente la insistenza di non pochi contemporanei nello sforzo di sottrarre al dominio morale le attività esteriori dell'uomo, quasi appartenessero ad un altro universo, e l'uomo stesso non ne fosse il soggetto, il termine e, quindi, il responsabile davanti al Sommo Ordinatore di tutte le cose. È ben vero che la moda, come l'arte, la scienza, la politica e simili attività, cosiddette profane, hanno norme proprie per raggiungere le immediate finalità cui sono destinate; tuttavia il loro soggetto è invariabilmente l'uomo, il quale non può prescindere dal volgere quelle attività all'ultimo e supremo fine, cui egli stesso è essenzialmente e totalmente ordinato. Esiste dunque il problema morale della moda, non solo in quanto attività genericamente umana, ma più specificamente, in quanto essa si esplica in un campo comune, o almeno molto prossimo, ad evidenti valori morali, e, anche più, in quanto gli scopi, per sè onesti della moda, sono più esposti ad essere confusi dalle prave inclinazioni della natura umana decaduta per la colpa originale, e tramutati in occasioni di peccato e di scandalo. Tale propensione della natura corrotta ad abusare della moda condusse la tradizione ecclesiastica a trattarla non di rado con sospetto e con severi giudizi, espressi da insigni oratori sacri con vivace fermezza, e da zelanti missionari, perfino coi « bruciamenti delle vanità », che, conformemente alle usanze ed alla austerità di quei tempi, erano stimati di efficace eloquenza presso il popolo. Da tali manifestazioni di severità, che in fondo mostravano la materna sollecitudine della Chiesa verso il bene delle anime ed i valori morali della civiltà, non è lecito però di arguire che il cristianesimo esiga quasi un'abiura assoluta del culto o cura della persona fisica e del suo esterno decoro. Chiunque concludesse in questo senso, dimostrerebbe di aver dimenticato quanto scriveva l'Apostolo delle Genti: « Le donne si ornino di abito decente con verecondia e modestia » (1 Tim. 2, 9).
La Chiesa, pertanto, non biasima nè condanna la moda, quando è destinata al giusto decoro e ornamento del corpo; tuttavia non manca mai di mettere in guardia i fedeli dai suoi facili traviamenti.
Quest'attitudine positiva della Chiesa deriva da motivi ben più alti di quelli meramente estetici o edonistici assunti da un rinverdito paganesimo. Ella sa ed insegna che il corpo umano, capolavoro di Dio nel mondo visibile al servizio dell'anima, fu elevato dal divino Redentore a tempio e a strumento dello Spirito Santo, e come tale dev'essere rispettato. La sua bellezza non dovrà quindi essere esaltata come fine a sè stessa, tanto meno in guisa da avvilire quella acquisita dignità.
Sul terreno concreto è innegabile che accanto ad una moda onesta se ne dà un'altra invereconda, causa di turbamento negli spiriti ordinati, se non anche incentivo al male. È sempre arduo indicare con norme universali le frontiere tra l'onestà e la inverecondia, poichè la valutazione morale di una acconciatura dipende da molti fattori; tuttavia la cosiddetta relatività della moda rispetto ai tempi, ai luoghi, alle persone, alla educazione non è una valida ragione per rinunziare « a priori » a un giudizio morale su questa o quella moda che nel momento oltrepassa i limiti della normale pudicizia. Questa, quasi senza esserne interrogata, avverte immediatamente ove si annidi la procacità e la seduzione, l'idolatria della materia ed il lusso, o soltanto la frivolezza; e se abili sono gli artefici della moda invereconda nel contrabbando del pervertimento, mescolandolo in un insieme di elementi estetici in sè onesti, più destra è purtroppo la umana sensualità a scoprirlo e pronta a risentirne il fascino. La maggiore sensibilità nell'avvertire l'insidia del male, qui come altrove, ben lungi dal costituire un titolo di biasimo per chi ne è fornito, quasi fosse soltanto effetto d'interiore depravazione, è, al contrario, il contrassegno della illibatezza d'animo e della vigilanza sulle passioni. Ma per quanto vasta ed instabile possa essere la relatività morale della moda, esiste sempre un assoluto da salvare, dopo aver ascoltato il monito della coscienza, nell'avvertire il pericolo: la moda non deve mai fornire un'occasione prossima di peccato.
Tra gli elementi oggettivi che concorrono a formare una moda invereconda sta in primo luogo la cattiva intenzione dei suoi artefici. Ove questi si propongano di suscitare coi loro modelli fantasmi e sensazioni non caste, non manca loro, anche senza giungere all'estremo, una tecnica di larvata malizia. Essi sanno, tra l'altro, che l'ardimento in tale materia non può essere spinto oltre certi limiti, ma sanno altresì che l'effetto cercato si trova a breve distanza da questi, e che un'abile mescolanza di elementi artistici e seri con altri più scadenti sono maggiormente atti a sorprendere la fantasia ed i sensi, mentre rendono il modello accettabile alle persone che il medesimo effetto desiderano, senza però compromettere, almeno a parer loro, il buon nome di persone oneste. Ogni risanamento della moda deve pertanto cominciare dalla intenzione sia di chi modella come di chi indossa : nell'uno e nell'altro deve essere ridestata la coscienza di responsabilità per le conseguenze nefaste che possono derivare da un abbigliamento troppo ardito, specialmente se portato nelle pubbliche vie.
Più dappresso, l'immoralità di talune mode dipende, in massima parte, dagli eccessi, sia d'immodestia che di lusso. Quanto ai primi, che praticamente chiamano in causa il taglio, questi debbono essere valutati non secondo l'estimazione di una società in decadenza o già corrotta, ma secondo le aspirazioni di una società che pregia la dignità e la serietà del pubblico costume. Si suol dire sovente, e quasi con inerte rassegnazione, che la moda esprime il costume di un popolo; ma sarebbe più esatto e maggiormente utile dire che esprime la volontà e la direzione morale che una nazione intende prendere, cioè, se naufragare nella sfrenatezza, oppure mantenersi al livello, cui l'hanno innalzata la religione e la civiltà.
Non meno nefasti, benché in campo diverso, sono gli eccessi della moda, quando le si assegna l'ufficio di soddisfare la sete di lusso. L'esiguo merito del lusso, come fonte di lavoro, è quasi sempre annullato dai gravi disordini che ne derivano alla vita privata e pubblica. Prescindendo dallo sperpero di ricchezze che il lusso eccessivo esige dai suoi adoratori, destinati per lo più ad esserne divorati, esso suona sempre offesa all'onestà di chi vive del proprio lavoro, mentre rivela cinismo di animo verso la povertà, sia col denunciare troppo facili guadagni, sia seminando sospetti sulla condotta di vita di chi se ne circonda. Là, dove la coscienza morale non riesce a moderare l'uso delle ricchezze, sia pure onestamente guadagnate, o si elevano paurose barriere tra classe e classe, oppure l'intiera società andrà alla deriva, snervata dalla corsa verso l'utopia della materiale felicità.
L'avere accennato ai danni che la sfrenatezza della moda può cagionare agli individui ed alla società, non significa voler comprimerne la forza espansiva, nè coartare l'estro creativo dei suoi autori, e neppure ridurla alla immobilità delle fogge, alla monotonia o a tetra severità, bensì indicarle il retto sentiero, affinché raggiunga lo scopo di essere fedele interprete della tradizione civile e cristiana. Per ottenere ciò, varranno pochi princìpi, quasi capisaldi nella soluzione del problema morale della moda, dai quali è facile dedurre norme più concrete.
Il primo è di non dare troppo poca importanza all'influsso della moda stessa sia nel bene che nel male. Il linguaggio dell'abbigliamento, come già abbiamo accennato, è tanto più efficace, quanto più frequente e compreso da ognuno. La società, per così dire, parla col vestito che indossa; col vestito rivela le segrete sue aspirazioni, e di esso si serve, almeno in parte, per edificare o distruggere il proprio avvenire. Ma il cristiano, autore o cliente che sia, si guarderà dal far poco caso dei pericoli e delle rovine spirituali, seminate dalle mode immodeste, specialmente pubbliche, per quella coerenza che deve esistere tra la dottrina professata e la condotta anche esterna. Egli ricorderà l'elevata purezza che il Redentore esige dai suoi discepoli, anche negli sguardi e nei pensieri; e ricorderà altresì la severità dimostrata da Dio coi seminatori di scandali. Può essere, a proposito, richiamata alla mente la forte pagina del profeta Isaia, ove si vaticina l'obbrobrio destinato alla città santa di Sion per l'impudicizia delle sue figlie (cfr. Is. 3, 16-24); e l'altra in cui il sommo Poeta italiano esprimeva, con parole roventi, la propria indignazione per la inverecondia serpeggiante nella sua città (cfr. Purg. 23, 94-108).
Il secondo principio è che la moda dev'essere signoreggiata, anzichè abbandonata al capriccio, e supinamente servita. Ciò vale per gli artefici della moda — modellisti e critici —, ai quali la coscienza chiede di non assoggettarsi ciecamente al depravato gusto che la società, o meglio una sua parte, non sempre la più ragguardevole per saggezza, può manifestare. Ma ha valore anche per gli individui, dai quali la dignità esige che si affranchino, con libera e illuminata coscienza, dalla imposizione di determinati gusti, discutibili specialmente in sede morale. Signoreggiare la moda vuol dire anche reagire con fermezza alle correnti avverse alle migliori tradizioni. La padronanza sulla moda non infirma, bensì convalida il detto « la moda non nasce fuori e contro la società », purchè a questa si attribuisca, come si deve, consapevolezza ed autonomia nel dirigere sè stessa.
Il terzo principio, anche più concreto, è il rispetto della « misura », ossia della moderazione in tutto il campo della moda. Come gli eccessi sono le cause principali della sua deformazione, cosi la moderazione conserverà il suo pregio. Essa dovrà agire innanzi tutto sugli animi, regolando la bramosia del lusso, dell'ambizione, del capriccio ad ogni costo. Dal senso della moderazione si lasceranno guidare gli artefici della moda, specialmente i « modellisti », nel disegnare la linea o il taglio, e nello scegliere gli ornamenti di un abito, persuasi che la sobrietà è la dote migliore dell'arte. Ben lungi dall'idea di volerli ricondurre a forme superate dal tempo — del resto non di rado ricorrenti come novità nella moda —, ma solo per confermare il valore perenne della sobrietà, vorremmo invitare gli odierni artisti a soffermarsi, nei capolavori dell'arte classica, su talune figure muliebri d'indiscusso valore estetico, dove il vestito, improntato alla cristiana pudicizia, è degno ornamento della persona, con la cui bellezza si fonde come in un unico trionfo di mirabile dignità.
III – PARTICOLARI SUGGERIMENTI AI PROMOTORI
ED ASSOCIATI DELL'« UNIONE »
Ed ora qualche particolare suggerimento a voi, diletti figli e figlie, in quanto siete promotori ed associati della « Unione Latina Alta Moda ». Ci pare che la parola stessa « latina », con cui avete voluto designare la vostra Associazione, esprima, non soltanto una sfera geografica, ma soprattutto l'indirizzo ideale della vostra azione. Infatti questo termine « latino », così ricco di alti significati, sembra esprimere, tra l'altro, la viva sensibilità ed il rispetto per i valori di civiltà, e al tempo stesso il senso della « misura », dell'equilibrio e della concretezza, qualità tutte necessarie ai componenti la vostra Unione. Con Nostro gradimento abbiamo notato che questi caratteri hanno ispirato gli scopi statutari, da voi cortesemente sottoposti alla Nostra conoscenza, scaturiti da una compiuta visione del complesso problema della moda, ma specialmente, dalla vostra ferma persuasione della sua responsabilità morale. Il vostro programma è pertanto ampio quanto il problema stesso, contemplando tutti i settori determinanti la moda: il ceto femminile direttamente, col proposito di guidarlo nella formazione del gusto e nella scelta dell'abbigliamento; le case « creatrici della moda » e l'industria tessile, affinchè,, in mutua intesa, adeguino la loro produzione ai sani principi professati dall'Unione; e poichè la vostra Unione si compone di organismi, non semplicemente spettatori, bensì operanti e, quasi diremmo, protagonisti nel teatro della moda, il suo programma si occupa opportunamente anche dell'aspetto economico, al presente reso più arduo dalle previste trasformazioni della produzione ed unificazione dei mercati europei.
Una delle condizioni indispensabili per ottenere gli scopi della vostra Unione è la formazione di un sano gusto nel pubblico. Impresa, per verità, ardua, contrastata talora con premeditato disegno, essa esige da voi molta intelligenza, molto tatto e molta pazienza. Nonostante tutto, affrontatela con animo impavido, certi delle buone alleanze che incontrerete, in primo luogo, nelle ottime famiglie cristiane, che in gran numero conta ancora la vostra patria. È chiaro che la vostra sollecitudine in questo senso, deve essere rivolta massimamente a conquistare alla vostra causa coloro che con la stampa ed altri mezzi d'informazione, dirigono la pubblica opinione. Nella moda, più che in qualsiasi altra attività, il popolo vuol essere guidato. Non che sia sprovvisto di spirito critico in fatto di estetica e di onestà, ma, talora troppo docile, tal altra pigro ad impiegare questa facoltà, accoglie a tutta prima ciò che gli si offre, salvo a rendersi conto più tardi della mediocrità o della sconvenienza di certi modelli. Occorre, perciò, che la vostra azione sia tempestiva. Tra coloro inoltre, che al presente guidano con maggiore efficacia il gusto del pubblico, occupano un posto preminente le persone che godono celebrità, particolarmente nel mondo del teatro e del cinema. Com'è grave la loro responsabilità, così sarà feconda la vostra azione, ove riusciste a guadagnarne almeno alcune alla buona causa.
Un contrassegno proprio della vostra Unione sembra essere lo studio premuroso dei problemi estetici e morali della moda in incontri periodici, come il presente Congresso, a tendenza sempre più internazionale, persuasi, come siete, che la moda dell'avvenire avrà un carattere unitario nei singoli continenti. Adoperatevi dunque di arrecare in cotesti convegni il cristiano contributo della vostra intelligenza e perizia, con tale suadente saggezza che nessuno debba sospettare in voi nè pregiudizi di parte, nè debolezza di compromessi. La salda coerenza ai vostri principi sarà messa alla prova dallo spirito cosiddetto moderno, insofferente di freno, e dalla stessa indifferenza di molti verso il lato morale della moda. I sofismi più insidiosi, che sogliono ripetersi per giustificare l'inverecondia, sembrano essere i medesimi dappertutto. Uno di questi fa leva sull'antico detto « ab assuetis non fit passio », allo scopo di dare per superata la sana ribellione degli onesti contro fogge troppo ardite. Occorre forse dimostrare quanto sia fuor di luogo l'antico detto in tale questione? Già abbiamo accennato, parlando dei limiti assoluti da salvare nel relativismo della moda, alla infondatezza anche di un'altra fallace opinione, secondo cui la modestia non si confà più all'epoca contemporanea, ormai affrancata da scrupoli inutili e dannosi. Certo si danno gradi differenti di pubblica moralità secondo i tempi, le indoli e le condizioni di civiltà dei singoli popoli; ma questo stato di fatto non invalida l'obbligo di tendere all'ideale della perfezione, nè è un motivo sufficiente per rinunziare alle altezze morali conseguite, le quali si manifestano appunto nella maggiore sensibilità che le coscienze hanno riguardo al male ed ai suoi agguati.
S'impegni, dunque, la vostra Unione con alacre animo in questa lotta, che mira ad assicurare al pubblico costume della vostra patria un grado sempre più elevato di moralità, degno delle sue tradizioni cristiane. Non a caso nominiamo « lotta » l'opera vostra intesa a moralizzare la moda, come è lotta ogni altra intrapresa, che intenda restituire allo spirito il predominio sulla materia. Considerate ciascuna in particolare, esse sono episodi singoli e significativi dell'aspro e perenne combattimento, che deve sostenere quaggiù chiunque sia chiamato a libertà dallo Spirito di Dio; combattimento, di cui l'Apostolo delle Genti descrive con ispirata esattezza il fronte e le opposte milizie. « La carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito li ha contrari alla carne; son cose opposte tra loro, sì che voi non dovete fare tutto quel che vorreste » (Gal . 5, 17). Enumerando quindi le opere della carne, quasi tetro inventario della eredità della colpa originale, egli allinea tra di esse anche l'impurità, cui oppone, quale frutto dello Spirito, la modestia. Impegnatevi generosamente e con fiducia, senza lasciarvi giammai sorprendere dalla timidezza, che fece dire alle milizie, poche di numero ma eroiche, del grande Giuda Maccabeo « Come potremo noi in così pochi combattere contro una moltitudine così grande? » (1 Mac, 3, 17). V'incoraggi la stessa risposta del medesimo grande combattente di Dio e della patria : « Il vincere una battaglia non sta nel numero dei soldati, ma dal Cielo viene la forza » (ibid. 19).
Con questa celeste sicurezza nell'animo, Ci congediamo da voi, diletti figli e figlie, ed eleviamo le Nostre suppliche all'Onnipotente, affinché si degni di prodigare la sua assistenza sopra la vostra Unione, e le sue grazie a ciascuno di voi, alle vostre famiglie ed, in particolare, agli umili lavoratori e lavoratrici della moda. Come pegno degli auspicati favori, v'impartiamo di tutto cuore la Nostra paterna Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIX,
Diciannovesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1957-1° marzo 1958, pp. 569-582
Tipografia Poliglotta Vaticana
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