DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARTECIPANTI AL III CONVEGNO NAZIONALE
ITALIANO DELLE PASTE ALIMENTARI*
Venerdì, 22 novembre 1957
Vi diamo il Nostro affettuoso benvenuto, diletti figli, partecipanti al vostro 3° Convegno nazionale delle Paste alimentari. Pensosi della crisi produttiva cui esse sono esposte, voi avete voluto riunirvi per scoprirne le cause e cercare insieme i rimedi atti a rimuoverne — possibilmente fin dalla radice — gli inconvenienti. La larga partecipazione di Membri del Governo, di Parlamentari illustri, di uomini di scienza capaci di considerare il problema nell'aspetto igienico-dietetico, economico e tecnico, assicura al vostro Convegno la serietà degli intenti, la concretezza delle impostazioni, la profondità delle trattazioni. Occorre sottolineare e — ove fosse il caso — anche sfatare alcuni pregiudizi nati talvolta dall'immaginazione di fatti insussistenti, talvolta anche da inesatte osservazioni o da errate interpretazioni li fenomeni peraltro innegabili.
Trattasi di studiare con quali mezzi si possa assicurare una adeguata attività ai nuovi impianti meccanici dei pastifici, oggi che essi hanno conseguito una perfezione tale da ottenere potenziali di produzione grandemente superiori alle necessità del mercato. Trattasi altresì di esaminare le possibilità di ridurre il numero e diminuire la gravità di alcuni ostacoli, che derivano dai rigidi regolamenti economici fra le nazioni e impediscono, per esempio, all'Italia di riavere, se non il primato, almeno un posto congruo nell'esportazione di tali prodotti.
La Chiesa, che benedice ogni progresso della scienza e incoraggia il retto uso che ne fa la tecnica e l'organizzazione a vantaggio dell'umana famiglia, vede con materno compiacimento 1 vostro Convegno.
Come voi ben sapete, le prime origini della pasta — quale oggi si presenta sulle vostre mense — non sono sicure, né quanto al tempo né quanto al modo, sebbene si facciano molte ipotesi e si narrino varie, anche geniali e graziose leggende.
Sembra tuttavia certo che la produzione delle paste alimentari fu per alcuni secoli opera esclusivamente casalinga. Si passò poi alla produzione artigiana nelle botteghe dei « vermicellai », che un tempo dovettero divenire assai numerose, se è vero che in Roma, nel 1641, fu emessa un'ordinanza, con la quale si vietava di aprirne nuove, che non fossero distanti almeno ottanta metri le une dalle altre. Finalmente, col progresso tecnico, alle botteghe dei « vermicellai » successe lo stabilimento industriale vero e proprio. Da allora ogni processo di lavorazione nei suoi distinti periodi e nel suo complesso viene disposto e attuato secondo leggi fisiche, chimico-fisiche, chimico-biologiche, che gli studi recenti hanno messo in luce. Se oggi non vi sono più pastifici attrezzati coi vecchi sistemi in discontinuo (impastatrice, gramola, e pressa), restano, tuttavia, le fasi della fabbricazione, così chiamate nella letteratura tecnica: la vagliatura degli sfarinati, l'idratazione, l'impastamento, la gramolazione e, infine, la trafilazione o formatura. Si procede, quindi, alla essiccazione, che è la fase più delicata, forse più difficile e meno conosciuta; da essa dipende non solo la conservabilità del prodotto, ma anche, almeno in parte, il gusto, la digeribilità, l'assimilazione.
Voi siete riuniti per studiare quanto concerne il miglioramento continuo del processo di fabbricazione, e quindi il modo più razionale e proficuo di distribuzione del prezioso prodotto. Noi facciamo voti, diletti figli, affinchè non manchi ai vostri lavori la benedizione abbondante di Dio. Possiate contribuire, con la vostra capacità, col vostro buon volere, con lo sforzo concorde, alla ricerca e alla scoperta delle più adatte soluzioni dei problemi, che vi tengono in ansia. E siccome avete desiderato di ascoltare da Noi qualche pensiero, eccovelo così come Ci è nato in cuore. L'uomo non è un angelo, perchè ha un corpo; non è una creatura irragionevole, perchè ha un'anima spirituale. E ogni tipo di vita ha bisogno del proprio cibo.
1.— Anzitutto è cosa doverosa e salutare adoperarsi per nutrire il proprio corpo e quello degli altri uomini.
È vero : il corpo è materia, il corpo è corruttibile. In esso, dopo la caduta di Adamo, è una misteriosa legge : la legge del peccato. A causa di questa legge il corpo umano è, secondo la forte espressione paolina, « corpo di morte » (cfr. Rom. 7, 23-24), in quanto cioè il corpo, in cui abita il peccato, è causa della morte dell'anima. Di qui il grido dell'Apostolo invocante la liberazione. Di qui anche il proposito di « castigare » e assoggettare il proprio corpo (1 Cor. 9, 27), affinchè non prenda il sopravvento.
Ma tali espressioni non significano che, mentre l'uomo è in vita, debba trascurare il corpo, fino a disprezzarlo e quasi a distruggerlo. Lo stesso Apostolo, infatti, afferma con precisione il valore dei corpi umani. Essendo creature di Dio, essi possono essere offerti « ostia viva, santa, gradevole a Dio » (Rom. 12, 1). Sono per il Signore, e il Signore è per essi (cfr. 1 Cor. 6, 13). Sono membra di Cristo (ibid. 15), e tempio dello Spirito Santo (ibid. 19).
Ascoltando tali espressioni, nessuno potrebbe accusare la Chiesa di essere nemica dei corpi. Bisogna dominarli, sì, bisogna costringerli a rimanere al loro posto, che è posto di servizio e non di dominio dell'uomo. Ma proprio affinchè servano, bisogna averne cura: bisogna nutrirli, per esempio. L'alimentazione, infatti, è un'indispensabile funzione fisiologica, sul cui programma minimo (salve le opere di mortificazione e di penitenza non possono farsi gravi rinunzie senza compromettere, forse irrimediabilmente, la salute fisica, talvolta la stessa salute morale, degli individui; senza ridurre la produttività economica del popolo, senza creare ostacoli allo sviluppo organico della stirpe umana. Per questo Noi preghiamo il Padre nostro celeste secondo l'insegnamento di Gesù: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano » (Luc.11, 3). È dunque cosa buona, cosa meritoria, l'occuparsi dell'alimentazione; si provvede così alla reintegrazione dell'organismo mediante i materiali plastici o di recupero, e si fornisce l'organismo dell'energia necessaria.
2. — Ma vi è un altro cibo, il cibo dell'anima, che non può essere trascurato, perchè è incomparabilmente più necessario ed importante.
Un giorno gli Apostoli erano andati in città per acquistare provviste. Gesù era rimasto seduto sul pozzo di Giacobbe nel territorio della città di Sicar, stanco ed affaticato per il lungo viaggio. E quando essi tornarono, lo trovarono a colloquio con una donna samaritana, la quale, venuta ad attingere acqua per dissetare il corpo, si era trovata presso la fonte di acqua viva zampillante per la vita eterna (cfr. Io. 4, 5 e ss.). Gli Apostoli invitarono il Maestro a mangiare. Ma Egli, assorto nel pensiero dell'opera che la provvidenza del Padre gli aveva affidata, rispose che aveva un cibo, che essi non conoscevano. E aggiunse : « Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato » (Io. 4, 34).
Poiché l'uomo non è un angelo, è cosa buona per lui nutrire il corpo; poiché non è una creatura irragionevole, gli è tanto più necessario nutrire l'anima. Cibo dell'anima è fare la volontà di Dio.
Ora fare la volontà di Dio è, per tutti, in primo luogo credere alle verità rivelate da Lui, osservare i suoi comandamenti, comunque Egli abbia voluto manifestarli.
Fare la volontà di Dio è, per voi in particolare, operare con la massima competenza nel settore delle paste alimentari. Non vi sembri piccolo od anche meschino quanto stiamo dicendo : ognuno deve essere perfettamente quello che è, deve perfettamente fare quello che sta facendo : « esto quod es, age quod agis ». E voi avete dedicato la vita, il tempo, le energie, al delicato e prezioso lavoro delle paste alimentari. Fare la volontà di Dio è, inoltre, operare con la massima onestà e diligenza, sia nel periodo produttivo, evitando quanto sa di alterazione o contraffazione dei prodotti, sia nel periodo distributivo, astenendosi dal procurare il proprio bene col fare male agli altri, seguendo piuttosto le norme della sana e santa emulazione, che non le istigazioni dell'invidia.
Finalmente, facendo la volontà di Dio, voi amerete Dio — che è « il primo e massimo comandamento » (Matth. 22, 38). E se il giusto lucro, che voi legittimamente attendete dal vostro lavoro, sarà bensì qualche cosa che facilita il vostro andare incontro alle fatiche e ai rischi, ma senza divenirne lo scopo finale; se, cioè, la fede nella parola di Dio, che qualifica col nome di membra di Cristo i corpi delle umane creature, ispirerà, sosterrà, animerà il vostro lavoro, questo diverrà opera santa, opera santificatrice, poiché sarà servizio di Dio, atto di amore a Dio.
3. — Perchè non accenneremmo qui all'esistenza di un cibo corporeo, che si converte in alimento della vita divina? Era farina impastata e cotta, e su di essa furono pronunciate dal sacerdote le parole della consacrazione « Questo è il mio corpo ». E della farina impastata e cotta non rimangono se non le apparenze, il sapore, il colore, l'odore, la quantità. Ma la realtà è la carne di Gesù. « Caro mea vere est cibus» (Io. 6, 55). La mia carne è veramente cibo.
In tal guisa, diletti figli, dalla considerazione del vostro lavoro abbiamo preso occasione per meditare e per pregare. Non vi dispiaccia di tornare alle vostre case, alle vostre officine, con la mente rischiarata da una luce soprannaturale. Preparando questo incontro, i Nostri occhi si sono posati sull'inventario della completa attrezzatura di una bottega di vermicellaio romano, risalente al 1630, nelle vicinanze di S. Francesco a Ripa. Esso comincia così: « In prima un ritratto della Madonna SS.ma Vergine Maria. E più un torchio con tutti li fornimenti e stanghe... »: seguono gli altri attrezzi ed oggetti. Ecco, diletti figli : sul vostro lavoro, fra le vostre ansie, nelle vostre pene, guardate Maria. Fate che essa, dolcissima Madre, vegli su quello che siete, su quello che fate.
Con tale augurio impartiamo di cuore a voi, alle vostre famiglie, alle vostre intraprese, auspice delle più elette grazie celesti, l'Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIX,
Diciannovesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1957-1° marzo 1958, pp. 607-611
Tipografia Poliglotta Vaticana
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