DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARROCI E AI PREDICATORI
QUARESIMALISTI DI ROMA*
Sala Regia - Martedì, 18 febbraio 1958
Di un santo fremito di zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime Ci sembra che vibrino i vostri cuori in questa vigilia della sacra Missione, che voi, diletti Parroci e Predicatori quaresimalisti di Roma, siete in procinto di annunziare nei prossimi giorni agli amatissimi figli della Nostra Diocesi romana, in occasione dell'anno centenario delle prodigiose Apparizioni di Lourdes, affine di suscitare in tutte le coscienze un potente risveglio dì fede e di vita cristiana. A guisa del seminatore evangelico (cfr. Matth. 13, 3 e sgg.), che si accinge, col cuore pieno di aspettazione, ma anche di timore, a gettare nelle roride zolle la buona semente, voi forse assaporate già la letizia del mietitore nel giorno in cui i campi biondeggiano di turgide spighe, la cui abbondanza ripaga gli estenuanti travagli. Se è bene di nutrire, all'inizio di ogni intrapresa apostolica, tali sentimenti di speranza e di ardore, fondati nella fiducia in Dio, da cui deriva ogni crescita (cfr. 1 Cor. 3, 6), è anche saggio consiglio di prevedere in qual migliore dei modi si possa ottenere l'auspicata larghezza dei frutti, e cioè, esplorare diligentemente il campo per riconoscere quali terreni convenga meglio coltivare, quali ostacoli rimuovere, a quali particolari fatiche sobbarcarsi, quali siano i metodi più opportuni e giovevoli. Sono certamente questi i pensieri, e forse le ansie, che occupano ì vostri animi in questi fervidi giorni di vigilia, e che vi hanno accompagnati alla Nostra presenza, bramosi di ascoltare da Noi suggerimenti ed esortazioni, che vi siano di sostegno nell'ardua impresa di far rivivere, con nuova luce ed operosità, nei Romani, la somma realtà di Dio Uno e Trino.
Di buon grado accogliamo il vostro legittimo desiderio, certi di adempire in tal modo il particolare dovere che Ci deriva dall'Ufficio di Vescovo di Roma, ed inoltre di obbedire ad un imperioso impulso del Nostro cuore, come figlio affettuoso e devoto dell'Urbe. Roma! Eterna, inclita, sacra Città prescelta dalla divina Provvidenza ad essere antesignana nel mondo di genuina civiltà, e da Cristo a divenire patria comune dei redenti! Se tutti i suoi figli, che, per nascita od elezione, amano di fregiarsi del suo nome, fossero maggiormente consapevoli della eccelsa sua dignità, dell'incomparabile splendore del suo passato, dell'efficace suo influsso sulla scelta del cammino dei popoli e, soprattutto, del singolare destino verso cui misteriosamente la guida la mano dell'Onnipotente, quanto più vivo sarebbe in essi il senso di responsabilità nel conservare e difendere il suo decoro! Non si darebbe luogo a perplessità nelle determinazioni che riguardano la fede cristiana ed il suo onore, ma si raddoppierebbe la alacrità nelle opere di giustizia, di onestà, di esemplarità di costumi, mentre anche l'esteriore condotta di vita rivelerebbe un'interna serenità, illibatezza e spiritualità. Soprattutto, un figlio genuino dell'Urbe non potrebbe mai tollerare che si desse occasione al mondo di farsi di Roma una duplice immagine : una, rifulgente di glorie storiche e pertanto ammirevole, e un'altra mediocre e ingloriosa, quasi alla pari di altri luoghi, tristemente noti per apatia religiosa, per insensibilità spirituale e morale. Un siffatto timore Ci fa ansiosi e quasi insonni, specialmente se Ci soffermiamo a considerare il rapido estendersi di nuovi quartieri, l'incessante affluire di nuovi ospiti, senza dubbio bisognosi di tutto, ma ignari ben spesso delle buone tradizioni romane, i non troppo rari fatti di « cronaca nera » e gli avvenimenti così detti « scandalistici »: gli uni, narrati al pubblico con rilievo, sfoggio di particolari e talvolta con sottile senso di compiacimento; gli altri, o inventati per intero o ampliati in modo da coinvolgere in una medesima diffamazione i nomi delle persone oneste e delle più sacre istituzioni. Ora, diletti Parroci, Noi domandiamo alle vostre coscienze di pastori, designati ad essere, sotto l'autorità dei vostri Superiori, tutela, guida, sostegno dei romani, di considerare se non faccia parte del vostro ufficio il dovere d'invigilare sul buon nome di Roma, e d'impedire, per quanto è da voi, che un'esigua porzione di denigratori prosegua impunemente nella sua opera di devastazione, con la speranza di tramutare il sacro volto dell'Urbe in un aspetto, com'essi dicono, « laico » e quasi pagano, sforzandosi di cancellare dai sentimenti e dai costumi del popolo le gloriose tradizioni religiose dei padri?
Ecco, dunque, il campo del nostro ordinario ministero e della imminente straordinaria Missione : Roma, coi circa due milioni di anime, alle quali si deve assicurare un più saldo ed operante possesso di Dio, mediante la professione della fede cattolica liberamente, ma senza compromessi, accettata; Roma, il cui provvidenziale destino, fondamento della sua presente e futura grandezza, può essere garantito soltanto dalla condotta di vita apertamente cristiana dei suoi cittadini.
I
LA MISSIONE DI ROMA
Roma è città unica al mondo, non tanto per il mirabile complesso di umane grandezze che il suo nome significa, quanto e soprattutto per la missione spirituale assegnatale da Dio, allorché ispirò Pietro a sceglierla come sede definitiva della Cattedra pontificia e soglio di ogni spirituale potere. Da allora l'insegnamento di Roma fu sinonimo di insegnamento di quella Cattedra, della suprema Autorità di magistero nel campo della fede e della morale, insegnamento infallibile, perché insegnamento di Cristo. Nella ininterrotta successione dei Sommi Pontefici, che occuparono volta a volta quella Cattedra romana « dal preminente primato » (cfr. Conc. Vatic. sess. IV, cap. 2 — Denz. n. 1824), ciascuno di essi fu, come sarà sempre, Vicario di Cristo sulla terra, che parla al mondo in Suo nome, diffondendo la luce della fede e proponendo norme sicure di vita e di azione. La grandezza di Roma crebbe alla pari delle responsabilità, che la sua Cattedra venne acquistando con crescente chiarezza agli occhi di tutti.
Al presente, la missione di Roma, come centro spirituale e morale del mondo, non solo continua inalterata, ma vi è motivo di credere che apparirà con evidenza sempre maggiore. Infatti il mondo va prendendo ogni giorno più coscienza della sua unità. Gli uomini non sono più, come un tempo, gli uni agli altri estranei, nè si contentano della relazione, che nasce dall'esser simili o identici, come non sono soddisfatti dei rapporti derivanti dalla comune finalità; non basta, cioè, loro di essere e di considerarsi semplicemente vicini e associati; ma godono di chiamarsi « famiglia umana » e sono attenti e meravigliati, ogniqualvolta si rivela e si spiega loro la bellezza sublime del Corpo mistico di Cristo. Quando si dice agli uomini che essi sono membra di un corpo solo — membra libere, perché coscienti, e tuttavia unite dallo Spirito Santo —, si suscita lo stupore prima, e poi il prorompere della gioia in un commosso consenso. Questo significa che il parlare dell'umanità, come di una moltitudine di creature destinate a divenire la Chiesa, non è così difficile, come forse potrebbe ad alcuni sembrare; ciò indica altresì che, avendo la Chiesa il suo centro in Roma, diverrà sempre più attuabile agli occhi dello spirito la previsione di un insigne poeta pagano, ispirata da patrio entusiasmo: Lo spazio della città di Roma coinciderà col territorio del mondo: « Gentibus est aliis tellus data limite certo; Romanae spatium est Urbis et orbis idem » (Ovid. Fastorum, lib. 2, vers. 683-684).
Perché — come abbiamo detto altre volte — suona forse per la Cristianità un'ora paragonabile ai tempi della primitiva sua storia. Oggi il mondo si prepara a guardare a Roma, a Roma cristiana, come a città posta sul monte, come a faro di vivida luce.
II
LO STATO PRESENTE DI ROMA
Nessuno si meravigli di questa, che potrebbe sembrare una digressione, mentre è lo sfondo di un quadro, che in questo momento Noi e voi dobbiamo avere dinanzi agli occhi.
Cerchiamo di essere sereni, diletti figli; non dobbiamo esagerare le ombre, nè sottovalutare le luci. Se vedremo la realtà, così come si presenta, avremo già fatto il primo passo per porre rimedio agli inconvenienti, che saranno apparsi nella loro più o meno seria gravità.
Voi conoscete assai bene quello che il vostro zelo, il vostro diuturno e talora eroico sacrificio, ottiene dalle anime a voi affidate. Lo conoscete voi e non possiamo ignorarlo Noi stessi, — per quanto Ci è possibile — vi seguiamo, facendo Nostre le vostre ansie e le vostre gioie. Ma voi non ignorate altresì che molti dei vostri parrocchiani sono caduti in uno stato di spirituale torpore; non ignorate che alcuni praticano ancora, ma non vogliono uscire da una certa forma di spirituale egoismo; altri credono, e tuttavia non vogliono praticare; altri finalmente sono tentennanti nella stessa fede, od anche alla fede hanno completamente rinunciato.
Né mancano a Roma, come già non mancarono intorno al divin Redentore, uomini sciagurati, che vivono disseminando vilipendi contro persone e cose sacre; che non si privano di alcun mezzo di lotta, né fanno esclusione di colpi. Può dirsi, dunque, che anche Roma ha le sue zone di ombra, le sue isole da evangelizzare, quasi terra di missione? Chi, come voi, conosce a fondo la città, non può esimersi dall'ammetterlo. Vi saranno forse anime traviate che di questo gioiranno, invitate, del resto, anch'esse a camminare nella luce, finché essa splende (cfr. Io. 12, 35). Noi e voi dobbiamo invece rimanere pensosi; dobbiamo lasciare che l'anima nostra venga presa da profonda tristezza, la quale, peraltro, non deve abbattere l'apostolo, bensì accendergli nel cuore un più fervido zelo.
III
LA MISSIONE IN ROMA
Si comprende allora, diletti figli, perché abbiamo accolto con gioia la notizia che si sarebbe effettuata in Roma una Missione straordinaria in occasione del Centenario delle Apparizioni di Lourdes; Missione, che vuole giungere a tutti, ottenere quanto più è possibile da tutti; tenendo naturalmente conto della vastità di Roma, del numero straordinariamente accresciuto dei suoi abitanti, e soprattutto della libera determinazione delle umane creature, alcune delle quali potranno anche essere irrorate da una pioggia di benedizioni divine, investite dalla grazia dello Spirito Santo, e tuttavia non esserne scosse, rimanere ostinate ed assenti.
Abbiamo dunque fiducia che la Missione otterrà l'effetto desiderato ed atteso. Intanto una schiera di anime oranti e sofferenti hanno subito accettato di essere come lampade accese, che ardono e si consumano dinanzi al Signore per implorare sull'Urbe l'abbondanza delle Sue benedizioni. In commovente gara di generosità si sono offerti Eccellentissimi Presuli, sacerdoti del clero diocesano e religioso, laici militanti di ogni categoria: l'Azione Cattolica è in prima fila e ad essa si sono unite, in fraterna comunanza di intenti, tutte le altre Associazioni cattoliche. Abbiamo personalmente letto le risposte, che i Parroci hanno dato al questionario loro inviato, e rilevato che tutto procede bene, per quanto è possibile, attesa la brevità del tempo e la complessità di una adeguata preparazione.
Ai Nostri diletti figli, i predicatori della Missione, raccomandiamo di, svolgere i temi proposti con diligenza, profondità e chiarezza. Ci sembra che essi possano ottimamente prestarsi per giungere alla mente e al cuore di ogni categoria di persone, dicendo a ciascun'anima la parola di cui ha bisogno. Alcune devono essere indotte a ricercare Dio; altre bisogna spingerle ad approfondirne la conoscenza; per molte è necessario il passaggio dalla conoscenza all'amore, e da questo al servizio.
A proposito di « ricerca di Dio » bisognerà distinguere le anime deliberatamente lontane da, Lui, da quelle che in qualche modo cercano di avvicinarsi al Signore. Alle prime — a quelle che aspirano alle cose della terra, « qui terrena sapiunt » (Phil. 3, 19), e hanno sostituito Iddio vivo con idoli caduchi — bisognerà far notare il tramonto di tante glorie, la rovina di tante ricchezze, il nesso misterioso e tuttavia reale tra il fango e il piacere proibito, e tante lacrime versate e tanto sangue sparso. Agli altri — a quelli che già sanno andare oltre l'interesse personale e materiale — occorrerà dare fraternamente la mano e aiutarli ad accorgersi che sono lontani da Dio meno di quanto potrebbe pensarsi: infatti il loro commovente attaccamento alla famiglia, loro culto del dovere, il loro bisogno di amore, la loro fame e sete di giustizia, altro non sono che segni di anelito a Dio, di effettiva, anche se forse ancora inconscia ricerca di Dio.
A proposito di « conoscenza di Dio » vorremmo raccomandarvi di insistere sulla necessità che si giunga da tutti i fedeli a un approfondimento della dottrina su Dio mediante lo studio assiduo e sistematico. Troppe volte al progresso della cultura profana non corrisponde in proporzione l'aumento della cultura sacra : ed ecco i dubbi che rimangono insoluti, ecco l'agnosticismo, ecco la perdita della fede. Quando invece la conoscenza di Dio fosse completa nei limiti consentiti dallo sviluppo culturale di un'anima. essa giungerebbe più facilmente al « riconoscimento di Dio », prenderebbe così la posizione che conviene dinanzi a Lui. E ricordando che la sua relazione con Dio è reale e costitutiva del suo stesso essere, tratterebbe con Lui come si tratta con l'assoluto Padrone, che è al tempo stesso il suo Tutto. Siccome poi, per effetto di sovrabbondante amore, l'anima ha ricevuto da Dio con la grazia la Sua stessa vita, Lo considererebbe Padre suo e si stimerebbe, come è, vera figlia di Dio. Ed ecco apparire logico e necessario l'« amore a Dio »: che prima è desiderio dei Suoi doni, poi è desiderio di Lui stesso. Le anime vorranno quindi conoscere la Sua volontà, adeguarsi ad essa, saldarsi con essa; passano così a « servire Dio »: spontaneamente, totalmente, gioiosamente.
Ai sacerdoti tutti, ai laici che collaborano con loro, Noi raccomandiamo di pregare e lavorare senza soste e senza rallentamenti, affinché Gesù trovi la via sgombra da colpevoli resistenze per giungere in ogni cuore, in ogni famiglia, in ogni casa, in ogni scuola, in ogni officina.
Siate discreti per non turbare con gesti inopportuni il clima di libero fervore, che con l'aiuto di Dio dovrà crearsi; ma siate anche coraggiosi, siate santamente industriosi. Anime, che risposero « no » alla prima chiamata, cedettero poi alle insistenze, che dolcemente, ma fermamente furono ad esse fatte, perché non lasciassero passare invano Gesù.
Siate anche pratici, aiutando i fedeli a dedurre dalle sublimi verità cristiane le norme morali riguardo agli atti quotidiani, di cui è intessuta la vita. Desiderando pertanto di consigliarvi in questo campo, prenderemo per esempio tre punti particolari della morale cristiana.
Il primo concerne il comandamento della santificazione della festa. Il mondo di oggi, specialmente nelle grandi città, è ben lontano, nell'uso del riposo festivo, dal senso primigenio di religiosità inteso dalla Chiesa. In suo luogo è subentrata una frenesia di godimento materialistico (ben diverso dal necessario e legittimo svago), che travolge ricchi e poveri, talora senza freno morale e con dispendio dei risparmi della settimana. Anche quando si salva l'essenza del precetto, assistendo alla S. Messa, è abbastanza raro di trovare chi si riservi un'ora di raccoglimento per coltivare la mente, per educare i figli, per compiere qualche opera di misericordia tra gl'indigenti o i malati. Che dire poi del lavoro servile non necessario, con cui non di rado, anche in Roma, si profana la festa, talora pubblicamente e con notevole scandalo? Si può forse parlare di esemplarità cristiana di una città, se, come Ci viene riferito, non si è ancora riusciti ad ordinare taluni pubblici mercati in modo che molte migliaia di lavoratori possano usufruire del diritto del riposo domenicale e praticare i loro doveri religiosi? Insegnate, dunque, ai vostri fedeli con quale spirito sia da trascorrer la festa, quali limiti morali debbano imporsi negli svaghi, quali opere positive di bene Dio esige che si compiano nel giorno, più « Suo » che nostro.
Un secondo punto desideriamo che sia da voi, parroci e predicatori, trattato nella Missione, e poi in seguito, impegnando la forza della paterna vostra persuasione. La vita, anche propria, appartiene esclusivamente a Dio, e nessuno può rinunziarvi senza commettere gravissima colpa. Voi comprendete che Ci riferiamo al troppo gran numero di suicidi, tentati od effettuati, nella vostra ed in altre città, perpetrati, si può dire, da, appartenenti a tutte le classi sociali, non esclusa alcuna età, anche quella in cui più luminosa appare la speranza della vita eterna. Quando — ed accade sovente —, scorrendo le cronache cittadine, il vostro sguardo s'imbatte nella notizia di uno di questi pietosissimi casi, un terribile dubbio dovrebbe assalire la vostra coscienza sacerdotale : abbiamo noi, pastori di anime, fatto abbastanza per radicare nei cuori la fede e la speranza cristiane? per ispirare il coraggio nelle avversità, la pazienza nelle malattie, la fiducia nella Provvidenza, la forza spirituale contro tanta viltà? per scuotere salutarmente i tentati da così insana suggestione? Il suicidio non è soltanto un peccato escludente le normali vie della divina misericordia, ma è anche il contrassegno dell'assenza della fede o della speranza cristiana. Insegnate, pertanto, ai vostri fedeli l'orrore di questo delitto, educateli a sopportare le sventure, atterriteli, se è necessario per la loro salvezza, con quegli argomenti divini ed umani, che la morale cattolica ampiamente espone. Fate tutto il possibile per impedire che questa piaga sociale dilaghi. La lotta contro il suicidio rientra pienamente tra i doveri del ministero sacerdotale.
Il terzo punto di morale pratica, che lascia non poco a desiderare in una grande metropoli come Roma, è contenuto nel medesimo V Comandamento : non uccidere. Intendiamo di alludere alle troppe vite umane stroncate, od offese nelle membra, dall'uso imprudente dei moderni veicoli. La frequenza degli incidenti mortali della strada ha purtroppo attenuato la naturale sensibilità verso l'orrore, almeno oggettivo, di questo fatto: una vita recisa da un istante all'altro, senza alcun motivo, e da un proprio simile il più delle volte sconosciuto. Spaventose sono le cifre di siffatte inutili morti, date dalle statistiche. Nel solo Comune di Roma, durante il solo mese di novembre, testè trascorso, — secondo una relazione pubblicata dai giornali — in 2.968 incidenti 31 persone hanno perduta la vita e 1.928 sono rimaste ferite. Cifre che, se raccolte da tutto l'anno e dall'intiera Penisola, supererebbero il numero dei caduti anche in famose battaglie! Tali fatti luttuosi non si posson ascrivere per sé alla tecnica, bensì alla colpevole imprudenza di chi osa guidare senza perizia, o in condizioni psichiche sfavorevoli, o trascurando le dovute precauzioni e norme. Che dire, poi, della leggerezza di folli guidatori, che si lasciano trasportare dalla frenesia della velocità o della gara, talora in pieno centro cittadino, indifferenti per la propria e l'altrui incolumità? Come può un cristiano, un onesto uomo non tremare al solo pensiero d'essere annoverato dalla propria coscienza, e contro la sua volontà almeno diretta, tra gli omicidi, avendo ceduto alla tentazione di una vana e spesso ingiustificata fretta? Mentre tocca alle civili Autorità di reprimere i contravventori delle leggi stradali, e di adottare i necessari provvedimenti di previdenza, a voi, Parroci e Sacerdoti, spetta il dovere di contribuire al medesimo scopo, illuminando le coscienze dei guidatori, rilevando le conseguenze anche religiose in caso di decesso immediato della vittima, e ricordando le responsabilità morali davanti alla società e a Dio stesso.
IV
ESORTAZIONE FINALE
Un'ultima parola, diletti figli.
Desiderosi come siamo che Roma sia quale Dio la vuole, come esige il suo passato, il suo presente e il suo avvenire, Noi Vi scongiuriamo di fare ogni sforzo, affinché i frutti, che la Missione raccoglierà, non siano provvisori ed effimeri, ma apportino alla città benefici veramente durevoli.
Questa è l'ora dell'azione, dell'urgentissima azione; lavorate senza tregua e chiamate ad aiutarvi le anime più generose. Ve ne sono, grazie a Dio, di ogni età e di ogni condizione; ve ne sono in ogni quartiere, in ogni casa, spesso in ogni famiglia. Fate di esse altrettanti missionari, e raccomandate loro di votarsi a qualsiasi eroismo, per essere pronte a sostenere l'inevitabile urto col mondo dell'indifferenza, dell'apostasia, dell'odio antireligioso. Dite loro, con coraggio e fiducia, che vi è bisogno di santi nel mondo: di santi sacerdoti, di santi religiosi, di sante religiose. Ma vi è anche bisogno, specialmente oggi, di una moltitudine di santi laici. Che tutti intravedano l'incanto di una vita nascosta con Cristo in Dio, e tuttavia dedita a farLo conoscere, a farLo amare, a farLo servire nel mondo! Moltiplicate, diletti figli, le avanguardie sante di un esercito eroico, la cui azione, se Dio vorrà, può preparare una vittoria, e un trionfo oggi difficilmente immaginabili.
E poi provvedete con ogni mezzo a coordinare gli sforzi di tutti, affinché dall'unico intento, dall'unico volere, nasca come un'unica azione.
Tale unità è oggi assolutamente indispensabile. Siate persuasi che solo l'apostolato costante, ordinato e coordinato potrà fare di Roma una città santa; degna cioè della sua eterna missione: una città dove si cerca Dio, si conosce Dio, si ama Dio, si serve Dio.
Roma deve essere una città, dove tutti e tutto cooperano all'esecuzione dei disegni di Dio, il quale vuole possedere tutte le cose, sollevandole nella misura che si volgono a Lui. Perché un giorno Egli sarà tutto in tutte le cose; e sarà consumata la santificazione dell'individuo, l'armonia degli individui tra loro, nell'unica volontà del Signore, coincidente con la massima gloria del Padre e con la eterna felicità dei figli. Così sia!
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIX,
Diciannovesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1957-1° marzo 1958, pp. 759-763
Tipografia Poliglotta Vaticana.
A.A.S., vol. L (1958), n. 4, pp. 161-169.
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