DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI DIRIGENTI E AGLI OPERAI
DEI CALZATURIFICI DI VIGEVANO*
Sala del Concistoro - Sabato, 29 marzo 1958
Vi diamo il Nostro paterno affettuoso benvenuto, diletti figli e figlie, lavoratori dei « calzaturifici » di Vigevano. E mentre vi ringraziamo del dono, — tanto più gradito, perchè fatto con le vostre stesse mani —, vi esprimiamo vive felicitazioni e fervidi auguri per il vostro lavoro così determinante per la prosperità delle vostre famiglie e della vostra bella e industriosa città. A Vigevano non è affatto spento quanto di fausto vi portò la vita del rinascimento: basta, per convincersene, sostare nella vostra piazza stupenda, che è forse il più perfetto esempio di cortile ducale nello stile lombardo, e certo il più grandioso; basta osservare quella che chiamasi « Torre dei Bramante » e riflettere sui resti del Castello che, se mostra ormai poco del suo antico splendore, dà nondimeno una sufficiente idea di quello che fu la primitiva superba struttura. Grandioso e solenne è anche l'interno della vostra Cattedrale, così come è ricco il Museo civico nella sua parte paleontologica e preistorica. Al tempo della conquista romana, Vigevano fu un castello, « castrum », che doveva servire da scolta armata, oltre che da rifornimento per le truppe di passaggio. Solo molto più tardi si sviluppò in modo organico la sua vita economica; limitata sul principio all'attività agricola, si allargò poi e comprese anche l'attività commerciale con la costruzione di un mercato che ebbe non mediocre fortuna. Al lato dell'economia agricola era sorta intanto un'attività tessile con quelle forme industriali che i tempi consentivano. Attraverso molte ed alterne vicende e dopo la fioritura meravigliosa del periodo napoleonico, si giunse al 1872: anno in cui comparve a Vigevano la prima industria di calzature. L'uso delle calzature — come voi ben sapete — ebbe origine dal bisogno che gli uomini sentirono di adattare al piede ripari contro tutto ciò che poteva danneggiarlo, specialmente quando dovettero muoversi da una zona all'altra in cerca di luoghi più ospitali. Presso i popoli greci la calzatura fu all'inizio una semplice suola di legno legata sul dorso del piede. Seguirono subito i sandali; poi la scarpa, e finalmente lo stivaletto. Appartengono a questo periodo la « crepida » e il « coturno ».
Presso i romani, invece, si hanno: le « soleae » e i « calcei »; gli « zoccoli » e le « caligae », usate dai soldati. Nel Medioevo la calzatura riflette a volta a volta l'ascetismo cristiano, lo sfarzo bizantino, il pesante spirito barbarico e la nascente cavalleria. Nel 1500 però, mentre per usi più pratici e comuni si trova il tipo « haut-de-chasses », la scarpa di società si va nuovamente arricchendo fino al tipo, molto decorativo, dal tacco alto e colorato: i « talons rouges », il cui nome caratterizza addirittura questo periodo della storia; quindi la scarpa bianca dalle larghe e ricche fibbie in metallo. Con la rivoluzione francese, ogni moda raffinata si semplifica; la calzatura diviene utilitaria. Il 1900, fin dai suoi inizi, rinnova ogni tipo e foggia; la linea diventa più agile e slanciata.
A Vigevano l'industria delle calzature si stabilì risolutamente dopo i primi passi: oggi la vostra città è ormai al primo posto sul piano nazionale ed è chiamata, a ragione, « la capitale italiana della calzatura ».
Trecento aziende di calzoleria — secondo quanto abbiamo appreso dal materiale cortesemente inviatoCi — con le duecento ausiliarie e meccaniche danno lavoro a circa ventimila operai e possono produrre giornalmente sessantamila paia di scarpe. Ciò contribuisce efficacemente al valore della calzatura italiana, e dà notevole apporto all'attivo della bilancia commerciale. Si aggiunga che a Vigevano sono fabbricate non solo calzature, ma tutto ciò che ad esse è inerente: le macchine, soprattutto, che superano i limiti del mercato interno, giungono all'estero, dove è interi « calzaturifici » sono stati impiantati da Ditte vigevanesi. che Anche oggi, a giudizio di molti, si può dire quello che oltre sin quattro secoli fa ebbe a scrivere della terra sforzesca intorno a tesi Vigevano il celebre umanista Ermolao Barbaro: «Vilis gleba; fui, modo sum ditissima tellus » (cfr. Ermolao Barbaro, Epistolae, Orationes et Carmina, ed. critica a cura di Vittore Branca, Firenze 1943, vol. 2 pag. 124). La vostra, infatti, è terra ricca per la fecondità dei campi, per il fervore del lavoro industriale ed artigiano, ma soprattutto per gli uomini capaci e costanti, ai quali devesi, più che alle circostanze fortunate, la floridezza, che nel trascorrere dei secoli è rimasta pressoché immutata.
Il bene che vogliamo a tutti i figli nostri, specialmente a quelli più umili, Ci fa rallegrare, quando consideriamo nel vostro Paese una condizione di cose, che toglie — così almeno Ci è stato riferito — l'assillo del pane quotidiano alla maggior parte degli abitanti. Voi siete infatti spettatori ed attori di un progresso, che viene verificandosi ogni anno e di cui sono segno, tra l'altro, le cifre riguardanti il settore dell'esportazione, quali appaiono nella documentazione parimenti trasmessaCi. Nel 1955 furono esportate più di tre milioni di paia di scarpe per un valore di sei miliardi di lire; nel 1956 l'esportazione salì a quasi cinque milioni di paia per un valore di oltre dieci miliardi di lire; nel primo semestre del 1957 si erano già esportate cinque milioni e mezzo di paia, il cui valore ammontava a undici miliardi circa di lire.
Il Signore sa con quale paterno animo e con quale letizia abbiamo appreso tutto ciò. Egli conosce altresì con quale affettuosa istanza abbiamo pregato e continuiamo a pregare, perchè questa vostra floridezza si conservi e vada anzi crescendo nei limiti del possibile. Ma Noi siamo anzitutto Padre e Pastore delle vostre anime: il vostro bene spirituale, quindi, Ci interessa anche più, nè alcuno, che abbia senno e coscienza, potrà meravigliarsene.
Ed eccoCi a confidarvi non senza tristezza che gli elementi in Nostro possesso Ci obbligano a pensare che non tutto è luce, non tutto è vita nella vostra città, nella vostra Diocesi. Il che non significa affatto che tutto sia tenebra, che tutto sia morte; significa solo che non possiamo esimerCi dall'esortarvi paternamente a meditare su quello che dovrebbe essere — e ancora non è — lo stato religioso della vostra città. Noi abbiamo fiducia che un graduale risveglio verrà suscitato dalla grazia divina nelle singole anime, nelle famiglie, nelle parrocchie e nell'intera Diocesi; abbiamo ferma speranza che tutti sarete vigili ed opererete con prontezza e coraggio. Il vostro zelante Pastore, i sacerdoti e tutte le anime consacrate a Dio hanno certamente l'ansia di veder arrestato il male e la volontà risoluta di far vincere il bene; ma vi è altresì bisogno dell'aiuto di laici preparati, capaci, arditi e presti a tutto fare, a tutto osare, per essere fermento efficace nel popolo in mezzo a cui vivono. Poiché una parte di esso è non di rado indifferente, od anche ostile. Ostile, alla Chiesa; ostile, spesso, anche a Cristo; ostile, talvolta, perfino a Dio. Perchè?
Pensavamo a questo doloroso fenomeno, mentre, come già altre volte, andavamo cercando nella sacra Liturgia di questi giorni quasi l'ispirazione per le Nostre brevi e semplici parole.
1° – Domani, diletti figli, la Chiesa ricorda l'ingresso, il trionfo di Gesù in Gerusalemme. Forse furono i fanciulli a promuoverlo: avendo gli occhi limpidi e il cuore puro, videro e sentirono più intensamente l'impulso ad elevare il grido: Osanna a Gesù (cfr. Matth. 21, 15-16). E fu allora un accorrere di tutta la città, un distender le proprie vesti e rami di palma (Io. 12, 13) sulla via, un acclamare, un gridare: « Osanna al Figlio di David! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! ».
Ai margini di quella scena, spettatori adirati e frementi, stavano alcuni nemici di Gesù, che da tempo cercavano l'occasione di perderlo, ma in quel giorno non ebbero il coraggio di mescolarsi tra la folla; tentarono allora di far cessare le grida osannanti e si rivolsero direttamente a Gesù, dicendogli: « Maestro, rimprovera i tuoi discepoli »; e Gesù rispose : « Se questi taceranno, grideranno le pietre » (Luc. 19, 39-40).
Ma ecco: passano alcuni giorni, e un'altra scena si svolge davanti a Pilato; diritto e in catene sta Gesù: coronato di spine, piagato dai flagelli, strapazzato dagli insulti, contuso dalle percosse, imbrattato dagli sputi. Guardate ora là sotto: nella piazza vi è gran folla. Con ogni probabilità vi erano anche alcuni fra quelli così festosi di pochi giorni prima. Ad ogni modo la moltitudine adesso non ha l'aspetto di allora: ha un altro volto, perchè ha un altro cuore, un'altra anima. Qualcuno l'ha sconvolta, l'ha trasformata, avvelenandola con le sue insinuazioni, con le sue istigazioni. Osservate ancora, diletti figli: Pilato sta cercando di salvare Gesù; e siccome era consuetudine che in ogni festa di Pasqua si liberasse un carcerato, quello che il popolo voleva, egli ne offrì due a scelta: Gesù e un carcerato famoso, sedizioso ed loro la mèta omicida, Barabba.
Disse Pilato alla folla: « Chi volete che vi liberi tra i due? ». In mezzo alla folla vi erano gli Scribi e gli Anziani, i quali persuasero il popolo a chiedere Barabba e a mandare a morte Gesù. Pilato ripeté la domanda: « Chi volete che io liberi? », e venne immediata, precisa, unanime, la risposta del popolo : « Vogliamo libero Barabba ». Pilato rimase come stordito. Insistette, dunque : « Che cosa farò di Gesù, chiamato il Cristo? ». Nuova agitazione della folla e nuovo suggerimento dei nemici: e ancora una volta uscì da quelle labbra un grido concorde: « Sia crocifisso ». Pilato, al colmo della costernazione, chiese ancora alla turba: « Ma che cosa ha fatto di male? » — Gesù non aveva fatto nulla di male; aveva compiuto bene tutto quel che gli era occorso di fare: « bene omnia fecit ». Era passato beneficando tutti, sanando tutti: « pertransiit benefaciendo et sanando omnes ». Dove erano, dunque, in quel momento i ciechi che avevano riacquistato la vista, i paralitici cui si erano sciolte le membra? Dov'erano i testimoni di innumerevoli prodigi fatti tutti per il bene degli uomini? Ahimè! nessuno osò prendere le difese dell'innocente! I discepoli timidi e pavidi erano fuggiti; gli altri seguaci di Cristo si erano sottratti al tumulto e si nascondevano ansiosi all'evento inaspettato. Ormai l'effetto delle insinuazioni e delle istigazioni era completamente conseguito. Non vi fu dunque più bisogno di altro e la folla gridò ancora: « Sia crocifisso ». Pilato tentò di protestare: « Sono innocente del sangue di questo giusto » esclamò; ma le sue parole furono sommerse in un grido infernale: « Il sangue di lui ricada su di noi e sui nostri figli ».
2° - Questa tragica pagina del Vangelo richiama ancora una volta la nostra attenzione sulla necessità di rendere sempre più reale ed attiva la presenza di anime veramente capaci ed apostoliche in mezzo alla folla degli uomini. Se, infatti, sono sufficienti le insinuazioni e le istigazioni di pochi sciagurati per intorbidare i cuori, per seminare discordia e per istigare alla ribellione, è anche prevedibile che una schiera di anime generose riuscirà — purché lo voglia — a indurre e condurre al bene quelli che tentennano ancora e stanno come in attesa di chi venga ad indicar loro la mèta cui tendere, il cammino da percorrere.
Pensate, diletti figli e figlie, agli innumerevoli casolari sparsi nelle vostre campagne: non giungerebbe forse sommamente utile e non sarebbe oltremodo provvidenziale la parola di un'anima discreta, eppure sollecita della salvezza e della santificazione dei suoi fratelli? E nei vostri stabilimenti? In essi — pur troppo — più facilmente e più abbondantemente fu gettata la zizzania dell'errore e dell'odio; adoperatevi, dunque, per riportarvi la luce della verità e il fuoco dell'amore. Ai vostri fratelli, traviati, ma non cattivi, accostatevi con affettuosa premura; fate ogni sforzo per sostituirvi a coloro — quelli, sì, Ci duole il dirlo, perversi —, i quali sono riusciti ad ingannarli, a chiudere i loro occhi, ad incatenarli fortemente. Date loro la certezza che solo in Gesù troveranno la pace dell'anima; solo con Gesù otterranno la serenità per le famiglie; aiutateli a rendersi conto coi propri occhi, di quanta confusione, di quanto rancore, di quanta tristezza è causa l'essere lontani da Cristo. Non temano per il loro conveniente benessere materiale; per il raggiungimento delle giuste mète attraverso l'uso di legittimi mezzi, non vi è affatto bisogno di darsi nelle mani dei negatori di Dio. Chi nega Dio, infatti, nega la giustizia, come nega l'amore. La Chiesa ha sempre protetto l'operaio e il suo lavoro. Particolarmente ora essa desidera che si giunga in realtà ad un aumento del reddito nazionale, in guisa che si mantengano sostanzialmente i prezzi e venga al tempo stesso elevato l'utile spettante a ciascun individuo. A coloro che cercano il cielo, sarà dato in giusta misura anche il possesso della terra. La quale non diventerà mai un paradiso, ma cesserà di essere, così speriamo, quel luogo di tormento, che tanto stanca e riempie di sconforto.
Così il vostro popolo, mentre continuerà a progredire sulla strada del benessere materiale, saprà muoversi speditamente anche nelle vie dello spirito: come si conviene a creature umane, come si conviene, specialmente, a cristiani coscienti e fedeli.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XX,
Ventesimo anno di Pontificato, 2 marzo - 9 ottobre 1958, pp. 37-42
Tipografia Poliglotta Vaticana; A.A.S., vol. L (1958), n. 5, pp. 216-220
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