DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA
DEL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI
Martedì, 23 novembre 1982
Cari e venerati fratelli, Cardinali di santa Romana Chiesa!
1. È con viva e sincera gioia che, oggi, vi porgo il mio benvenuto in quest’Aula, presso la Tomba di Pietro, nel cuore della Chiesa. In questi anni molti di voi sono venuti, anche più volte, dalle varie parti del mondo, sia per la visita “ad limina” sia per altre circostanze; ma oggi è un particolare motivo che riunisce qui, al completo, i Cardinali: inauguriamo la Riunione plenaria del Sacro Collegio, che fa seguito a quella di tre anni fa, con inizio il 5 novembre 1979, la prima che, in questa forma, non avveniva si può dire “ab immemorabili”, almeno nei tempi moderni e contemporanei, eccettuate le storiche occasioni dei Conclavi.
Vi saluto pertanto con grande affetto. Vi ringrazio per aver accettato il mio invito; anche a costo di affrontare disagi, come ben so, perché le vostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane nel servizio della santa Chiesa sono grandi e assillanti.
Trovandoci insieme dopo tre anni, non posso non ricordare coloro che, in questo periodo di tempo, il Signore ha chiamato a sé: i compianti Cardinali Alfred Bengsch, Sergio Pignedoli, Egidio Vagnozzi, Stefan Wyszynski, Franjo Seper, Pericle Felici, John Patrick Cody, Carlos C. de Vasconcellos Motta, Giovanni Benelli. Li abbiamo tutti nel cuore, conserviamo la loro memoria in benedizione, e - ne siamo certi - essi intercedono presso Dio per noi, per il nostro lavoro, che hanno condiviso fino all’ultimo respiro.
2. Desidero anzitutto richiamarmi nuovamente a ciò che ho detto allora (cf. AAS 71 [1979] 1448 s) per motivare la necessità e l’opportunità che ogni tanto siano convocate riunioni, alle quali partecipino tutti i membri del Collegio Cardinalizio. Questa motivazione si chiarisce in modo particolarmente espressivo alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II, che così magnificamente ha messo in rilievo la “collegialità” dell’intero Episcopato nella sollecitudine pastorale per la Chiesa. Tale “collegialità” raggiunge la sua particolare pienezza nel Concilio Ecumenico. Tuttavia perché la “collegialità” del ministero episcopale possa trovare la sua evidenza nella vita della Chiesa anche al di fuori del Concilio, è stata auspicata dallo stesso Concilio l’istituzione del “Sinodo dei Vescovi”, alla quale dobbiamo riconoscere di aver affrontato - nello spazio di questi anni, non ancora molto numerosi dopo il Concilio - molti problemi di cruciale importanza per la Chiesa.
In questo momento anche l’Episcopato di tutto il mondo si prepara ad una seduta ordinaria del Sinodo nell’anno 1983, il cui tema “La penitenza e la riconciliazione” riveste un significato del tutto fondamentale per la missione della Chiesa e del cristianesimo nel mondo contemporaneo. Non è poi da dimenticare che, accanto alle sedute ordinarie, lo Statuto del Sinodo dei Vescovi prevede anche le sedute straordinarie e quelle speciali. E anche tali sedute hanno già avuto luogo nel periodo postconciliare.
Tra questi segni della collegialità non può certo mancare il venerabile ed antico “Sacro Collegio”. In occasione della precedente riunione, ho già avuto l’opportunità di mettere in rilievo il particolare legame che unisce questo Collegio con la Chiesa Romana, e col servizio universale del Vescovo di Roma nella Chiesa Cattolica. Si può dire che la presenza del Collegio cardinalizio, nei problemi connessi in modo particolarmente stretto con questo servizio, è fondata non soltanto in considerazione della funzione storica del Collegio medesimo, ma anche sul fatto concreto del generale sviluppo della collegialità dopo il Vaticano II. L’attivazione del Collegio Cardinalizio nell’ambito delle opportune questioni non soltanto non offusca, ma anzi svela di più il carattere collegiale del ministero episcopale, cioè la sollecitudine collegiale di tutti i Vescovi della Chiesa nel campo dell’insegnamento, della cura pastorale e della santificazione del Popolo di Dio.
3. Dopo queste osservazioni introduttive, desidero riferirmi in particolare all’incontro precedente, avvenuto nel novembre 1979. Voi ben ricordate i problemi, sui quali si è costruttivamente trattato allora, alla luce dei “fondamenti dai quali dipende la realizzazione del compito, posto davanti a tutta la Chiesa”, come vi dicevo nella seduta inaugurale (cf. AAS 71 [1979] 1455): il primo verteva sull’insieme delle strutture della Curia Romana; il secondo, sull’attività delle Accademie Pontificie; il terzo, sui mezzi economici della Sede Apostolica.
In questi anni, sia pur brevi, e per di più segnati da avvenimenti drammatici e dolorosi, la Santa Sede ha cercato di tener fede ai programmi che furono allora esposti e sviscerati dai componenti di questa riunione - singolarmente presi o riuniti nei gruppi linguistici - e da me riassunti al termine di essa, il 9 novembre 1979 (cf. AAS 71 [1979] 1459 ss). Voi sapete bene anche come i suggerimenti, da voi proposti, siano stati e siano messi in pratica. In particolare vorrei ricordare che quanto fu detto circa il rapporto con la cultura si è concretato nella fondazione del Pontificio Consiglio per la Cultura, avvenuta il 20 maggio di quest’anno con mia lettera al Cardinale Segretario di Stato; l’organismo è già alacremente al lavoro. Inoltre, le crescenti preoccupazioni per il problema economico sono oggetto di costante e vigile attenzione, e hanno avuto espressione nella istituzione del “Consilium Patrum Cardinalium ad quaestiones organicas et oeconomicas Apostolicae Sedis expendendas”, avvenuta il 31 maggio dello scorso anno mediante il Chirografo “Comperta Habentes” (Ivi. 73 [1981] 545 s); e sono inoltre in dovere qui di ringraziare voi tutti per il sostegno concreto che viene alla Sede Apostolica specialmente dalle Chiese locali.
Anche altri punti, toccati in quella occasione, che entrano nel piano generale dell’azione della Chiesa in favore dell’uomo nel mondo contemporaneo, hanno avuto un opportuno sviluppo: e mi piace citare il compito prioritario che ottiene la pastorale della famiglia, che, nel frattempo, è stata oggetto dell’ultima Sessione del “Synodus Episcoporum”, delle cui indicazioni e programmi si è poi fatta interprete l’esortazione apostolica Familiaris Consortio, del 22 novembre 1981; (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio) e soprattutto ha trovato espressione concreta nella istituzione di un nuovo organismo della Curia Romana, il Pontificio Consiglio per la Famiglia, mediante il Motu Proprio: “Familia a Deo Instituta”, del 9 maggio dell’anno passato. E mi piace anche ricordare la fondazione del Pontificio Istituto per gli Studi su Matrimonio e Famiglia, presso la Pontificia Università Lateranense, il cui pieno riconoscimento giuridico della fisionomia accademica è stato recentemente da me dato per mezzo della costituzione apostolica “Magnum Matrimonii Sacramentum”, del 7 ottobre ultimo scorso.
Inoltre, le sollecitudini della Sede Apostolica in favore della retta e fervorosa promozione della Sacra Liturgia secondo le linee di rinnovamento tracciate dal Concilio Vaticano II, non ha mancato di esprimersi in opportune direzioni di marcia. È noto infatti che, anche accogliendo i voti emersi dalla riunione di tre anni fa, le due Sezioni di cui si compone la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino hanno avuto una più rigorosa esplicitazione delle proprie competenze, dando un maggiore impulso - come già dissi ai membri della Curia Romana nell’imminenza della Solennità dei santi Pietro e Paolo - alla Sezione per il Culto, appunto perché si risponda sempre meglio alle direttive conciliari nell’ambito sacro e vitale della sacra Liturgia.
4. Mentre la nostra riunione nel 1979 ha avuto come tema soltanto alcuni problemi, che già allora esigevano un’urgente discussione, è necessario, invece, che sul banco di lavoro dell’attuale riunione sia posto il problema complessivo. Ed è quello riguardante la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae e l’intero suo ambito - ossia l’insieme degli uffici e delle loro specifiche attività, che contribuiscono al servizio della Sede Apostolica nei confronti della Chiesa Universale.
Il Papa Paolo VI, che il 15 agosto del 1967 (cf. AAS 59 [1967] 885-928), all’indomani del Concilio Vaticano II, raccolse e ordinò, nella suddetta costituzione, l’insieme di queste attività, distribuite secondo i singoli organismi che fanno parte della Sede Apostolica, si rendeva conto della necessità di fare, in questo campo, un ulteriore passo. Desideriamo appunto dedicare l’attuale riunione a questo importante problema.
Per spiegare, più da vicino, il contenuto della documentazione che hanno ricevuto tutti i Membri del Collegio Cardinalizio, verrà presentata una relazione più particolareggiata. Desidero, quindi, soltanto aggiungere che, poco dopo la pubblicazione della costituzione Regimini Ecclesiae Universae, una speciale commissione si è occupata di tale problema, sotto la presidenza del Cardinale Ferdinando Antonelli. In seguito, lo stesso problema è stato fatto oggetto di alcune riunioni, alle quali hanno partecipato, sotto la presidenza del Papa, tutti i Prefetti dei singoli Dicasteri della Curia Romana.
Nel quadro di queste riunioni si sono pronunziati i membri del Collegio Cardinalizio, che quotidianamente s’incontrano con la tematica del molteplice lavoro della Sede Apostolica - e perciò le loro osservazioni e i suggerimenti provengono da una immediata prassi, da una esperienza diretta.
Se con lo stesso problema mi rivolgo, nella presente riunione, a tutti i Membri del Collegio Cardinalizio, lo faccio tenendo presente la ragione che, sebbene essi non partecipino tutti direttamente all’attività della Curia Romana, tuttavia questi problemi rimangono, in diverso modo, alla portata della loro esperienza e della loro attività. Voi, pertanto, siete chiamati a pronunziarvi, anche su tale tema, e tanta utilità mi attendo anche dal vostro contributo.
5. Il periodo, in cui iniziamo il nostro incontro, è importante perché si stanno ultimando i definitivi preparativi alla pubblicazione del Codice di Diritto Canonico, al quale sarà dedicata anche una speciale relazione. È comunemente noto quante consultazioni abbiano preceduto questa tappa - e come sia stato possibile sia ai singoli Vescovi, sia agli Episcopati, ed anche ad altre persone competenti e qualificate, esprimersi su tale importante questione.
Il problema di cui ci occupiamo durante la presente riunione non ha dimensioni altrettanto grandi, né una tale importanza. Nondimeno bisogna dedicarvi tutta l’attenzione dovuta, affinché tutto ciò che riguarda il servizio della Sede Apostolica nei riguardi della Chiesa Universale sia definito in conformità con le esigenze e con la finalità di tale servizio. Sembra che, accanto agli emendamenti concreti, ai complementi e cambiamenti da introdurre nel testo della costituzione Regimini Ecclesiae Universae, sia necessaria una riflessione riguardante le basi stesse di questo argomento.
Se per iniziare tale riflessione è indispensabile la partecipazione di tutti i Membri del Collegio Cardinalizio, in seguito, per fare funzionare le appropriate strutture degli uffici e delle attività della Curia Romana, sarà necessario l’apporto delle Conferenze Episcopali, e dei loro Presidenti in primo luogo. Si tratta di precisare in giusto modo le correlazioni esistenti tra gli organi della Sede Apostolica e i molteplici organismi di cui gli Episcopati si servono nel loro lavoro.
Tale orientamento, che prendiamo nell’intraprendere il lavoro, ci permette di formulare alcune priorità fondamentali. Così sembra che - mantenendo le tradizionali dimensioni giuridiche - occorrerà cercare per le strutture della Curia Romana sempre maggiormente quell’orientamento pastorale, che risulta così chiaramente dall’intero insegnamento del Concilio Vaticano II. Nella stessa direzione sono anche andati i lavori postconciliari del Sinodo dei Vescovi. Sia l’attività, sia anche la cooperazione tra i singoli dicasteri della Curia devono rispecchiare ancor più pienamente questa direzione. Oggi, ogni diocesi nel mondo lavora in base al proprio centro pastorale. Il servizio all’unità della Chiesa, proprio della Sede Apostolica, deve formarsi in rapporto alle necessità e ai compiti pastorali. Che queste necessità e questi compiti siano differenziati, ce ne hanno convinti le splendide analisi compiute durante le riunioni del Sinodo sul tema dell’evangelizzazione, della catechesi, come pure della vita familiare.
Insieme a questa differenziazione tocchiamo ancora la dimensione della cultura, che, per la sua particolare specificità, condiziona in modo diverso l’evangelizzazione, la catechesi, la missione cristiana della famiglia, ecc. Se l’orientamento della Sede Apostolica deve andare nella direzione pastorale, allora non può mancare un organo che discerna i contesti culturali e cerchi un contatto con essi.
È sufficiente la nostra testimonianza nel campo dell’amore verso l’uomo e dell’amore sociale? Questa è la prima e fondamentale domanda che dobbiamo fare anche - e forse soprattutto - alla Sede Apostolica, dato che i discepoli di Cristo saranno conosciuti dal fatto di avere amore (cf. Gv 13, 35).
6. I pensieri che vi ho presentato, cari e venerati fratelli, specie nella parte finale del mio discorso d’apertura, non hanno come scopo di indicare la direzione della discussione sul tema generale, ma può giovare al suo sviluppo secondo le esperienze e le riflessioni personali. A tutti voi, venerabili Membri del Collegio Cardinalizio, chiedo piena collaborazione nel quadro dell’argomento preparato per la riunione. Le eventuali proposte, riguardanti questo programma, potranno essere presentate alla Presidenza, che deciderà sul modo di introdurle nel programma complessivo.
Affido i nostri lavori alla materna intercessione di Maria santissima, Madre della Chiesa, e all’implorazione per noi dei santi apostoli Pietro e Paolo. Ch’essi ci illuminino e guidino nel nostro lavoro, che non ha altro scopo, altra ambizione, altro impegno se non il bene della Chiesa di Cristo, a gloria di Dio Padre.
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