ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE PLENARIA
DEL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI
Giovedì, 21 novembre 1985
1. Con grande gioia vi vedo qui riuniti, venerati fratelli cardinali, che siete considerati da tempi remotissimi i più vicini consiglieri e ausiliari del successore di Pietro, e, come si esprimeva il mio predecessore Sisto V, “quasi oculi, et aures, ac nobilissimae sacri capitis partes, et praecipua illius (Summi Pontificis) membra a Spiritu Sancto constituta” (Sisto V, Cost. Postquam, 3 dicembre 1586: Bullarium Romanum, 4, IV, 279 ss.).
Vi saluto con tutto il cuore e vi esprimo la mia gratitudine per la vostra presenza, nonostante i vostri molteplici impegni di lavoro. Siete venuti a prestare al Vescovo di Roma il prezioso contributo della vostra assistenza. Ciò risponde appieno alla natura stessa dell’essere cardinale, che, più che una dignità, è un servizio; e questo acquista la sua particolare connotazione dalla duplice dimensione che, come è stato diverse volte ripetuto, caratterizza la istituzione del cardinalato: l’universalità e l’unita.
In considerazione di questa stretta collaborazione, che il Collegio cardinalizio è chiamato, fin dalle sue origini, a prestare al Papa, ho voluto chiamarvi a Roma, venerati fratelli, già dall’inizio del mio Pontificato. Come osservavo nella prima riunione, il 6 novembre 1979, voi, “oltre al compito di eleggere il Vescovo di Roma, avete anche quello di sostenerlo in modo particolare nella sollecitudine pastorale per la Chiesa nelle sue dimensioni universali”; e dopo aver ricordato i vincoli particolarissimi che vi rendono parte viva della Chiesa Romana aggiungevo: “Proprio in questo singolare legame . . . sta il motivo per cui il Vescovo di Roma desidera incontrarsi con voi più spesso, per trarre profitto dai vostri consigli e dalle vostre molteplici esperienze. Inoltre, l’incontro dei membri del Collegio cardinalizio è una forma in cui si esercita anche la collegialità vescovile e pastorale, che è in vigore da oltre mille anni, e conviene che noi ce ne avvaliamo anche nei tempi odierni” (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio ad S.R.E. Cardinales, ineunte Sacri Collegii generali conventu, habita, 6 novembre 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/2 [1979] 1046 ss.).
Così, nella successiva riunione del novembre 1982, mi rifacevo a queste essenziali finalità a cui oggi è chiamato il Collegio dei cardinali, per l’esercizio della fondamentale missione di primi consiglieri e collaboratori del Papa nel contesto specifico “del generale sviluppo della collegialità dopo il Vaticano” (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio ad Patres Cardinales, ineunte plenaria congregatione Sacri Collegii, habita, 2, 23 novembre 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/3 [1982] 1410s.).
COOPERAZIONE AL SERVIZIO DELL'UNITÀ
2. Le precedenti riunioni plenarie fanno perciò ben vedere come i cardinali - non solo ciascuno individualmente preso, ma tutti insieme come Collegio - collaborano col Vescovo di Roma partecipando al “ministerium Petrinum” che gli è affidato.
a) In questa prospettiva, nell’assemblea del 1979 vi furono sottoposti tre principali problemi: il riordinamento delle strutture della Curia Romana, operato dalla costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae, e la necessità di una sua revisione; i rapporti tra la Santa Sede e la cultura, con riguardo all’attività delle varie Accademie Pontificie; le responsabilità connesse con la situazione del settore economico e i mezzi a disposizione della Sede apostolica. Ma anche altre, non meno importanti questioni furono toccate, come la pastorale della famiglia con l’esigenza dell’istituzione di un apposito dicastero “per la famiglia”; e la promozione della sacra liturgia nel quadro delle competenze della Curia.
I problemi sopra elencati sono esplicitamente collegati con la realizzazione pratica delle norme date dal Vaticano II: basti ricordare la seconda parte della Gaudium et spes, che si sofferma su “alcuni problemi più urgenti” posti dal rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, tra cui la dignità del matrimonio e della famiglia e la sua valorizzazione (Gaudium et spes, 47-52) e la promozione del progresso della cultura (Ivi, 53-62).
b) I temi, poi, della riunione plenaria del 1982 ebbero come principale oggetto il “problema complessivo . . . riguardante la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae e l’intero suo ambito” (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio ad Patres Cardinales, ineunte plenaria congregatione Sacri Collegii, habita, 4, 23 novembre 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/3 [1982] 1413); ma fu ricordato anche il metodo con cui si erano portati ad effetto i suggerimenti circa la famiglia e la cultura, specie con l’istituzione allora recente della Pontificia Commissione per la famiglia, seguita alla celebrazione della Sessione del “Synodus Episcoporum”, nonché del Pontificio Consiglio per la cultura, sorto dopo le indicazioni della precedente riunione dei cardinali. Fu inoltre fatta menzione dell’istituzione della speciale Commissione cardinalizia, composta di 15 membri, per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, riferendo sui primi passi di quell’organismo.
Tutto ciò avveniva alla vigilia della promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico, la cui revisione era stata voluta dal mio predecessore Giovanni XXIII quasi parallelamente alla decisione della convocazione del Concilio. Il Codice, che ho avuto la gioia di promulgare il 25 gennaio 1983 - due mesi dopo la seconda riunione dei cardinali! - era in certo senso l’ultimo documento del Concilio Vaticano II, e il primo annunzio del risveglio portato nella Chiesa dalla celebrazione dell’Anno della Redenzione, che si inaugurava il 25 marzo di quello stesso anno!
3. In questi tre giorni il Collegio dei cardinali si riunisce per la terza volta “in corpore”.
a) Non posso non rilevare anzitutto che ciò avviene nella immediata prossimità della sessione straordinaria del Sinodo dei vescovi, da me appunto convocato il 25 gennaio scorso per ricordare il 20° anniversario della chiusura del Concilio. Gli obiettivi di questa sessione del Sinodo furono così definiti:
“rivivere in qualche modo quell’atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale che caratterizzò l’assise ecumenica, nella vicendevole partecipazione delle sofferenze e delle gioie, delle lotte e delle speranze, che sono proprie del Corpo di Cristo nelle varie parti della terra;
scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l’applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di chiese particolari;
favorire l’ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze” (“L’Osservatore Romano”, 27 gennaio 1985).
Confido che il riferimento al Vaticano II, in questo 20° anniversario, si farà sentire anche nella presente riunione.
È vero che soltanto un terzo dei vescovi partecipanti al prossimo Sinodo fu presente ai lavori del Concilio; ma è interessante notare che, del “plenum” attuale del Collegio cardinalizio, ben 89 dei cardinali qui presenti presero parte a tutte o ad alcune assise conciliari. Possiamo perciò ben dire che facciamo ancora tutti parte di quella esperienza, proveniamo da essa; e i membri dell’episcopato mondiale che si è succeduto in questi anni nelle sue nuove leve, nonché i venerati fratelli cardinali nominati nello scorso ventennio, appartengono a una generazione che ha respirato l’atmosfera del Concilio, ha vissuto l’epoca stupenda e generosa, ardente e anche drammatica che è seguita alla conoscenza, diffusione e applicazione dei suoi documenti fondamentali. Le giornate romane, che si concluderanno anch’esse l’8 dicembre, solennità dell’Immacolata, la presenza di vecchi e nuovi membri, nonché degli uditori e uditrici, degli invitati speciali, degli osservatori-delegati, faranno certamente rivivere quell’esperienza unica, riportandoci, nel “kairós” di oggi, a quello di vent’anni fa.
Per questo confido che la stretta relazione del Sinodo col Concilio abbia una voce viva nella riunione che oggi iniziamo. Si può ben dire, infatti, che questa assemblea è come un’autorevole introduzione alla grande celebrazione che presto incominceremo: è noto infatti che l’argomento della Curia Romana suscitò fin dall’annuncio del Concilio Vaticano II vivo interesse nei vescovi, i quali presentarono già nella fase antepreparatoria numerose proposte tendenti a una riforma della Curia, alla sua internazionalizzazione, a una chiara definizione della sua funzione e delle sue competenze ed inoltre a una maggiore presenza di vescovi diocesani nei quadri dirigenti.
b) Il tema centrale di questa assemblea riguarda appunto il problema concreto della nuova Regimini Ecclesiae Universae. Se ne è già parlato nel 1979 e, soprattutto, nel 1982, sullo sfondo dei problemi allora discussi.
Problema concreto, perché ci troviamo ora di fronte a un progetto che sta sotto i nostri occhi, inviato sia a voi, membri del Collegio cardinalizio, sia ai presidenti delle Conferenze episcopali dei cinque continenti, e, ovviamente, ai superiori dei dicasteri della Curia Romana, direttamente interessati.
Una consultazione così vasta e diversificata era necessaria per conoscere il pensiero delle persone interpellate - rappresentanza completa della Chiesa e della Curia Romana - circa: i criteri seguiti nella revisione, la nuova tipologia semplificata degli organismi della Curia, la loro denominazione e struttura, i caratteri di pastoralità, collegialità e sussidiarietà che emergono dall’insieme della nuova impostazione, l’esigenza di uno stretto collegamento tra la Curia Romana e le Conferenze episcopali e di un necessario coordinamento tra i dicasteri stessi. Come si vede, si tratta di problemi di natura teologica - specialmente ecclesiologica - oltreché pastorale, giuridica, pratica, che si intrecciano e si intersecano nel formare la fisionomia del secolare organismo, di cui i Pontefici Romani si servono nell’esercizio del mandato apostolico, ricevuto da Cristo Signore e trasmesso a Pietro e ai suoi successori, fino alla fine dei tempi.
La decisione di un rinnovamento della costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae era già stata presa dal mio predecessore Paolo VI, lucido e penetrante conoscitore della Curia Romana. Tale decisione fu la logica conseguenza del Vaticano II, come già ho rilevato. In più, dopo la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico, vi sono ora premesse ancora più immediate per una nuova elaborazione del documento.
UNITÀ DI FEDE, DI CARITÀ, DI DISCIPLINA
4. Siamo sulla linea del Concilio. Infatti, le proposte dei Padri circa un rinnovamento della Curia, dopo le note discussioni nelle Congregazioni generali 60-63, approdarono al n. 9 del decreto Christus Dominus, che dice: “In exercenda suprema, plena et immediata potestate in universam Ecclesiam, Romanus Pontifex utitur Romanae Curiae Dicasteriis, quae proinde nomine et auctoritate illius munus suum explent in bonum Ecclesiarum et in servitium Sacrorum Pastorum. Exoptant autem Sacrosancti Concilii Patres ut haec Dicasteria, quae quidem Romano Pontifici atque Ecclesiae Pastoribus eximium praebuerunt auxilium, novae ordinationi, necessitatibus temporum, regionum ac rituum magis aptatae, subiciantur, praesertim quod spectat eorundem numerum, nomen, competentiam propriamque procedendi rationem atque inter se laborum coordinationem” (Christus Dominus, 9).
Da tale definizione, la Curia appare come uno “strumento” e un “aiuto al Romano Pontefice”. Essa ha, quindi, un carattere strumentale che configura la sua nozione e giustifica la sua ragione di essere. Essa è relativa al Papa, e da lui riceve il potere; e nell’identità di vedute con lui risiede la sua forza, il suo limite, il suo codice deontologico.
Paolo VI la definì, nel 1963, due anni prima della promulgazione del decreto Christus Dominus: “organo di immediata aderenza e di assoluta obbedienza, del quale il Papa si serve per espletare la sua universale missione”. La sua potestà è vicaria, e come tale deve misurarsi di continuo con la volontà di colui “cuius vices agit”, nella ricerca di un’interpretazione assolutamente fedele. In questa prospettiva si vede quanto siano aberranti quelle concezioni che pretendono di opporre la Curia al Papa, come se si trattasse di un altro potere parallelo, o una specie di diaframma che ostacola o filtra la sollecitudine pastorale del Papa.
Il Romano Pontefice - ci dice ancora il decreto Christus Dominus - si serve dei dicasteri della Curia “in exercenda suprema, plena et immediata potestate in universam Ecclesiam”. Sono le classiche parole del Concilio Vaticano I, riproposte dal Concilio Vaticano II.
Qui si tratta unicamente della potestà primaziale del Papa, a lui personalmente conferita. Il ministero di Pietro è però fondamentalmente un servizio all’unità, come afferma la Lumen gentium: “Ut . . . Episcopatus ipse unus et indivisus esset beatum Petrum ceteris Apostolis praeposuit in ipsoque instituit perpetuum ac visibile unitatis fidei et communionis principium et fundamentum”. Questa unità è un meraviglioso dono dello Spirito Santo, che deve essere conservato, difeso, tutelato, promosso, costruito di continuo con la preziosa collaborazione, in particolare, di coloro che a loro volta sono “visibile principium et fundamentum unitatis in suis Ecclesiis particularibus” (Lumen gentium, 22.18.23). La cooperazione che la Curia presta al Romano Pontefice è essenzialmente inserita in questo servizio all’unità. Si tratta innanzitutto di unità di fede, che ne rimane l’insostituibile fondamento, di carità, ma anche di disciplina; unità che non teme la diversità, che anzi si arricchisce di continuo con l’immensa varietà di doni che lo Spirito Santo fa alle Chiese, purché non diventino tendenze isolazionistiche e centrifughe e vengano armonizzati nella fondamentale unità della Chiesa universale.
Il compito di Pietro è inoltre di “confirmare fratres” e ciò comporta una cura continua di custodire, insegnare, dichiarare la “recta fides”, come pure di sostenere i fratelli vescovi nel loro “munus fidei” di “magistri et doctores”, ciò che può richiedere talvolta delle particolari misure e interventi.
L’esercizio del “munus” petrino realizzato con la collaborazione della Curia implica una fitta e varia rete di rapporti con le Chiese particolari, come il flusso vitale in un unico organismo. In questi rapporti tra Chiesa universale e Chiese particolari tra Curia Romana e vescovi diocesani, possono forse sorgere tensioni, dovute a volte a una non precisa e sufficiente comprensione dei rispettivi ambiti di competenza.
Poiché il Vescovo di Roma è “totius Ecclesiae Pastor” (Ivi, 22), il suo ministero supremo è eminentemente pastorale; perciò l’azione della Curia deve essere chiara espressione del suo servizio pastorale.
La pastoralità deve essere inequivoca qualifica della Curia Romana. Alla luce di questi principi, e particolarmente di quello della pastoralità, la Curia deve corrispondere a tutti quei compiti della Chiesa nella nostra epoca, che si sono posti via via in evidenza alla luce del Vaticano II. I particolareggiati passi, compiuti in relazione a tale constatazione sia da Paolo VI, sia successivamente al 1978, hanno avuto ciò come unico scopo.
Ricordo l’istituzione del Segretariato per l’Unione dei cristiani e degli altri segretariati; come degli altri organismi post-conciliari; tra essi cito il “Consilium pro Laicis” e, accanto ad esso, il Comitato per la famiglia, quest’ultimo organismo, sullo sfondo della complessa e molteplice problematica suscitata dall’odierna situazione di matrimonio e famiglia - come, ad esempio, si è manifestata in occasione del Sinodo 1980 - doveva diventare un organismo a parte e “specializzato”. In modo analogo si è proceduto alla creazione del Pontificio Consiglio per la cultura, tenendo cioè conto dei delicati aspetti che presenta il mondo della cultura di oggi, e delle sfide che pone all’evangelizzazione. Recentemente, poi - nell’ambito del Consilium pro Laicis - questa Sede apostolica ha voluto occuparsi in modo più funzionale e specializzato dell’assistenza agli operatori della “pastorale sanitaria”, che formano un gruppo di professionisti molto importante dal punto di vista della vocazione cristiana, posta di fronte ai problemi intricati e gravissimi della vita e della responsabilità per la vita stessa.
LA PASTORALITÀ INEQUIVOCA QUALIFICA DELLA CURIA ROMANA
5. Per considerare questa vasta materia abbiamo certamente a disposizione un tempo non molto ampio. Ma, sfruttandolo adeguatamente, potremo certamente raggiungere l’obiettivo proprio di questa riunione plenaria dei cardinali, tanto più che tutti voi, sia individualmente, sia nell’ambito delle rispettive Conferenze episcopali a cui appartenete o presiedete, sia come responsabili dei vari dicasteri della Curia Romana, avete già espresso i vostri pareri e le vostre proposte.
Dal programma ricevuto avete potuto già conoscere i particolari organizzativi, riguardanti lo svolgimento e le norme di lavoro di questa sessione. Dall’esecuzione rapida e puntuale delle linee di azione ivi descritte dipenderanno l’efficacia e i frutti di queste giornate intense e feconde.
6. Venerati e dilettissimi fratelli! Mi richiamo ancora una volta al passato millenario e ai meriti del Collegio cardinalizio, che, nella validità e nel significato del servizio prestato al “munus Petrinum”, trova la giustificazione teologica per l’esercizio dei suoi compiti: di quelli del passato come di quelli contemporanei, per il tempo in cui viviamo.
San Pier Damiani definiva i cardinali “spirituales Ecclesiae universalis senatores” (PL 143,540). E il mio predecessore Sisto V sottolineava che essi sono chiamati, perché accanto al Romano Pontefice, “communis Pater et Pastor”, “tanti ponderis molem atque onus populorum sustineant, et pro animarum salute, pro fide, pro iustitia, pro unitate assidue invigilent ac laborent, qui, circa ipsum universali Ecclesiae serviendo, singularum Ecclesiarum commoditatibus se impendant, quorum consilio idem Pontifex agenda disponat” (Sisto V, Cost. Postquam, 3 dicembre 1586: Bullarium Romanum, 4, IV, 279 ss.). Sono parole di quattro secoli fa, ma esprimono anche l’ansia pastorale del servizio, a cui ci chiamano le responsabilità di oggi. All’adempimento di tali compiti vuol servire appunto questa riunione plenaria, che oggi nel nome di Dio iniziamo.
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