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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
UNGHERESE IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 13 novembre 1987

 

Eccellentissimo signor arcivescovo Strigon,
eccellentissimi signori arcivescovi e vescovi.

1. Siete giunti a Roma dalla vostra patria e dalle vostre diocesi per rendere religioso omaggio alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo, secondo un’antica consuetudine. Oggi voi volete testimoniare anche in modo comunitario, stando riuniti qui tutti insieme, l’unità della fede e il concorde consenso di propositi che c’è tra le vostre chiese particolari e la Chiesa di Roma, che “presiede l’intera universale adunanza di carità” (Ignazio d’Antiochia, Ad Romanos), perché non lo manifestate solo tra voi, posti dallo Spirito a guidare una parte del gregge di Dio (At 20, 28) e il successore di Pietro, preposto alla sollecita cura di tutte le chiese (2 Cor 11, 28). Dal profondo del cuore dunque, carissimi fratelli nell’episcopato, porgo a voi il mio saluto e con voi e attraverso voi saluto anche tutto il popolo di Dio che abita in Ungheria: sacerdoti, religiosi e religiose. chierici, laici, donne e uomini: essi sono tutti chiamati, ciascuno nella sua particolare vocazione, a rendere testimonianza a Cristo Signore.

2. Negli ultimi cinque anni la Chiesa d’Ungheria ha sofferto grandemente per la scomparsa, talora inaspettata, di molti pastori. Voglio in particolare ricordare il compianto presule, cardinale Ladislao Lekai, che si era tanto impegnato per ottenere più liberi spazi di vita e d’azione per la Chiesa e per rafforzare ancor più i legami con questa sede apostolica.

Proprio ora (mentre parliamo) tutte le vostre diocesi hanno ciascuna il suo vescovo ordinario e di questo rendiamo grazie a Dio. A coloro, tra voi, che da tempo hanno ricevuto la pienezza del sacerdozio manifesto il mio desiderio e il mio auspicio a proseguire indefessamente la cura pastorale delle anime loro affidate; ai quattro tra voi più recentemente consacrati vescovi esprimo il mio affetto e la mia preghiera piena di speranza davanti a Dio: le vostre energie più giovani e fresche aggiungano nuovo impeto alle opere apostoliche intraprese. A ciascuno di voi poi prometto le mie preghiere perché lo Spirito del Signore, attraverso il vostro esempio e il vostro ministero, “prepari una nuova Pentecoste e “rinnovi la faccia della terra nella vostra nobile nazione.

3. Esempio di vita e sacro ministero: ecco il duplice titolo che rende il pastore della Chiesa “Forma” del suo gregge (cf. 1 Pt 5, 3). Per esplicita volontà di Cristo, i vescovi e i loro collaboratori sono, sull’esempio degli apostoli stessi, “sale della terra” (Mt 5, 13) con cui si può dare alla vita dell’uomo un sapore soprannaturale, e inoltre “luce del mondo” (Mt 5, 13) con cui si dissipano le tenebre dell’errore. Ma il sale e la luce sono davvero là dove vivono coloro a cui si rivolgono gli uomini a voi affidati secondo un’ineffabile decisione divina. Per quel che attiene poi il sacro ministero, che reca in sé le modalità dell’attività pastorale certo tra loro diverse, permettetemi, carissimi fratelli, di sottolineare l’importanza del ministero della predicazione della parola di Dio: “Predica la parola, insisti opportunamente e inopportunamente”, così san Paolo ammoniva il prediletto discepolo Timoteo; “Denuncia, rimprovera, supplica” (2 Tm 4, 2), continuava. Dunque è sicuro e importante dovere di ogni vescovo e sacerdote insegnare, esortare e correggere. Sappiate chiaramente che questo ministero della evangelizzazione, vivificato dallo Spirito, dona al popolo di Dio ricchissimi progressi spirituali, che ci stanno a cuore soprattutto proprio per la nostra funzione.

4. Tuttavia la Chiesa, come corpo “compatto e congiunto”, ha bisogno di molte membra operanti in spirito di carità (cf. Ef 4, 16). A dire il vero, cresce di giorno in giorno, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II il numero di coloro che cooperano con i pastori. È opportuno che lo stesso popolo di Dio possa indicare dal suo interno gli apostoli, i quali, senza alcuna specifica consacrazione ad eccezione del Battesimo e della Cresima, non solo operando e lavorando nella comune vita civile e sociale, innalzino opere nella vigna del Signore. Sono i laici, fratelli e sorelle, che da un lato si attendono di imparare da noi la verità del Vangelo e di essere da noi guidati al regno dei cieli, dall’altro poi sono alla nostra opera alleati e alleate che, nella sua funzione e al suo posto, concorrono all’edificazione del corpo di Cristo.

A Roma, il mese scorso, è stata celebrata la settima sessione ordinaria del Sinodo dei vescovi alla quale partecipasti anche tu, presule della Conferenza episcopale d’Ungheria, con un egregio uditore scelto tra i laici della vostra nazione.

Il Sinodo ha indagato profondamente la dottrina della vocazione e del dono dei laici nella Chiesa e nel mondo. Voi siete i loro pastori e con voi essi sono operai necessari per la messe, assolutamente insostituibili. Amateli e stimateli come figli e fratelli ed eredi della stessa speranza di vita eterna e di questa divulgatori; mentre il loro numero cresce, esortateli ad assumersi consapevolmente e con perizia i compiti precisi loro affidati.

5. Se rettamente coopereranno e svolgeranno il loro ministero, l’educazione religiosa si svolgerà in modo più ampio ed efficace nei diversi livelli. Se si comincerà dai bambini, la prima educazione cristiana che essi devono ricevere in casa e in parrocchia e nella scuola costituirà il fondamento sul quale la mentalità cristiana del futuro uomo si deve sviluppare. La catechesi impartita agli adolescenti tende, da un lato, a formare gli animi e a istruirli sui doveri da assolvere nella vita, dall’altro, a desiderare consapevolmente la fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Quanto ai giovani, è necessario che si propongano loro alti ideali e si indirizzino a tendervi. E dunque, ad eccezione di Cristo, chi è pienamente in grado di soddisfare i desideri di coloro che sono nella primavera della vita? I giovani desiderano un mondo più giusto e in pace. E Cristo è giustizia e pace. I giovani sono sollecitati da bisogni della fraternità umana: ma è Cristo che ci ha resi veri fratelli, proprio mentre ci ha donato la dignità di figli di Dio. Proponendo Cristo ai giovani, la Chiesa contribuisce profondamente a costruire una società umana più civile e più salda.

Si rifletta quanta utilità derivi al consorzio umano dai giovani, che siano rettamente preparati al matrimonio, che essi accolgano come indissolubile comunione di vita, che va ben oltre la dimensione naturale. Così infatti si possono ben frenare sia il divorzio sia l’aborto sia gli altri numerosi mali della società del nostro tempo. Come maestri spirituali del popolo a voi affidato, curate l’educazione dei giovani; e insegnate loro ad essere saldi testimoni di Cristo, e cittadini operosi e onesti, nonché genitori che guidino la loro famiglia sull’esempio della Sacra Famiglia di Nazaret. Sforzatevi di tener lontane le famiglie, che essi hanno fondato, dai mali perniciosi che sembrano minacciare la loro saldezza e sacralità. E la Chiesa vi sarà grata e vi guadagnerete meriti agli occhi dell’umana società. In questa materia vi assicuro che, in merito al piano pastorale collegialmente predisposto dalla vostra Conferenza episcopale, l’azione che riguarda la famiglia è la più importante.

6. Infatti la famiglia cristiana è anche, senza dubbio, il primo seminario nel quale propriamente si originano le vocazioni al sacerdozio e alla vita pienamente dedicata a Dio. E non mi sfuggono le gravi difficoltà che derivano alla Chiesa ungherese dall’inadeguato numero di sacerdoti: le morti superano le ordinazioni sacerdotali. Negli anni più recenti si è registrato un piccolo aumento di seminaristi, ma si è ancor lontani dall’abbondanza di candidati che possa sufficientemente venire incontro alla necessità di sacerdoti. Dunque non mancherete di curare sempre più ampiamente questa parte vitale (della Chiesa). Vi avvarrete qui dei migliori sacerdoti che sappiano trasmettere ai giovani il desiderio di servire Cristo e la Chiesa con tutte le energie. In tal campo ci sono in Ungheria iniziative ed esperienze per il cui buon esito ci si deve affidare alle preghiere, al buon esempio e all’aiuto della famiglia.

Un non piccolo incremento di sacerdoti deriva dagli stessi membri del clero, dal loro stile di vita, dalla loro sollecita cura delle anime, dalla loro rettitudine morale, dal loro amore verso la Chiesa, sposa di Cristo e loro sposa. Anche a loro oggi pongo il mio saluto, con affetto particolare. Da Dio sono stati chiamati e da lui associati al nostro ministero di evangelizzazione, santificazione e guida del popolo. Preghiamo per loro, comprendiamo le loro difficoltà, stimiamo le fatiche che affrontano, esortiamoli con le parole e con la vita, più intensamente uniamoci a loro per la grande e comune causa. Essi sono il nostro presbiterio, i nostri necessari consiglieri; essi condividono con noi aspettative, difficoltà, gioie, come gli apostoli con il Maestro.

La vita consacrata, sia degli uomini sia delle donne, è un altro aspetto della vitalità del popolo di Dio. L’evangelizzazione della vostra nazione fu cominciata dai religiosi ed essi molto operarono nei grandi monasteri, nei luoghi d’esercizio per giovani, nelle parrocchie nel volger dei secoli, per mantenere un’impronta cristiana all’Ungheria, che l’aveva ricevuta dal grande santo Stefano. Con grato e particolare ricordo li saluto. Ancor oggi sono dediti all’educazione dei giovani, alla testimonianza dello spirito evangelico, all’esercizio delle opere di carità. Vogliamo sperare che la loro presenza sia sempre più riconosciuta e desiderata da tutti.

7. In tutta la Chiesa stiamo celebrando l’Anno mariano che proseguirà fino al prossimo mese d’agosto. L’Ungheria ama essere chiamata “regno di Maria”, alla quale molte chiese sono dedicate, sparse in tutta la nazione. Nel mese di settembre avete intrapreso un pellegrinaggio comunitario al santuario di Maria Pocz, in occasione del giubileo della diocesi Haidudoroghnuse, alle cui solenni celebrazioni partecipò il card. prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Sono persuaso che la devozione del popolo ungherese alla Santa Madre di Dio è un pegno e una speranza sicura della vita della Chiesa presso di voi. Alimentate dunque con forte intelligenza d’iniziative la devozione dei fedeli, per rinnovare il loro amore per la Vergine Maria. Tra queste, i pellegrinaggi ai santuari mariani in questi mesi hanno un significato particolare.

Nel 1988 ricorrerà il 950° anniversario della morte di santo Stefano. La sua grande personalità, l’opera da lui esplicata in favore del vostro buon popolo, la sua saggezza, la sua prudenza, il suo affetto per la sede di san Pietro e, soprattutto, la sua devozione filiale per la Madre di Dio sia per voi esempio e conforto.

Diletti fratelli, concludendo questa riflessione sui fattori e le questioni della vita religiosa della vostra nazione, vi esorto a riflettere su quest’ultimo punto. Nel discorso dell’ultima cena, il Signore Gesù pregò per l’unità degli apostoli e perché essi imitassero la sua unità col Padre (Gv 17, 21). Conservate il saldo legame che vi unisce al successore di Pietro e aumentate l’unità e collegialità d’azione tra voi. Riunite le vostre esperienze, interpretate concordemente i segni dei tempi, nel rispetto dei bisogni propri dei popoli, mossi sempre da spirito di fedeltà alla Chiesa. Questa unità tra voi, pastori, sarà origine e radice della perfetta comunione ecclesiale, che abbraccia tutti in Cristo: vescovi, sacerdoti, religiosi, popolo dei fedeli.

Implorando su voi la benedizione del santo re Stefano e di tutti i santi ungheresi, affidandovi alla materna protezione della “Grande Signora degli ungheresi”, imparto a voi, ai vostri collaboratori, a tutta la Chiesa d’Ungheria e alla diletta nazione ungherese, la mia apostolica benedizione.

 

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