DISCORSO DEL PAPA PAOLO VI
AL PATRIZIATO E ALLA NOBILTÀ ROMANA
Martedì, 14 gennaio 1964
Illustri Signori e diletti Figli!
Ecco un’Udienza piena per Noi di particolare significato e di grande interesse!
La qualità e il numero delle vostre persone, innanzi tutto Ci obbliga a particolare riguardo: a ciascuna di esse vorremmo rivolgere una speciale parola. A ciascuna delle Famiglie, che qui vediamo insieme riunite, alla gioventù specialmente, ai figli della nuova generazione, ai bambini carissimi porgiamo il Nostro cordiale e paterno saluto. Ci commuove il pensiero che questo è incontro augurale: vi ravvisiamo un fatto che continua una tradizione, che rievoca una storia, che dimostra un proposito di continuità e di fedeltà; e ciò fa a voi tutti molto onore, e solleva in Noi tanti ricordi e tanti pensieri. I voti poi, che nelle parole alte e buone del vostro esimio interprete Ci sono ora presentati, sono per Noi un’offerta preziosa, tanto per la squisitezza dei sentimenti ch’essi Ci esprimono, quanto per il valore delle promesse ch’essi contengono.
Dobbiamo perciò, a Nostra volta, esprimere la Nostra viva riconoscenza, e dobbiamo ricambiare alle singole vostre persone, ad ognuna delle nobili Case qui rappresentate, e a tutto il ceto del Patriziato e della Nobiltà romana, gli auguri Nostri, quelli che può concepire il Papa per voi, anzi il nuovo Papa, se è vero che le primizie sono più ricche di alte intenzioni e di cordiale fervore.
Vorremmo dirvi molte cose. La vostra presenza suscita tante riflessioni. Così era anche per i Nostri venerati Predecessori, per Papa Pio XII di felice memoria specialmente, i quali in occasione come questa ebbero a rivolgere a voi magistrali discorsi, che invitavano la vostra meditazione a considerare alla luce dei loro mirabili insegnamenti sia le condizioni vostre, sia quelle del tempo nostro. Vogliamo credere che l’eco di quelle parole, simile a vento che gonfia una vela, come non è spento in Noi che, estranei a questa caratteristica adunanza, ne raccoglievamo l’onda riflessa, vibri ancora nei vostri animi per riempirli di quegli austeri e magnanimi richiami, onde si alimenta la vocazione, prefissa dalla Provvidenza alla vostra vita, e si regge la funzione tuttora reclamata nei vostri riguardi dalla società contemporanea. Certamente voi ricordate, e tale ricordo fiancheggia i vostri spiriti e dispensa Noi dal farvene nuovo discorso. La voce del Principe Colonna, che abbiamo testé ascoltata, Ce ne dà confortante testimonianza. Di questo vi siamo gratissimi.
E tanto più per due motivi, che Ci riguardano. Il primo si è che Noi non osiamo, questa volta almeno, farCi maestri dei vostri pensieri e dei vostri costumi: Ci sembra rispetto la Nostra comprensibile timidezza, stima il Nostro sopra giustificato silenzio. Nulla diremo di quanto, in analoga circostanza, voi eravate abituati ad ascoltare: la paterna e grave esortazione consueta del Papa tace quest’anno.
In secondo luogo, soccorrono alla Nostra difficoltà di parola le ottime disposizioni dei vostri animi, le quali appunto qui venite a manifestarCi, quasi indovinando e prevenendo tale Nostra difficoltà. E la difficoltà è questa (la pone la storia con inesorabile evidenza): che Noi, ben lo sapete, non siamo più il sovrano temporale, intorno al Quale, nei secoli andati, si raccoglievano le categorie sociali alle quali voi appartenete. Noi non siamo più per voi quelli di ieri. Forse non se ne è avuta finora chiara percezione per la ragione che la decadenza del potere temporale del Papa è avvenuta nel modo che ben si conosce, e che ha conservato, durante quasi sessant’anni di mancato riconoscimento dello stato di fatto, con la rivendicazione dell’antico diritto, le forme esteriori e tradizionali della perduta sovranità; e voi avete dato prova, durante quel torbido e paradossale periodo, d’una mirabile fedeltà mantenendovi uniti al Papa, privo della sua secolare sovranità civile, contentandovi di rivestire forme e titoli, privi anch’essi delle loro relative ed effettive funzioni. Di questo va data a voi grande lode.
Ma, dicevamo, la storia cammina. Il Papa, se pur trova nella sovranità sullo Stato della Città del Vaticano lo scudo ed il segno della sua indipendenza da ogni autorità di questo mondo, non può e non deve ormai più che esercitare la potestà delle sue Chiavi spirituali. Davanti a voi, quali eredi e rappresentanti delle antiche famiglie e categorie dirigenti della Roma papale e dello Stato pontificio, Noi siamo ora a mani vuote; nè siamo più in grado di conferire a voi uffici, benefici, privilegi, vantaggi derivanti dall’ordinamento d’uno Stato temporale, nè siamo più in grado di accogliere i vostri servizi inerenti ad un’amministrazione civile. Ci sentiamo umanamente poveri dinanzi a voi; nonostante la Nostra riconoscenza per la vostra tradizionale fedeltà e per le vostre volonterose prestazioni, e nonostante la stima e l’affezione, che sempre nutriamo per voi, non possiamo più profittare, come un tempo, della vostra profana collaborazione. Diciamo questo con qualche esitazione; ecco, con qualche disagio interiore, temendo di non essere, o di non apparire abbastanza devoti alla tradizione, e abbastanza riconoscenti verso le vostre benemerenze. Ma così veramente non è.
E dovremmo anche aggiungere che oggi il Papato, tutto assorbito nelle sue funzioni spirituali, si è prefissa un’attività apostolica, che possiamo dire più ampia e nuova rispetto a quella d’un tempo. La sua missione religiosa prende forme e proporzioni, che non possono non modificare quelle sue strutture pratiche, che i bisogni d’altri tempi avevano suggerito essere opportune e necessarie. Il dovere, che incombe alla Santa Sede, di attendere al governo della Chiesa universale e di venire a colloquio apostolico col mondo moderno, oggi agitato da rapide e profonde trasformazioni, la obbliga ad una visione realistica delle cose, che le impone, anche dolorosamente talvolta, di sceverare e di preferire nel suo retaggio di istituzioni e di consuetudini ciò che è essenziale e vitale, non già per dimenticare, ma per rinvigorire i suoi veri impegni tradizionali.
Il Concilio ecumenico, com’è noto, pone alla Chiesa questo enorme problema dell’aggiornamento, che anche la Santa Sede dovrà studiare per sé. E se questa previsione, del tutto imprecisa e ipotetica per ora, imbarazza alquanto la Nostra parola in questo pur tanto piano e cordiale incontro, le espressioni con cui oggi voi Ci aprite i vostri animi Ci assicurano della vostra comprensione, e Ci garantiscono che, mutati i tempi e modificata forse qualche forma esteriore dei vostri rapporti con la Santa Sede, resterà costante e filiale la vostra adesione alla Chiesa ed al Papa, Ne siamo lietissimi; e vi assicuriamo che da parte Nostra non solo rimarrà inalterato il vincolo della Nostra benevolenza per voi, ma anche questo si perfezionerà, se potremo avere da voi quel nuovo aiuto, quella nuova collaborazione, quella nuova difesa, che oggi si chiama la testimonianza cristiana nella società, l’apostolato cattolico nelle tante forme che l’attività culturale, caritativa, organizzativa, sociale e religiosa della Chiesa oggi offre alla buona volontà dei suoi figli. Saperci seguiti da voi come Pastori delle vostre anime Ci sarà ora più utile e caro, che sapervi a Noi vicini come vostri Sovrani temporali d’un tempo.
E di questa consolazione Noi già sperimentiamo la generosità e la gentilezza, quando appunto vi scorgiamo comprensivi e solidali nei grandi momenti spirituali, che caratterizzano la vita della Chiesa in questo suo fascinoso periodo. Conosciamo il vostro interessamento per le grandi celebrazioni religiose e per i grandi avvenimenti ecclesiastici di questi anni, come l’Anno Santo e l’Anno Mariano, i contatti con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede e gli incontri culturali al Circolo di Roma, e così via. Un esempio preclaro di codesta vostra filiale compenetrazione nella vita della Santa Sede Ci è stato dato durante il Nostro recente pellegrinaggio in Terra Santa, dove avemmo la gioia di scoprire che eravamo accompagnati da alcuni di voi, non facenti parte del Nostro seguito ufficiale, i quali vollero, di loro iniziativa e per loro devozione, associarsi spiritualmente a quelle Nostre ore di straordinario significato religioso: ne diamo loro sincero elogio.
Come vogliamo elogiare e incoraggiare il bene che voi andate compiendo in tante opere benefiche e religiose, che dalla vostra esemplare adesione e dalla vostra assidua partecipazione ricevono impulso generoso e edificazione confortatrice. Come vogliamo compiacerci del fatto che ancora qualche figlio e qualche figlia delle vostre storiche Famiglie consacra la propria vita al Signore e si pone al servizio religioso della Chiesa; anzi vorremmo che tale offerta fosse più numerosa anche per l’avvenire, tanto è significativa e preziosa. Continuate così; perché se è vero che il Nostro ministero, come ora diceva il Principe Colonna, è necessario per la salvezza del mondo, in cui la Provvidenza Ci ha destinati a vivere e ad operare, è vero anche che tutti dobbiamo e possiamo contribuire all’incremento del regno di Dio nella nostra società; e voi certo ben più che altri.
E vi sia di incitamento, di conforto e di premio, quasi foriera dell’aiuto e della ricompensa del Signore, la Nostra Benedizione Apostolica.
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