PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ PAOLO VI
IN ASIA ORIENTALE, OCEANIA E AUSTRALIA
ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE PAOLO VI
A TUTTI I VESCOVI DEL CONTINENTE
Manila, Filippine
Sabato, 28 novembre 1970
Venerati Fratelli!
Vescovi delle Filippine! Vescovi dell’Asia! a tutti salute in Cristo Nostro Signore! Salute a te, Rufino Cardinale Santos, Arcivescovo di questa Chiesa di Manila, che ospita questo straordinario convegno. Per ciascuno di voi, Fratelli, abbiamo il saluto della fede e della carità. Per le vostre chiese, per le vostre terre, i Nostri voti pieni di riverenza, di amicizia e di pace!
Eccoci finalmente riuniti. Noi siamo felici di questa riunione. Essa è una novità, ma risponde alla natura profonda della Chiesa; essa è sempre stata così; essa è la famiglia dei credenti in Cristo «di ogni nazione, ch’è sotto il cielo» (Act. 2, 5). La scena della Pentecoste si presenta alla nostra memoria, e l’invocazione allo Spirito Santo sale dal cuore alle nostre labbra: Veni, Sancte Spiritus! Per godere con voi questo momento, che ci sembra storico e misterioso, Noi abbiamo compiuto il lungo viaggio da Roma a Manila: per incontrare voi, carissimi Fratelli, per meglio conoscervi, per onorare questa vostra assemblea, per incoraggiare il vostro lavoro, per sostenere i vostri propositi. Voi siete lo scopo della Nostra presenza. E voi siete ora il tema delle Nostre parole, e, venendo in questo immenso continente, il primo oggetto della Nostra carità!
Ancor più che la novità e la singolarità di questo incontro ci pare degno della Nostra immediata attenzione il significato teologico, che esso manifesta, e il mistero, che esso realizza: Cristo è qui. Egli è qui per il fatto, che sempre si ripete, di una riunione nel suo nome (Matth. 18, 20). Egli è qui per la fede che lo rende ospite in ciascuno di noi (Eph. 3, 17). Egli è qui anche per l’intervento della Nostra umile persona, alla quale, come a quella d’un infimo successore di Pietro, compete per antonomasia il titolo di Vicario di Cristo. Ed è qui Cristo nostro Signore per il ministero apostolico affidato a ciascuno di noi (Cfr. Lumen gentium, 21), e per il rapporto collegiale che insieme ci unisce (Ibid., 22): noi, successori degli Apostoli, noi, Pastori della Chiesa di Dio, siamo investiti della potestà non solo di rappresentare, ma di rendere presente sulla terra e nel tempo, la sua voce (Luc. 10, 16), e la sua azione salvatrice (Matth. 28, 19). Cristo è qui.
Rendiamoci conto di questa misteriosa realtà, con un atto di fede, cosciente e forte. È vero: noi crediamo fermamente che la promessa del Signore: «Ecco Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20) si realizza, ora, storicamente in modo singolare e stupendo. Cristo è con noi.
Come si realizza questa promessa in questo momento? Si realizza nel volto della Chiesa, la quale è essa stessa «segno e sacramento» di Cristo (Cfr. Lumen gentium, 1; DE LUBAC, Méditation sur l’Eglise, 157 ss.), quel volto che qui sembra irradiare con luminosa evidenza le note caratteristiche della Chiesa: una, santa, cattolica ed apostolica. Quest’ultima nota, l’apostolicità, ora ci riguarda in modo particolare. Riflettiamo un momento.
Noi tutti, qui riuniti, siamo i continuatori degli Apostoli, i quali hanno avuto da Cristo stesso il mandato, la potestà, il suo Spirito di perpetuare e di estendere la sua missione, Noi siamo gli eredi degli Apostoli; noi siamo Cristo operante nella storia e nel mondo; noi siamo i ministri del suo governo pastorale della Chiesa; noi siamo l’organo istituzionale «dispensatore dei misteri di Dio» (Cfr. 1 Cor. 4, 1; 2 Cor. 6, 4; Lumen gentium, 20).
Voi sapete che il Concilio ha chiaramente proclamato questa dottrina, che fa parte della costituzione divina e perenne della Chiesa; e sapete anche che intorno a tale dottrina sono sorte molte discussioni, non tutte utili per confermarla e per chiarirla, come si conviene, anzi talvolta promosse per confonderla e svigorirla. A Noi pare che questa occasione sia per noi propizia per riaffermare la nostra ferma adesione alla dottrina dell’apostolicità della Chiesa. Osservate. Questa dottrina dell’apostolicità stabilisce la permanenza e l’autenticità della fondazione della Chiesa da parte di Cristo; essa segna i confini della comunione ecclesiale (Cfr. Luc. 10, 16; 11, 23; Unitatis redintegratio, 2); essa qualifica con carattere sacramentale le nostre persone in ordine al ministero che ci è affidato; essa ci inserisce in un unico Collegio apostolico, presieduto da Pietro, stabilendo fra di noi vincoli di unità, di carità, di pace, di solidarietà e di collaborazione; essa rivendica l’importanza e la fedeltà della tradizione, e insieme dimostra la vitalità attuale e la giovinezza sempre rinascente della Chiesa; essa dà ragione della sua organica gerarchia e della vitale funzionalità del Corpo mistico, essa tutela l’esistenza e l’esercizio delle potestà ministeriali proprie del sacerdozio cristiano, partecipe di quello unico di Cristo; essa è la sorgente prima, autorizzata e responsabile dell’attività missionaria (Cfr. JOURNET, L’Eglise du Verbe Incarné, II, 1208, 2); essa non costituisce tuttavia l’Episcopato come una casta privilegiata, per il fatto che esso non deriva dalla «base» la sua autorità, ma da Cristo, sì bene fa dell’Episcopato un organo per il bene, per il servizio di tutte le Chiese particolari, e dell’intera Chiesa cattolica, operante per amore, fino al sacrificio (Christus Dominus, 6).
Tutto questo Noi vi ricordiamo, Fratelli, affinché grande sia la vostra fiducia nell’assistenza di Cristo alle vostre persone, alle vostre fatiche, alle vostre sofferenze, alle vostre speranze. Voi dovete aver coscienza della vostra vocazione, della vostra elezione, della vostra responsabilità. Voi dovete sempre sentire risuonare nel fondo delle vostre anime la parola di S. Paolo: Attendite vobis et universo gregi, in qui Spiritus Sanctus posuit episcopos regere Ecclesiam Dei, quam acquisivit saguine suo (Act. 20, 28). Siate forti, siate pazienti. Voi avete davanti un campo immenso d’apostolato; basterebbe la sua vastità geografica e la sterminata moltitudine dei suoi abitanti per esaltare la vostra energia apostolica.
Qui Noi dovremmo dare uno sguardo su questo panorama umano, nel quale deve svolgersi il vostro ministero; ma Noi sappiamo che voi siete già impegnati e già esperti nello studio e nell’azione.
Avete davanti a voi un campo immenso di apostolato. È difficile parlare, come di un tutto, di questa Asia, in cui vive più di metà della umana famiglia. Vi si può, tuttavia, riscontrare come una trama di interessi comuni, una qualche somiglianza nella concezione della vita, una qualche concordanza nelle aspirazioni. Giovane per la sua popolazione, ma ricca di civiltà talora millenarie, l’Asia è stimolata come da una volontà irresistibile a occupare il posto che le compete nel mondo, e la sua influenza va effettivamente crescendo. L’attrattiva per il cambiamento, il desiderio del progresso sono presenti dappertutto e Noi vi vediamo una nuova possibilità per l’uomo di oggi.
Certo, eccettuate alcune regioni, come le Filippine, la Chiesa, malgrado una storia già lunga, non è rappresentata in Asia che da deboli minoranze. Tuttavia, chi potrà dire la somma di eroica abnegazione, di fede nell’uomo asiatico che ha presieduto, fin dagli inizi, ai destini della Missione in questo Continente? Chi potrà raccontare le peripezie, sovente dolorose e tragiche - e fino ai nostri giorni - di un apostolato missionario che solo un aiuto venuto dal Cielo avrebbe potuto sostenere? A questo sforzo missionario Noi dobbiamo la testimonianza della riconoscenza e della lode a nome di tutta quanta la Chiesa. Anche la Nostra speranza è grande, fondata com’è sull’ordine del Signore di andare a tutte le nazioni e sulle sue promesse, tradotte nelle parabole del grano di senapa e del lievito nella pasta (Luc. 13, 18-20).
Noi ci limitiamo ad accennare ad alcuni punti, che ci sembrano capitali, della vostra presente missione. Nulla vi è ignoto di ciò che Noi vi diciamo; ma vi sia grato avere conferma dalla Nostra parola dei vostri pensieri e dei vostri propositi.
La prima cosa che Noi vi proponiamo è questa: procuriamo di fare nostra guida l’insegnamento del recente Concilio Ecumenico. Esso riassume e convalida il patrimonio della tradizione cattolica e apre la via ad un rinnovamento della Chiesa secondo le necessità e le possibilità dei tempi moderni. Questa aderenza alla dottrina del Concilio può stabilire un’armonia magnifica in tutta la Chiesa. E questa armonia moltiplica l’efficienza della nostra azione pastorale e ci difende dagli errori e dalle debolezze di questi giorni. In un campo specialmente: quello della fede. Pare a noi che alla difesa e alla diffusione della fede debba andare la prima nostra espressione spirituale, la nostra prima cura pastorale. Noi Vescovi siamo i testimoni qualificati e responsabili della fede. Noi Vescovi siamo i maestri della fede. Siamo i predicatori, siamo i promotori dell’insegnamento della fede. Questo è impegno primario per noi. Tutto ciò che facciamo per dare promozione allo studio della fede, alla catechesi, alla conoscenza e alla meditazione della Parola di Dio, alla cultura e alla scuola cattolica, alla stampa nostra, all’uso dei mezzi di comunicazione sociale, al dialogo ecumenico, è nell’ordine di questo dovere. Non possiamo tacere, non dobbiamo smarrire la verità e l’unità della fede. Dobbiamo fare della fede il principio originale ed operante della vita cristiana delle nostre comunità.
Lasciate che a questa raccomandazione per l’affermazione e per l’ortodossia della fede Noi aggiungiamo quella per la preghiera. Noi assistiamo alla decadenza della preghiera, nel nostro tempo; e voi ne conoscete le cause. Ma abbiamo in favore della preghiera due grandi risorse (sebbene diverse): una è la riforma liturgica, promossa dal recente Concilio, il quale non ha soltanto rinnovato le espressioni rituali, e sempre secondo certe norme tradizionali, ma ha ravvivato le fonti dottrinali, sacramentali, comunitarie e pastorali della preghiera ecclesiastica: noi dobbiamo profittare di questo provvidenziale insegnamento, se vogliamo che la preghiera sia sempre espressione viva e sincera dei fedeli e mantenga nella Chiesa il primato dei valori religiosi. L’altra risorsa per la preghiera è la predisposizione naturale dello spirito asiatico. Noi dobbiamo onorare e coltivare codesto nativo e profondo senso religioso, che caratterizza l’anima del mondo orientale; noi dobbiamo difendere la spiritualità propria di codesti Popoli e impedire che il loro contatto con la civiltà profana e materialistica moderna ne soffochi l’interiore respiro. Noi siamo sicuri che la Chiesa possiede il segreto del vero colloquio con Dio; e voi dovete aprire l’anima dei vostri fedeli alla ascoltazione della Parola misteriosa e autentica di Dio e alla espressione intensa e filiale del dialogo religioso, a cui Cristo ci ha autorizzato e che lo Spirito ci abilita a rivolgere al Padre celeste.
E a questo riguardo si pone un altro punto fondamentale, che riguarda non solo la lingua dell’orazione e dell’insegnamento religioso, ma il genio e lo stile dell’evangelizzazione, la quale, come dice il Concilio, deve «adeguarsi al particolare modo di pensare e di agire» dei Popoli a cui è rivolta (Cfr. Ad gentes, 16-18, ecc.).
Se nel passato una conoscenza insufficiente delle ricchezze nascoste di diverse civiltà ha potuto ostacolare la diffusione del messaggio evangelico e dare alla Chiesa un certo volto straniero, è vostro compito mettere in luce che la salvezza, arrecata da Cristo, è offerta a tutti, senza distinzione di condizione, senza legame privilegiato per una razza, un continente o una civiltà, e che, lungi dal voler soffocare «i germi di bene nel cuore e nel pensiero degli uomini, o nei loro riti e nella loro cultura» il Vangelo ha per effetto di guarirli, elevarli, perfezionarli per la gloria di Dio (Cfr. Lumen gentium, 17; Ad gentes, 22). Secondo l’esempio di Gesù Cristo, che ha diviso la condizione dei suoi, l’uomo dell’Asia può essere cattolico e rimanere pienamente asiatico. Come Noi già abbiamo dichiarato un anno fa in Africa, se la Chiesa deve essere prima di tutto cattolica, è legittimo un pluralismo di espressioni nell’unità della sostanza, ed è anche desiderabile nella maniera di professare la fede comune nel medesimo Gesù Cristo.
E questo fonda ugualmente, Fratelli, la vostra responsabilità particolare nel continuare l’annuncio di Gesù Cristo agli uomini dell’Asia. Nessuno meglio di un asiatico può parlare a un asiatico. Nessuno meglio di lui dovrebbe saper attingere dai tesori delle vostre culture tanto ricche gli elementi per edificare in Asia una Chiesa una e cattolica, fondata sugli Apostoli e pur tuttavia diversa nelle sue forme di vita. Non dobbiamo forse notare, a lode dei vostri popoli e a conforto della vostra azione pastorale, la disposizione naturale degli Orientali per il mistero religioso, che sembra un segno profetico del loro appello alla rivelazione cristiana? Mancherebbe certamente un aspetto essenziale della maturità delle vostre Chiese particolari, se non vi si sviluppassero le vocazioni missionarie. Sta ai Vescovi dell’Asia, ai loro sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai loro laici impegnati nell’apostolato, di essere i primi apostoli dei loro fratelli di Asia, aiutati dai Missionari stranieri, i cui meriti sono tanto grandi e di cui voglia Dio che lo sforzo continui e si accresca, in nome dell’inalterabile solidarietà che s’impone a tutta la Chiesa in questo campo!
Uno degli aspetti dell’adattamento attuale dell’attività missionaria, che Noi abbiamo sottolineato nel recente Messaggio per la Giornata Missionaria, è l’importanza che essa accorda all’azione di sviluppo. Il Vangelo, che è la buona novella annunciata ai poveri (Luc. 4, 18): non è forse una sorgente di sviluppo? Cosciente delle aspirazioni umane alla dignità ed al benessere, soffrendo per le ingiuste disuguaglianze che sussistono e sovente si accentuano fra le nazioni e all’interno delle medesime, la Chiesa, nel pieno rispetto della competenza degli Stati, deve offrire il suo aiuto per promuovere un «umanesimo plenario», vale a dire «lo sviluppo integrale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini» (Populorum progressio, 42). È questa una conseguenza logica della nostra fede cristiana. La Gerarchia delle Filippine lo ricordava recentemente: «Il cristianesimo e la democrazia hanno in comune un principio di base: il rispetto per la dignità e il valore della persona umana, il rispetto dei mezzi necessari perché l’uomo possa da lui stesso arrivare alla pienezza della sua umanità» (9 luglio 1970). È in nome di questo principio che la Chiesa deve favorire nel modo migliore la lotta contro l’ignoranza, la fame, la malattia e l’insicurezza sociale. Ponendosi all’avanguardia dell’azione sociale, essa deve tendere tutti gli sforzi per appoggiare, incoraggiare, spingere le iniziative che mirano alla promozione integrale dell’uomo. Testimone della coscienza umana e dell’amore di Dio per gli uomini, essa deve prendere la difesa del debole e del povero contro le ingiustizie sociali.
Noi sappiamo che molto è stato fatto da voi in questo senso, tanto sul piano degli studi che su quello dell’azione. Siamo convinti che voi contribuite in tal modo al mantenimento della pace: «La fede cristiana, come pure il rapporto intimo che esiste tra la promozione dei diritti dell’uomo e il suo progresso socio-economico, costituisce la vera base d’una pace autentica e duratura» come ancora ha dichiarato l’Episcopato Filippino (1° maggio 1970).
A questo nome di pace, come non elevare di nuovo la nostra anima per implorare dal Signore che le popolazioni tanto dolorosamente e così lungamente colpite dalla guerra possano finalmente, nella giustizia e nella dignità, condurre una vita tranquilla e pacifica?
Noi preghiamo, infine, il Cristo di fare sì che questo viaggio sia di conferma per tutti i popoli dell’Asia dell’invito che egli loro rivolge di accogliere il suo Messaggio, carico di verità e di amore, divinamente concepito per essi, per ciascuno di essi, nella propria lingua e in armonia con la propria civiltà, come l’ha accolto e continua ad accogliere il popolo Filippino!
Che Maria, la madre del Verbo fatto carne, la madre degli Apostoli, presieda ancora a questa Pentecoste!
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