PIO PP. XII
LETTERA ENCICLICA
MYSTICI CORPORIS CHRISTI*
AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E ALTRI ORDINARI AVENTI PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
DEL CORPO MISTICO DI GESÙ CRISTO
E DELLA NOSTRA UNIONE IN ESSO CON CRISTO
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Introduzione.
La dottrina sul corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa (cfr. Col. 1, 24), dottrina attinta originariamente al labbro stesso del Redentore e che pone nella vera luce il gran bene (mai abbastanza esaltato) della nostra strettissima unione con sì eccelso Capo, è tale senza dubbio che, per la sua eccellenza e dignità, invita tutti gli uomini mossi dal divino Spirito a studiarla e, illuminando la loro mente, fortemente li spinge a quelle opere salutari che corrispondono ai suoi precetti. Reputiamo perciò Nostro compito il trattenerCi con voi su questo argomento, svolgendone e sviluppandone specialmente quei punti che riguardano la Chiesa militante. Al che Ci muove non solo l’insigne grandezza di questa dottrina, ma anche lo stato presente dell’umanità.
Intendiamo infatti di parlare delle ricchezze riposte nel seno di quella Chiesa che fu acquistata da Cristo col proprio sangue (Act. 20, 28) e le cui membra si gloriano di un Capo redimito di spine. Circostanza, questa, che è prova evidente come le cose più gloriose ed esimie nascano soltanto dal dolore; quindi dobbiamo godere per la nostra partecipazione alla passione di Cristo, affinché possiamo poi rallegrarci ed esultare quando si manifesterà la sua gloria (cfr. I Petr. 4, 13).
Rileviamo intanto sin dall’inizio che, come il Redentore del genere umano ricevette persecuzioni, calunnie e tormenti da quei medesimi la cui salvezza aveva preso su di sé, così la società da lui costituita si assomiglia anche in questo al suo divin Fondatore. Non neghiamo, è vero, esservi anche in questa nostra età turbolenta non pochi i quali, benché separati dal gregge di Cristo, guardano alla Chiesa come all’unico porto di salvezza (e lo riconosciamo con gratitudine verso Dio); ma sappiamo pure essere la Chiesa di Dio dispregiata e con superba ostilità calunniata da coloro i quali, abbandonata la luce della cristiana sapienza, ritornano miseramente alle dottrine, ai costumi, alle istituzioni dell’antichità pagana; spesso anzi è ignorata, trascurata e tenuta in fastidio da molti cristiani, o allettati da errori di finta bellezza, o adescati dalle attrattive e depravazioni del mondo. Per dovere quindi di coscienza, o Venerabili Fratelli, e per assecondare il desiderio di molti, porremo sotto gli occhi di tutti ed esalteremo la bellezza, le lodi e la gloria della Madre Chiesa a cui, dopo Dio, tutto dobbiamo.
C’è da sperare che questi Nostri precetti ed esortazioni, nelle presenti circostanze, produrranno nei fedeli frutti molto abbondanti; ben sappiamo infatti come tante sventure e dolori del nostro procelloso tempo dai quali sono acerbamente tormentati innumerevoli uomini, se vengono accettati dalle mani di Dio con serena rassegnazione, convertono, per un certo impulso naturale, gli animi dalle cose terrene e instabili alle celesti ed eterne, suscitando in essi un’arcana sete e un intenso desiderio delle realtà spirituali: stimolati così dal divino Spirito, vengono eccitati e quasi sospinti a cercare con maggiore diligenza il Regno di Dio. Infatti, a misura che gli uomini si distolgono dalle vanità di questo mondo e dall’affetto disordinato delle cose presenti, si rendono più atti a percepire la luce dei misteri soprannaturali. E forse oggi più chiaramente che mai si vede la instabilità e inanità delle cose terrene, mentre i regni e le nazioni vanno in rovina, ingenti beni e ricchezze d’ogni genere vengono sommersi nelle profondità degli oceani, città, villaggi e fertili terre son coperte di rovine e insanguinate di stragi fraterne.
Confidiamo inoltre che neppure a quanti sono fuori del grembo della Chiesa cattolica, saranno ingrate né inutili le verità che siamo per esporre intorno al corpo mistico di Cristo. E ciò non solo perché la loro benevolenza verso la Chiesa sembra aumentare di giorno in giorno, ma anche perché essi stessi, mentre osservano le nazioni insorgere contro le nazioni e i regni contro i regni e crescere smisuratamente le discordie, le invidie e i motivi di odio, se pongono lo sguardo alla Chiesa e considerano la sua unità d’origine divina (in virtù della quale tutti gli uomini d’ogni stirpe vengono congiunti da fraterno vincolo con Cristo) certamente son costretti ad ammirare questa grande famiglia alimentata dall’amore; e con l’ispirazione e il soccorso della grazia divina saranno attirati a partecipare della stessa unità e carità.
Vi è anche una ragione particolare, tanto cara e dolce, per cui questo punto di dottrina si presenta con sommo diletto alla Nostra mente. Durante il passato venticinquesimo anno del Nostro Episcopato, con grandissimo compiacimento osservammo una cosa che fece luminosamente risplendere in tutte le parti della terra l’immagine del corpo mistico di Gesù Cristo: mentre cioè una micidiale e diuturna guerra aveva miseramente infranto la fraterna comunanza delle genti, dovunque Noi abbiamo dei figli in Cristo, li vedemmo con una sola volontà ed affetto, elevare il pensiero verso il Padre comune che governa in così avversa tempesta la nave della Chiesa Cattolica, portando nel cuore le sollecitudini e le ansietà di tutti. Ed in questa circostanza notammo non soltanto la mirabile unione della famiglia cristiana, ma anche un fatto innegabile: a quella guisa che Noi stringiamo al Nostro cuore paterno i popoli di qualsiasi nazione, così da ogni parte i cattolici, benché appartenenti a popoli fra loro belligeranti, guardano al Vicario di Cristo come all’amatissimo Padre di tutti, il quale, ispirato da assoluta imparzialità e da incorrotto giudizio per ambo le parti, ed elevandosi al di sopra delle procelle delle umane passioni, prende con tutte le forze la difesa della verità, della giustizia, della carità.
Né Ci ha apportato minore consolazione l’aver appreso essere stata raccolta spontaneamente e volonterosamente una somma per innalzare in Roma un sacro tempio dedicato al Nostro santissimo Predecessore e Patrono onomastico, il Papa Eugenio I. Pertanto, come questo tempio, da erigersi per volere ed elargizione di tutti i fedeli, farà perenne il ricordo del faustissimo evento, così desideriamo che la presente Lettera Enciclica renda testimonianza del Nostro animo grato; poiché in essa si tratta appunto di quelle vive pietre umane, le quali, edificate sulla pietra angolare che è Cristo, vengono a formare quel sacro tempio di gran lunga più eccelso d’ogni altro tempio costruito dalla mano degli uomini, l’abitazione cioè di Dio nello Spirito (cfr. Eph. 2, 21-22; I Petr. 2, 5).
La Nostra sollecitudine pastorale poi è il principale motivo per cui trattiamo con una certa ampiezza una così eccelsa dottrina. Molti punti sono stati messi in luce su questo argomento, né ignoriamo che molti si applicano oggi con grande attività al suo studio, dal quale viene anche rafforzata e nutrita la pietà cristiana. Ciò sembra debba attribuirsi specialmente al fatto che il rinato studio della sacra liturgia, l’uso invalso di accostarsi con maggior frequenza alla mensa eucaristica e il culto del Cuore sacratissimo di Gesù, che godiamo di veder tanto diffuso, hanno indotto gli animi di molti ad una più accurata indagine delle investigabili ricchezze di Cristo custodite dalla Chiesa. A porre poi questo argomento nella giusta luce, molto influirono gli insegnamenti che in questi ultimi tempi furono pubblicati intorno all’Azione Cattolica: essi resero più stretti i vincoli dei cristiani tra loro e con la gerarchia ecclesiastica, particolarmente con il Romano Pontefice. Tuttavia, se a buon diritto possiamo godere di quanto abbiamo accennato, pure non si deve negare come su questa dottrina non solo si spargono gravi errori da chi è separato dalla vera Chiesa, ma si diffondono anche tra i fedeli teorie o inesatte o addirittura false, che deviano le menti dal retto sentiero della verità.
Infatti, da una parte perdura il falso razionalismo, il quale ritiene completamente assurdo tutto ciò che trascende le forze dell’ingegno umano, mentre gli si associa un altro errore affine (il cosiddetto naturalismo volgare), il quale non vede né vuol riconoscere altro nella Chiesa di Cristo all’infuori dei vincoli puramente giuridici e sociali; dall’altra parte si va introducendo un falso misticismo il quale falsifica la Sacra Scrittura, sforzandosi di rimuovere gli invariabili confini fra le cose create e il Creatore.
Intanto questi falsi ritrovati, opposti tra loro, conducono ad un risultato, per cui alcuni, atterriti da certo infondato timore, considerano una così elevata dottrina come cosa pericolosa, e perciò indietreggiano davanti ad essa, come dal pomo del Paradiso, bello sì, ma proibito. Tutto ciò non deve essere: i misteri rivelati da Dio non possono essere nocivi agli uomini, nè devono restare infruttuosi come un tesoro nascosto nel campo; essi sono stati rivelati appunto pur il vantaggio spirituale di chi piamente li medita. Infatti, come insegna il Concilio Vaticano, "quando la ragione, illuminata dalla fede, indaga con pia e sobria diligenza, può raggiungere, concedendolo Iddio, sufficiente ed utilissima intelligenza dei misteri: sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso dei misteri stessi tra di loro e con il fine ultimo dell’uomo"; quantunque l’umana ragione, come lo stesso sacro Concilio ammonisce, "non si rende mai atta a penetrarli con la stessa chiarezza di quelle verità che costituiscono il suo naturale oggetto" (Sessio III, Const. de Fide Catholica, c. 4).
Avendo pertanto maturamente considerato queste cose al cospetto di Dio: perché la bellezza della Chiesa rifulga di nuova gloria; la conoscenza della singolare e soprannaturale nobiltà dei fedeli congiunti nel corpo di Cristo col proprio Capo, si diffonda, e inoltre affinché sia precluso l’adito ai molteplici errori su questo argomento, abbiamo creduto Nostro dovere pastorale di esporre a tutto il popolo cristiano, con questa Lettera Enciclica, la dottrina del corpo mistico di Cristo e dell' unione dei fedeli col divino Redentore nello stesso corpo, ricavando al tempo stesso dalla medesima dottrina alcuni ammaestramenti, per cui una più alta investigazione di questo mistero produca frutti sempre più abbondanti di perfezione.
PARTE PRIMA
LA CHIESA È IL CORPO MISTICO DI CRISTO
Considerando l’origine di questa dottrina Ci sovvengono sin dall’inizio le parole dell’Apostolo: "Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia" (Rom. V, 20). Risulta infatti che il padre di tutto il genere umano fu costituito da Dio in sì eccelsa condizione da tramandare ai posteri, insieme con la vita terrena, anche quella superna della grazia celeste. Sennonché, dopo la misera caduta di Adamo, tutta la stirpe umana, infetta dalla macchia ereditaria del peccato, perdette la partecipazione alla natura di Dio (cfr. 2 Petr. 1, 4), e tutti diventammo figli dell’ira divina (Eph. 2, 5). Ma il misericordiosissimo Iddio "amò talmente il mondo, da dare il suo unigenito Figlio" (Io. 3, 16), e il Verbo dell’eterno Padre, con identico divino amore si assunse dalla progenie di Adamo l’umana natura, innocente però e senza macchia di colpa, affinché dal nuovo Adamo celeste scorresse la grazia dello Spirito Santo in tutti i figli del progenitore. Ed essi, dopo essere stati privati della figliuolanza adottiva di Dio a causa del primo peccato, divenuti per l’incarnazione del Verbo fratelli secondo la carne del Figlio unigenito di Dio, hanno ricevuto anch’essi il potere di essere figli di Dio (cfr. Io. 1, 12). In tal modo Gesù pendente dalla Croce non solo risarcì la violata giustizia dell’eterno Padre, ma meritò per noi suoi consanguinei un’ineffabile abbondanza di grazie. egli avrebbe potuto elargirla da sé a tutto il genere umano; ma volle farlo per mezzo di una Chiesa visibile, nella quale gli uomini si riunissero affin di cooperare tutti con lui e per mezzo di essa comunicare vicendevolmente i divini frutti della redenzione. Come infatti il Verbo di Dio, per redimere gli uomini coi suoi dolori e tormenti, volle servirsi della nostra natura, quasi allo stesso modo, nel decorso dei secoli, si serve della sua Chiesa per continuare perennemente l’opera incominciata (cfr. Conc. Vat., Const. de Eccl., prol.).
Pertanto, a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che è la Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica Romana) (cfr. Conc. Vat., Const. de Fide cath., cap. I), nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino di quell' espressione con la quale essa vien chiamata "il corpo mistico di Gesù Cristo"; espressione che scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri.
LA CHIESA È UN «CORPO»
unico, indiviso, visibile
Che la Chiesa sia un corpo, lo bandiscono spesso i Sacri Testi. "Cristo, dice l’Apostolo, è il Capo del corpo della Chiesa" (Col. I, 18). Orbene, se la Chiesa è un corpo, è necessario che esso sia uno e indiviso, conforme al detto di Paolo: "Molti siamo un solo corpo in Cristo" (Rom. XII, 5). Né dev’essere soltanto uno e indiviso, ma anche concreto e percepibile, come afferma il Nostro Antecessore Leone XIII di f. m. nella sua Lettera Enciclica "Satis cognitum": "Per il fatto stesso che è corpo, la Chiesa si discerne con gli occhi" (cfr. A.S.S., XXVIII, pag. 170). Perciò si allontanano dalla verità divina coloro che si immaginano la Chiesa come se non si potesse né raggiungere ne vedere, quasi che fosse una cosa "pneumatica" (come dicono) per la quale molte comunità di cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede, tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile.
Ma il corpo richiede anche molteplicità di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E a quella guisa che nel nostro organismo mortale, quando un membro soffre, gli altri si risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi a scambievole collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il corpo.
composto «organicamente» e «gerarchicamente»
Inoltre, come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una qualsiasi congerie di membra, ma dev'essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una esatta disposizione e coerente unione di membri fra loro diversi. Né altrimenti l’Apostolo descrive la Chiesa, quando dice: "come in un sol corpo abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la stessa funzione, così noi molti siamo un corpo in Cristo, e membra gli uni degli altri" (Rom. 12, 4).
Non bisogna però credere che questa organica struttura della Chiesa sia costituita dai soli gradi della gerarchia e ad essi limitata, oppure, come ritiene un'opposta sentenza, consti unicamente di persone carismatiche (benché cristiani forniti di doni prodigiosi non mancheranno mai alla Chiesa). Si deve, sì, ritenere in ogni modo che quanti usufruiscono della sacra potestà, sono in un tal corpo membri primari e principali, poiché per loro mezzo, in virtù del mandato stesso del Redentore, i doni di dottore, di re, di sacerdote, diventano perenni. Ma giustamente i Padri della Chiesa, quando lodano i ministeri, i gradi, le professioni, gli stati, gli ordini, gli uffici di questo corpo, hanno presenti sia coloro che furono iniziati ai sacri ordini, sia quelli che, abbracciati i consigli evangelici, menano o una vita nascosta nel silenzio o una vita che l’una e l’altra congiunge secondo il proprio istituto; sia quelli che nel secolo si dedicano con volontà fattiva alle opere di misericordia per venire in aiuto alle anime e ai corpi; e infine coloro che son congiunti in casto matrimonio. Che anzi, specialmente nelle presenti condizioni, i padri e le madri di famiglia, i padrini e le madrine di battesimo, e in particolare quei laici che collaborano con la gerarchia ecclesiastica alla dilatazione del regno del divin Redentore, occupano nella società cristiana un posto d’onore, per quanto spesso nascosto, e anche essi, ispirati ed aiutati da Dio, possono ascendere al vertice della più alta santità, la quale, secondo le promesse di Gesù Cristo, non mancherà mai nella Chiesa.
dotato di mezzi vitali di santificazione
ossia di Sacramenti
Come poi vediamo il corpo umano fornito di mezzi propri con cui provvedere alla vita, alla sanità e all’incremento delle sue singole membra, così sappiamo che il Salvatore del genere umano, per sua infinita bontà, ha provveduto in modo mirabile il suo corpo mistico di Sacramenti, per cui i vari membri, quasi attraverso gradi non interrotti di grazie, fossero sostentati dalla culla all’estremo anelito, e si sovvenisse con ogni abbondanza alle necessità sociali di tutto il corpo. Giacché, per il lavacro dell’acqua battesimale, quanti sono nati a questa vita mortale non solo rinascono dalla morte del peccato e divengono membri della Chiesa, ma sono altresì insigniti di un carattere spirituale, e sono resi capaci di ricevere gli altri Sacramenti. Col crisma della Confermazione poi, viene infusa nei credenti una nuova forza, per difendere la Madre Chiesa e custodire quella Fede che da lei ricevettero. Col Sacramento della Penitenza, si offre una salutare medicina ai membri della Chiesa caduti in peccato, non soltanto per provvedere alla loro salute, ma anche por rimuovere il pericolo di contagio degli altri membri del corpo mistico, ai quali si offrirà anzi un esempio incitante a virtù. Non basta: con la Sacra Eucaristia infatti i fedeli vengono nutriti e corroborati in uno stesso convito e vengono uniti da un vincolo ineffabile divino fra di loro e col Capo di tutto il corpo. Infine, agli uomini illanguiditi per l'imminente morte, la pia Madre Chiesa viene daccanto, e con la sacra Unzione degli infermi, se non sempre, perché così il Signore dispone, ridona al corpo la sanità, offre tuttavia una superna medicina alla prostrata anima, trasmettendo al cielo nuovi cittadini - per la terra nuovi protettori -, i quali per tutti i secoli godranno della divina bontà.
Alle necessità sociali della Chiesa, Cristo dispose in modo particolare con l’istituzione di altri due Sacramenti. Col Matrimonio infatti, in cui i coniugi sono a vicenda ministri della grazia, si provvede ordinatamente all’accrescimento esterno del consorzio cristiano; e ciò che più importa, alla retta e religiosa educazione della prole, senza la quale il corpo mistico andrebbe incontro a gravissimi pericoli. Col sacro Ordine poi si consacrano per sempre al servizio di Dio coloro che son destinati a offrire l’Ostia eucaristica, a nutrire il gregge dei fedeli col Pane degli angeli e col pascolo della dottrina, a dirigerli con i precetti e i consigli divini, e a confermarlo nella fede con altri doni soprannaturali.
A qual proposito, si deve aver presente che siccome Dio sin dall’inizio dei tempi formò l’uomo con un corpo fornito di mezzi atti a sottomettere le cose create, affinché moltiplicandosi, riempisse la terra, così sin dall’inizio dell’età cristiana arricchì la Chiesa dei mezzi opportuni acciocché, superati innumerevoli pericoli, riempisse non solo tutto l’orbe terrestre, ma anche i regni celesti.
formato da membri determinati
In realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera fede, non si separarono da se stessi, disgraziatamente, dalla compagine di questo corpo, e non ne furono separati dalla legittima autorità per gravissime colpe commesse. "Poiché, dice l’Apostolo, in un solo spirito siamo stati battezzati tutti noi, per essere un solo corpo, o giudei o gentili, o servi, o liberi" (I Cor. 12, 13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un sol corpo, un solo Spirito, un solo Signore e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola fede (cfr. Eph. 4, 5): sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr. Matth. 18, 17). Pertanto quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unità di tale corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito.
senza esclusione dei peccatori
Neppure deve ritenersi che il corpo della Chiesa, appunto perché è fregiato del nome di Cristo, anche nel tempo del terreno pellegrinaggio sia composto soltanto di membri che si distinguono nella santità, o di coloro che sono predestinati da Dio alla felicità eterna. Infatti si deve attribuire all’infinita misericordia del nostro Salvatore il non negare ora un posto nel suo mistico corpo a coloro ai quali già non negò un posto nel convito (cfr. Matth. 9, 11; Marc. 11, 16; Luc. 15, 2). Poiché non ogni delitto commesso, per quanto grave, è tale che di sua natura (come lo scisma, l’eresia, l’apostasia) separi l’uomo dal corpo della Chiesa. Né si estingue ogni vita in quelli che, pur avendo perduto col peccato la carità e la grazia divina sì da non essere più capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza cristiana, e, illuminati da luce celeste, da interni consigli e impulsi dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un salutare timore e vengono eccitati a pregare e a pentirsi dei propri peccati.
Aborriscano quindi tutti il peccato, col quale vengono macchiate le mistiche membra del Redentore; ma chi, dopo aver miseramente mancato, non si rende con la propria ostinatezza indegno della comunione dei fedeli, sia ricevuto con sommo amore, e in lui si ravvisi con carità fattiva un membro infermo di Gesù Cristo. È infatti preferibile, come avverte il Vescovo d’Ippona, "essere risanati nella compagine della Chiesa, anziché esser tagliati dal suo corpo a guisa di membra inguaribili" (August. Epist., 157, 3, 22; Migne, PL 33 23, 686). "Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né essere curato né guarire" (August. Serm., 137, 1; Migne, PL 38 col. 754).
LA CHIESA È IL corpo «DI CRISTO»
Fin qui, Venerabili Fratelli, abbiamo visto con particolareggiata trattazione come la Chiesa è siffattamente costituita da potersi paragonare a un corpo; rimane ora da esporre con chiarezza e diligenza per quali motivi essa deve essere dichiarata non un corpo qualsiasi, ma un corpo di Gesù Cristo. Questo si deduce dall’essere Nostro Signore il Fondatore, il Capo, il Sostentatore e il Conservatore di questo mistico corpo.
Cristo fu il «Fondatore» di questo corpo
Cominciando a esporre brevemente in che modo Cristo fondò il suo corpo sociale, Ci sovviene la sentenza del Nostro Predecessore Leone XIII di f. m.: "La Chiesa, che già concepita, era nata dallo stesso costato del secondo Adamo dormente in Croce, si presentò per la prima volta agli uomini in maniera luminosa quel giorno solennissimo della Pentecoste" (Encycl. "Divinum illud": A.S.S., XXIX p. 649). Infatti il divin Redentore iniziò la costruzione del mistico tempio della Chiesa, allorchè predicando espose i suoi precetti; lo ultimò, il giorno in cui crocefisso, fu glorificato; lo manifestò e promulgò, quando mandò in modo visibile lo Spirito Paraclito sui discepoli.
a) Predicando il Vangelo
Mentre infatti sosteneva l’ufficio di annunziare la verità, eleggeva gli Apostoli e li mandava come egli stesso era stato mandato dal Padre (Io. 17, 18), cioè come dottori, rettori, creatori della santità nel ceto dei credenti; indicava il loro Principe e suo Vicario in terra (cfr. Matth. 16, 18-19); manifestava ad essi tutte quelle cose che aveva ascoltato dal Padre (Io. 15, 15, coll. 17, 8 et 14); designava anche il Battesimo (cfr. Io. 3, 5), col quale quelli che avrebbero creduto sarebbero stati inseriti nel corpo della Chiesa; e finalmente, giunto al termine della vita, istituiva durante l’ultima cena il mirabile sacrificio e mirabile sacramento dell’Eucaristia.
b) Soffrendo sulla croce
Che poi egli abbia completato la sua opera sul patibolo della Croce, lo attesta una serie ininterrotta di testimonianze dei Santi Padri, i quali osservano che la Chiesa nacque sulla Croce dal fianco del Salvatore a guisa di una nuova Eva, madre di tutti i viventi (cfr. Gen. 3, 20). Dice il grande Ambrogio trattando del costato trafitto di Cristo: "Ed ora è edificato, ed ora è formato, ed ora... è figurato, ed ora è creato... Ora la casa spirituale si erge in sacerdozio santo" (Ambros. In Luc., 2, 87; Migne, PL 15 col. 1585). Chi con religioso cuore approfondirà questa veneranda dottrina, senza difficoltà potrà vedere le ragioni sulle quali essa si fonda.
Anzitutto, con la morte del Redentore, alla Vecchia Legge successe il Nuovo Testamento; da quel momento la Legge di Cristo, coi suoi misteri, leggi, istituzioni e sacri riti, fu sancita per tutto il mondo nel sangue di Gesù Cristo. Infatti, mentre il divin Salvatore predicava in un piccolo territorio (non essendo stato inviato se non alle pecorelle della casa d’Israele ch’erano perite) (cfr. Matth. 15, 24), avevano contemporaneamente valore la Legge e il Vangelo (cfr. S. Thom., I-II, q. 103, a. 3 ad 2); sul patibolo della sua morte poi Gesù pose fine alla Legge (cfr. Eph. 2, 15) e con i suoi decreti, affisse alla Croce il chirografo del Vecchio Testamento (cfr. Col. 2, 14), costituendo nel suo sangue, sparso per tutto il genere umano, il Nuovo Testamento (cfr. Matth. 26, 28; I Cor. 2, 25). "Allora, dice San Leone Magno parlando della Croce del Signore, avvenne un passaggio così evidente dalla Legge al Vangelo, dalla Sinagoga alla Chiesa, dalla molteplicità dei sacrifizi ad una sola ostia, che, quando il Signore rese lo spirito, quel mistico velo che con la sua interposizione nascondeva i penetrali del tempio e il santo segreto, si scisse con improvvisa violenza da capo a fondo" (Leo M., Serm., 68, 3; Migne, PL, 54 col. 374).
Nella Croce dunque la Vecchia Legge morì, in modo da dover tra breve esser seppellita e divenir mortifera (cfr. S. Hier. et August. Epist., 112, 14 et 116, 16; Migne, PL,32, 924 et 943; S. Thom. I-II, p. 103, a. 3 ad 2; ad. 4 ad 1; Concil. Flor., pro Jacob. Mansi, 30.7, 1738), per cedere il posto al Nuovo Testamento, di cui Cristo aveva eletto gli Apostoli come idonei ministri (cfr. 2 Cor. 3, 6): e il nostro Salvatore, pur essendo stato già costituito Capo universale dell’umana famiglia fin dal seno della Vergine, esercita pienissimamente nella sua Chiesa l’ufficio di Capo appunto per la virtù della Croce. "Infatti, secondo la sentenza dell’angelico e comune Dottore, egli meritò la potestà e il dominio sopra le genti per la vittoria della Croce" (cfr. S. Thom. III, q. 42, a. 1); per la medesima, aumentò immensamente per noi quel tesoro di grazie che ora, regnando nel cielo, elargisce, senza alcuna interruzione ai suoi membri mortali; per il Sangue sparso sulla Croce fece sì che, rimosso l’ostacolo dell’ira divina, potessero scorrere dalle fonti del Salvatore per la salvezza degli uomini, e specialmente per i fedeli, tutti i doni celesti, soprattutto quelli spirituali, del Nuovo ed eterno Testamento; sull’albero della Croce infine si conquistò la sua Chiesa, cioè tutti i membri del suo mistico corpo, poiché non si sarebbero uniti a questo mistico corpo col lavacro del Battesimo, se non per la virtù salutifera della Croce, nella quale già sarebbero appartenuti alla pienissima giurisdizione di Cristo.
Che se con la sua morte il nostro Salvatore, secondo il pieno ed integrale significato della parola, è diventato Capo della Chiesa, non altrimenti la Chiesa, per il sangue di Cristo, si è arricchita di quella abbondantissima comunicazione dello Spirito, con la quale, in seguito all’elevazione e glorificazione del Figlio dell’uomo sul suo patibolo di dolore, viene essa stessa divinamente illustrata. Allora infatti, come avverte Agostino (cfr. De pecc. orig., 25, 29; Migne, PL 44 col. 400), squarciatosi il velo del tempio, avvenne che la rugiada dei carismi del Paraclito (discesa fino allora soltanto sul vello di Gedeone, cioè sul popolo d’Israele), essiccato ed abbandonato il vello, irrigasse tutta la terra, cioè la Chiesa Cattolica, la quale non sarebbe stata circoscritta da verun termine di stirpe o di territorio. Come dunque nel primo momento dell' incarnazione, il Figlio dell’Eterno Padre ornò con la pienezza dello Spirito Santo la natura umana che aveva a sé sostanzialmente unita, affinché fosse un adatto strumento della divinità nell’opera cruenta della Redenzione, così nell’ora della sua morte preziosa volle la sua Chiesa arricchita dei più abbondanti doni del Paraclito, affinché, nella distribuzione dei divini frutti della Redenzione, divenisse valido e perenne strumento del Verbo incarnato. Infatti, sia la missione giuridica della Chiesa, sia la potestà d’insegnare, di governare e di amministrare i Sacramenti, in tanto hanno forza e vigore soprannaturale per edificare il corpo di Cristo, in quanto Gesù Cristo pendente dalla Croce aprì alla sua Chiesa la fonte di quei doni divini, grazie ai quali essa non avrebbe mai potuto errare nell’insegnare agli uomini la sua dottrina, li avrebbe guidati salutarmente per mezzo di Pastori illuminati da Dio e li avrebbe colmati in abbondanza di grazie celesti.
Se poi consideriamo attentamente tutti questi misteri della Croce, non ci riescono più oscure le parole con le quali l’Apostolo insegna agli Efesini che Cristo col suo Sangue fuse insieme i giudei e i gentili "annullando... nella sua carne... la parete intermedia" con la quale i due popoli eran divisi; e che abolì l’Antica Legge "per formare in se stesso di due un solo uomo nuovo", cioè la Chiesa, al fine di riconciliarli entrambi in un corpo unito a Dio per mezzo della Croce (cfr. Eph. 2,14-16).
c) Promulgando la Chiesa nel giorno della Pentecoste
E quella Chiesa che fondò col suo sangue, la fortificò nel giorno della Pentecoste con una peculiare virtù scaturita dall’alto. egli era salito al cielo, dopo aver solennemente costituito nel suo ufficio colui che già aveva designato quale suo Vicario: e sedendo alla destra del Padre, volle manifestare e promulgare la sua Sposa, nella discesa visibile dello Spirito Santo, con il rumore di un vento veemente e con lingue di fuoco (cfr. Act. 2,1-4). Infatti, come egli stesso, nell’iniziare la sua missione apostolica, fu manifestato dal Padre suo per mezzo dello Spirito Santo disceso e rimasto su di lui in forma di colomba (cfr. Luc. 3, 22; Marc. 1, l0) parimente, nel momento in cui gli Apostoli stavano per incominciare il sacro ministero della predicazione, Cristo Signore mandò dal cielo il suo Spirito, il quale, toccandoli con lingue di fuoco, indicò loro, come un dito divino, la missione e il compito soprannaturale della Chiesa.
Cristo è il «Capo» del corpo
In secondo luogo, che il corpo mistico della Chiesa si fregi del nome di Cristo, risulta dal fatto che egli deve, in realtà, essere da tutti per speciali ragioni ritenuto Capo della medesima. "egli stesso, dice l’Apostolo, è il Capo del corpo della Chiesa" (Col. I, 18). egli è il Capo dal quale tutto il corpo, convenientemente organizzato, cresce ed aumenta nella propria edificazione (cfr. Eph. 4, 16 coll.; Col. 2, 19).
Sapete certamente, Venerabili Fratelli, con quali luminosissimi pensieri abbiano trattato questo argomento i Maestri della Teologia scolastica, e specialmente l’angelico e comune Dottore; vi è senza dubbio noto come gli argomenti da lui apportati corrispondono fedelmente al principi dei Santi Padri, i quali d’altra parte non riferivano altro nei loro commenti e dissertazioni, se non il divino linguaggio della Scrittura.
a) Per motivo di eccellenza
Ci piace quindi trattarne brevemente per comune profitto. E dapprima, è evidente che il Figlio di Dio e della beata Vergine deve chiamarsi Capo della Chiesa per uno specialissimo motivo di preminenza. Chi infatti è posto in luogo più alto di Cristo Dio, il quale, essendo Verbo dell’Eterno Padre, deve ritenersi "primogenito di ogni creatura"? (Col. 1, 15). Chi mai è collocato su di un vertice più alto di Cristo Uomo, il quale, nato da una Vergine senza macchia, è vero e naturale Figlio di Dio e, per la prodigiosa e gloriosa resurrezione, è "primogenito dei morti" (Col. I, 18; Apoc. I, 5), avendo trionfato della morte? Chi mai infine venne stabilito in sommità più eccelsa di colui il quale, come "unico mediatore di Dio e degli uomini", (I Tim. 2, 5), congiunge in modo davvero ammirevole la terra col cielo; esaltato sulla Croce come su di un soglio di misericordia, trasse a sé tutte le cose (cfr. Io. 12, 32); ed eletto a figlio dell’uomo tra miriadi, è amato da Dio più di tutti gli uomini, di tutti gli angeli, di tutte le cose create? (cfr. Cyr. Alex. Comm. in Ioh.: Migne, PG, 73, 69; S. Thom. I, q 20, a. 4 ad 1).
b) Per motivo di governo
Poiché Cristo occupa un posto tanto sublime, a buon diritto è egli soltanto che regge e governa la Chiesa; e perciò anche per questo motivo deve essere assomigliato al capo. E infatti, come il capo (per servirci delle parole di Ambrogio) è il "regale baluardo" del corpo (Hexæm., 6, 55; Migne, PL, 14, 265), e da esso, perché fornito delle doti migliori, vengono naturalmente dirette tutte le membra, alle quali è sovrapposto appunto affinché abbia cura di esse (cfr. August. De Agon. Christ., 20, 22, Migne PL, 40, 301); così il divin Redentore tiene il supremo governo del Cristianesimo. E giacché il reggere una società di uomini non vuol dire altro se non il dirigerli al loro fine con provvidenza, con mezzi adeguati e con retti principii (cfr. S. Thom., I, q. 22, a. 14), è facile discernere come il nostro Salvatore, il quale si presenta come forma ed esemplare dei buoni Pastori (cfr. Io. 10, 1-13; I Petr. 5, 1-5), eserciti in maniera davvero mirabile tutte le dette funzioni.
egli infatti, mentre dimorava sulla terra, con leggi, consigli, ammonimenti, c’insegnò quella dottrina che mai non tramonterà, destinata ad essere per gli uomini d’ogni tempo spirito e vita (cfr. Io. 6, 63). egli inoltre partecipò agli Apostoli e ai loro successori una triplice potestà: d'insegnare, di governare e di condurre gli uomini alla santità, costituendo tale potestà, ben definita da precetti, diritti e doveri, come legge primaria della Chiesa universale.
arcano e straordinario
Ma il nostro divin Salvatore dirige e governa anche direttamente da sé la società da lui fondata. egli infatti regna nelle menti e negli animi degli uomini e al suo volere rettamente piega e costringe anche le volontà ribelli. "Il cuore del re è in mano a Dio, ed egli lo piega a tutto ciò che vuole" (Prov. 21, 1). E con questo governo interno egli "pastore e vescovo delle anime nostre" (cfr. I Petr. 2, 25), non soltanto ha cura dei singoli, ma provvede anche alla Chiesa universale, sia quando illumina i suoi governanti e li corrobora per sostenere fedelmente e fruttuosamente le mansioni proprie di ciascuno; sia quando (specialmente nelle circostanze più difficili) suscita dal grembo della Madre Chiesa uomini e donne che, spiccando col fulgore della santità, siano di esempio agli altri cristiani e di sviluppo del suo corpo mistico. Inoltre dal cielo Cristo guarda sempre con amore peculiare alla sua Sposa intemerata, che s’affatica in questa terra d’esilio; e quando la vede in pericolo, la salva dai flutti della tempesta o per sé direttamente, o per mezzo dei suoi angeli (cfr. Act. 8, 26; 9, 1-19; 10, 1-7; 12, 3-10), o per opera di Colei che invochiamo Aiuto dei Cristiani ed anche degli altri celesti protettori; e, una volta calmatosi il mare, la consola con quella pace "che supera ogni senso" (Phil. 4, 7).
in modo visibile e ordinario attraverso il Romano Pontefice
Non bisogna tuttavia credere che il suo governo venga assolto soltanto in maniera invisibile (cfr. Leone XIII, "Satis cognitum") e straordinaria. Il divin Redentore governa il suo corpo mistico anche in modo visibile e ordinario mediante il suo Vicario in terra. Sapete infatti, Venerabili Fratelli, come Cristo Dio, dopo aver governato in persona il "piccolo gregge"(Luc. 12, 32) durante il suo viaggio mortale, nell'ora di lasciare il mondo e ritornare al Padre, affidò al Principe degli Apostoli il governo visibile di tutta la società da lui fondata. Giacchè, sapientissimo quale egli era, non poteva mai abbandonare senza un capo visibile il corpo sociale della Chiesa che aveva fondata. Né a scalfire siffatta verità si può asserire che, per un primato di giurisdizione costituito nella Chiesa, un tale corpo mistico sia stato provveduto di un duplice capo. Pietro infatti, in forza del primato, non è altro che il Vicario di Cristo, e in tal guisa si ha di questo Corpo un solo Capo principale, cioè Cristo, il quale, pur continuando a governare in modo arcano la Chiesa direttamente da sé, visibilmente però la dirige attraverso colui che rappresenta la sua persona, poiché, dopo la sua gloriosa ascensione in cielo, non la lasciò edificata soltanto in sé, ma anche in Pietro, quale fondamento visibile. Che Cristo e il suo Vicario costituiscono un solo Capo, lo spiegò solennemente il Nostro Predecessore Bonifazio VIII d’immortale memoria con la sua Lettera Apostolica "Unam Sanctam" (cfr. Corp. Iur. Can., Extr. comm. I, 8, 1), e la medesima dottrina non cessarono mai di ribadire i suoi Successori.
Si trovano quindi in un pericoloso errore coloro i quali ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il corpo mistico del Redentore, da non potersi più né scorgere né raggiungere il porto della salute eterna.
nelle singole Chiese attraverso i Vescovi
Ciò che qui abbiamo detto della Chiesa universale deve asserirsi anche delle comunità particolari dei cristiani, sia orientali, sia latine, le quali costituiscono una sola Chiesa cattolica. Poiché anch’esse sono governate da Gesù Cristo con la voce e l’autorità del Vescovo di ciascuna. Perciò i Vescovi non soltanto devono esser ritenuti quali membri più eminenti della Chiesa universale, perché sono uniti al divin Capo di tutto il Corpo con un vincolo veramente singolare (onde con diritto son chiamati "le principali parti delle membra del Signore" (Greg. Magn., Moral., 14, 35, 43; Migne PL, 75 col. 1062), ma anche, in quanto riguarda la propria Diocesi, son veri Pastori che guidano e reggono in nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno (cfr. Conc. Vat., Const. de Eccl., cap. 3). Ma essi mentre fanno ciò, non sono del tutto indipendenti, poiché sono sottoposti alla debita autorità del Romano Pontefice, pur fruendo dell’ordinaria potestà di giurisdizione comunicata loro direttamente dallo stesso Sommo Pontefice. Perciò essi, come successori degli Apostoli per divina istituzione (cfr. Cod. Jur. Can., can. 329,1), devono essere venerati dal popolo; e ai Vescovi, ornati del carisma dello Spirito Santo, più che ai governanti anche più elevati di questo mondo, si addice il detto: "Non toccate i miei unti" (I Paral. 16, 22; Psal. 104, 1.5).
Sicché Ci addolora sommamente, quando Ci viene riferito che non pochi dei Nostri Fratelli nell’Episcopato, solo perché son veri modelli del gregge e custodiscono (cfr. I Petr. 5, 3), con strenua fedeltà il sacro "deposito della fede" (cfr. I Tim. 6, 20) loro affidato, sol perché sostengono con zelo le santissime leggi scolpite da Dio negli animi umani e in conformità all’esempio del supremo Pastore difendono dai lupi rapaci il gregge loro affidato, subiscono persecuzioni e vessazioni suscitate non soltanto contro di loro, ma (quel che è per essi più crudele e più grave) anche contro le pecorelle affidate alle loro cure, contro i compagni di apostolato e financo contro le vergini consacrate a Dio. Pertanto, reputando diretto contro di Noi stessi un tale affronto, ripetiamo la grande sentenza del Nostro Predecessore Gregorio Magno d’immortale memoria: "Il Nostro onore è l’onore della Chiesa universale; il Nostro onore è il saldo vigore dei Nostri Fratelli; e allora Noi ci sentiamo veramente onorati, quando il debito onore non viene negato a ciascuno d’essi" (cfr. Ep. ad Eulog., 30; Migne, PL 76 col. 993).
c) Per motivo di bisogni scambievoli
Né tuttavia bisogna ritenere che Cristo, il Capo, essendo posto in luogo così sublime, non voglia l’aiuto del Corpo. Si deve infatti asserire di questo Corpo mistico ciò che Paolo afferma del composto umano: "Il capo non può dire... ai piedi: voi non mi siete necessari" (1 Cor. 12, 21). Appare chiaramente quindi che i cristiani hanno assolutamente bisogno dell’aiuto del divin Redentore, poiché egli stesso ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Io. 15, 5), e, secondo la dottrina dell’Apostolo, ogni accrescimento di questo Corpo mistico per la propria edificazione, dipende dal Capo, Cristo (cfr. Eph. 4, 16; Col. 2, 19). Tuttavia bisogna anche por mente, benché a prima vista ciò possa destar meraviglia, che anche Cristo ha bisogno delle sue membra. Anzitutto perché la persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice, il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante. Inoltre il nostro Salvatore, governando da se stesso la Chiesa in modo invisibile, vuol essere aiutato dalle membra del suo corpo mistico nell’attuare l’opera della redenzione. Ciò veramente non accade per bisogno o debolezza, ma piuttosto perché egli stesso così dispose per maggiore onore dell’intemerata sua Sposa. Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione da parte di essa, l’immenso tesoro della redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, egli non solo partecipa con la sua Sposa incontaminata quest’opera di santificazione, ma vuole che tale attività scaturisca in qualche modo anche dall’azione di lei. Mistero certamente tremendo, né mai abbastanza meditato: che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo, e dalla cooperazione dei Pastori e dei fedeli, specialmente dei padri e delle madri di famiglia, in collaborazione col divin Salvatore.
Ai motivi esposti, dai quali risulta che Gesù Cristo deve essere chiamato Capo del suo Corpo sociale, bisogna aggiungerne altri tre, i quali si ricollegano con intimi vincoli.
d) Per motivo di similitudine
Incominciamo dalla conformità che osserviamo tra il Corpo e il Capo, essendo essi della medesima natura. A questo proposito bisogna avvertire che la nostra natura, benché inferiore all’angelica, tuttavia per bontà di Dio vince la natura degli angeli. "Cristo infatti, come osserva l’Aquinate, è Capo degli Angeli. Poiché Cristo è al di sopra degli angeli, anche secondo l’umanità... E anche in quanto uomo illumina gli angeli e influisce in essi. Riguardo poi alla conformità della natura, Cristo non è Capo degli angeli, perché non assunse la natura degli angeli, ma (secondo l’Apostolo) assunse il seme di Abramo" (Comm. in ep. ad Eph., cap. I, lect. 8; Hebr. 2, 16-17). E non solo Cristo assunse la nostra natura, ma si fece anche nostro consanguineo in un corpo fragile e capace di soffrire e morire. Ora se il Verbo "si esinanì prendendo la forma di servo" (Phil. 2, 7), ciò fece anche per rendere partecipi della divina natura (cfr. 2 Petr. I, 4) i suoi fratelli secondo la carne, sia nell’esilio terreno con la grazia santificante, sia nella patria celeste col possesso della beatitudine eterna. Perciò l‘Unigenito dell’eterno Padre volle essere figlio dell’uomo affinché noi divenissimo conformi all’immagine del Figliuolo di Dio (cfr. Rom. 8, 29) e ci rinnovassimo secondo l’immagine di Colui che Ci ha creati (cfr. Col. 3, 10). Pertanto tutti quelli che si gloriano del nome di cristiani, non solo considerino il nostro divin Salvatore come il più alto e più perfetto esemplare di tutte le virtù, ma ne riproducano la vita e la dottrina nei propri costumi mediante una diligente fuga dal peccato e un diligentissimo esercizio della virtù, affinché, quando apparirà il Signore, divengano simili a lui nella gloria, vedendolo com’Egli è (cfr. I Io. 3, 2).
Gesù Cristo, come vuole che le singole membra siano simili a lui, così anche tutto il Corpo della Chiesa. E ciò certamente avviene quando essa, seguendo le vestigia del suo Fondatore, insegna governa e immola il divin sacrificio. La Chiesa inoltre, quando abbraccia i consigli evangelici, riproduce in sé la povertà, l’ubbidienza, la verginità del Redentore. Essa, per molteplici e varie istituzioni di cui si orna come di gemme, fa vedere in certo modo Cristo in atto di contemplare sul monte, di predicare ai popoli, di guarire gli ammalati e i feriti, di richiamare sulla buona via i peccatori, di far del bene a tutti. Nessuna meraviglia dunque, se la Chiesa, finché rimane su questa terra, debba anche subire ad imitazione di Cristo persecuzioni, sofferenze e dolori.
e) Per motivo di pienezza
Inoltre Cristo deve ritenersi Capo della Chiesa, perché, eccellendo nella pienezza e nella perfezione dei doni soprannaturali, il suo corpo mistico attinge da questa sua pienezza. Infatti (osservano molti Padri), come il capo del nostro corpo mortale gode di tutti i sensi, mentre le altre parti del nostro composto usufruiscono soltanto del tatto, così le virtù, i doni, i carismi, che sono nella società cristiana, risplendono tutti in modo perfettissimo nel suo Capo, Cristo. "In lui piacque (al Padre) che abitasse ogni pienezza" (Col. I, 19). Lo adornano quei doni soprannaturali che accompagnano l’unione ipostatica, giacché lo Spirito Santo abita in lui con tale doviza di grazia da non potersene concepire maggiore. A lui è stato conferito "ogni potere sopra ogni carne" (cfr. Io. 17, 2); copiosissimi sono in lui "tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col. 2, 3). E anche la visione beatifica vige in lui talmente, che, sia per ambito sia per splendore supera in ogni modo la conoscenza beatifica di tutti i santi del cielo. E infine egli è talmente ripieno di grazia e di verità, che della sua inesausta pienezza noi tutti riceviamo (cfr. Io. I, 14-16).
f) Per motivo di influsso
Queste parole poi del discepolo prediletto di Gesù Ci muovono a trattare dell’ultima ragione per cui siamo in modo particolare costretti ad asserire che Gesù Cristo è il Capo del suo Corpo mistico. Come i nervi si diffondono dal capo in tutte le membra del nostro corpo, e danno ad esse la possibilità di sentire e di muoversi, così il nostro Salvatore infonde nella sua Chiesa la sua forza e virtù, onde avviene che le cose divine siano dai fedeli più chiaramente conosciute e più intensamente desiderate. Da lui scaturisce nel Corpo della Chiesa tutta la luce con cui i credenti sono illuminati da Dio, e tutta la grazia per cui divengono santi come è santo egli stesso.
illuminando
Cristo illumina tutta la sua Chiesa, come dimostrano quasi innumerevoli luoghi della Sacra Scrittura e dei Santi Padri. "Nessuno ha mai veduto Dio: il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, ce l’ha fatto conoscere" (cfr. Io. I, 18). Venendo da Dio in qualità di maestro (cfr. Io. 3, 2) per rendere testimonianza alla verità (cfr. Io. 18, 37), illuminò talmente con la sua luce la primitiva Chiesa degli Apostoli, che il Principe degli Apostoli potè esclamare: "Signore, da chi andremo? tu hai parole di vita eterna" (cfr. Io. 6, 68); dal cielo assistette gli Evangelisti in modo che essi scrissero, come membra di Cristo, quasi sotto la dettatura del Capo (cfr. August. De cons. evang., I, 35, 54; Migne, PL, 34, 1070). Egli è l’autore della nostra fede in questa terra d’esilio, come ne sarà il consumatore nella patria celeste (cfr. Hebr. 12, 2). Egli infonde nei fedeli il lume della fede; egli arricchisce in maniera divina i Pastori e i Dottori, e specialmente il suo Vicario in terra, dei doni soprannaturali della scienza, dell’intelletto e della sapienza affinché custodiscano con fedeltà il tesoro della fede, lo difendano con coraggio, e piamente lo spieghino e diligentemente lo ravvivino; egli infine, sebbene non visto, presiede e guida i Concili della Chiesa (cfr. Cyr. Alex., Ep. 55 de Symb; Migne, PG, 77, 293).
donando la santità
Cristo è causa prima ed efficiente della santità, giacché non vi può essere nessun atto salutare che non promani da lui come da fonte suprema: "Senza di me, egli ha detto, voi non potete far nulla" (cfr. Io. 15, 5). Se, per i peccati commessi, il nostro animo è mosso dal dolore e dalla penitenza, se con timore e speranza filiale ci rivolgiamo a Dio, è sempre la sua forza che ci spinge. La grazia e la gloria nascono dalla sua inesausta pienezza. Il nostro Salvatore arricchisce di continuo tutte le membra del suo Corpo mistico e specialmente le più eminenti, con i doni del consiglio, della fortezza, del timore e della pietà, affinché tutto il Corpo si accresca sempre di più nella santità e nella integrità della vita. E quando dalla Chiesa vengono amministrati con rito esteriore i Sacramenti, è lui che produce l’effetto interiore (cfr. S. Thom. 3, q. 64, a. 3). È proprio lui che nutrendo i credenti con la sua carne e con il suo sangue, seda i moti concitati e turbolenti dell’animo. È lui che aumenta la grazia e prepara alle anime e ai corpi il conseguimento della gloria.
Siffatti tesori della divina bontà, li partecipa alle membra del suo Corpo mistico, non solo perché li impetra dall’Eterno Padre quale vittima eucaristica sulla terra e quale vittima glorificata nel cielo, col pregare per noi e mostrare le sue piaghe, ma ancora perché egli stesso sceglie, determina e distribuisce a ciascuno le grazie "secondo la misura del dono di Cristo" (Eph. 6, 7). Ne segue che dal divin Redentore come da fonte principale "tutto il corpo ben composto e connesso con l’utile concatenazione delle articolazioni, efficacemente, nella misura di ciascuna delle sue parti, compie il suo sviluppo per l'edificazione di se stesso nell'amore" (Eph. 4, 16; Col. 2, 19).
Cristo è il «Sostentatore» del corpo
Venerabili Fratelli, quelle cose che abbiamo sopra esposte, spiegando brevemente il modo con cui Gesù Cristo vuole che l’abbondanza dei suoi doni dalla propria divina pienezza affluisca nella Chiesa, affinché essa quanto più è possibile sia a lui somigliante, Ci inducono a spiegare la terza ragione per cui il Corpo sociale della Chiesa si gloria del nome di Cristo: ragione che consiste nel fatto che il nostro Salvatore sostenta egli stesso divinamente la società da lui fondata.
Come osserva con acuta sottigliezza il Bellarmino (cfr. De Rom. Pont., I, 9; De Concil., 2, 19), questo appellativo del Corpo di Cristo non deve spiegarsi semplicemente col fatto che Cristo debba dirsi Capo del suo Corpo mistico, ma anche col fatto che egli così sostenta la Chiesa e così vive in certo modo nella Chiesa, che essa sussiste quasi come una seconda persona di Cristo. Ciò del resto anche il Dottore delle genti afferma, allorchè scrivendo ai Corinti, senz’altra aggiunta, denota la Chiesa col nome di "Cristo" (cfr. I Cor. 12, 12), imitando in ciò lo stesso Maestro il quale a lui persecutore della Chiesa aveva gridato dall’alto: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". (cfr. Act. 9, 4; 22, 7; 26, 14). Anzi, se crediamo al Nisseno, spesso la Chiesa viene chiamata dall’Apostolo semplicemente "Cristo" (cfr. Greg. Nyss. De vita Moysis; Migne PG, 44, 385); né vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quel detto di Agostino: "Cristo predica Cristo" (cfr. Serm., 354, 1; Migne, PL, 39, 1563).
a) Per la sua nobilissima missione giuridica
Tuttavia tale nobilissima denominazione non dev'essere presa come se appartenesse all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo col quale il Figlio di Dio assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica talmente con la sua Chiesa i beni suoi propri, che questa, secondo tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine di Cristo. Poiché, in virtù di quella missione giuridica per la quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Io. 17, 18; 20, 21), è proprio lui che battezza, insegna, governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della Chiesa.
b) Per lo Spirito di Cristo
Con quell’alta donazione poi, del tutto interna e sublime a cui abbiamo sopra accennata nel descrivere il modo d’influire del Capo nelle sue membra, Gesù Cristo fa vivere la Chiesa della sua propria superna vita, avvivando con la sua divina virtù tutto il Corpo di lei, e alimentando e sostentando le singole membra, secondo il posto che occupano nel corpo, come la vite nutre e fa fruttificare i tralci ad essa uniti (Leone XIII, Sapientiæ Christianæ, ASS XXII p. 392; Satis cognitum: Ibidem XXXVIII p. 710).
Che se poi consideriamo attentamente questo divino principio di vita e di virtù dato da Cristo, in quanto costituisce la stessa fonte di ogni dono e grazia creata, capiremo facilmente che esso non è altro se non lo Spirito Santo, il quale procede dal Padre e dal Figlio e che vien chiamato in modo proprio "Spirito di Cristo", ossia "Spirito del Figlio" (Rom. 8, 9; 2 Cor. 3, 17; Gal. 6, 6). Per opera di questo Spirito di grazia e di verità, il Figlio di Dio dispose la propria anima nel seno incontaminato della Vergine; questo Spirito pone le sue delizie nell’abitare nell’anima del Redentore come nel suo tempio preferito; questo Spirito ci fu meritato da Cristo sulla Croce, a prezzo del proprio sangue; questo, egli lo donò alla Chiesa per rimettere i peccati, alitandolo sopra gli Apostoli (cfr. Io. 20, 22); e mentre soltanto Cristo ricevette questo Spirito senza misura (cfr. Io. 3, 34), alle membra del Corpo mistico viene distribuito dalla pienezza dello stesso Cristo secondo la misura del dono di Cristo (cfr. Eph. I, 8; 4, 7). Dopo che Cristo fu glorificato sulla Croce, il suo Spirito è comunicato alla Chiesa con copiosissima effusione, affinché le sue singole membra di giorno in giorno siano sempre più simili al Redentore. È lo Spirito di Cristo che ci ha resi figli adottivi di Dio (cfr. Rom. 8, 14-17; Gai. 4, 6-7), sicché un giorno "noi tutti, mirando a faccia svelata la gloria del Signore quasi in uno specchio, siamo trasformati di gloria in gloria nella stessa sua immagine" (cfr. 2 Cor. 3, 18).
c) Perché è l'anima del Corpo mistico
A questo Spirito di Cristo, come a principio invisibile, bisogna anche attribuire l’unione di tutte le parti del Corpo tra di loro e con l’eccelso lor Capo, risiedendo esso tutto nel Capo, tutto nel Corpo, tutto nelle singole membra: a queste egli è presente con la sua assistenza in maniere diverse secondo i loro diversi uffici, e il loro maggiore o minor grado di perfezione spirituale. Egli, col suo celeste soffio di vita, è il principio d’ogni azione vitale ed efficacemente salutare nelle diverse parti del mistico Corpo. Egli, sebbene sia personalmente presente in tutte le mistiche membra e in esse agisca in modo divino, tuttavia nelle parti inferiori opera per ministero delle membra superiori. Egli infine, mentre, spirando la sua grazia, produce sempre nuove perfezioni, pure non vuole abitare con la grazia santificante in quelle membra che siano del tutto separate dal corpo. Siffatta presenza di attività dello Spirito di Gesù Cristo fu con vigorosa sintesi esposta dal Nostro Predecessore Leone XIII d’immortale memoria, nella Lettera Enciclica "Divinum illud", dicendo: "Basti affermare che, essendo Cristo il Capo della Chiesa, lo Spirito Santo è l’anima di lei" (ASS XXIX p. 650).
Se poi quella forza e virtù vitale con cui tutta la comunità dei Cristiani viene sostentata dal suo Fondatore, noi la consideriamo non in se stessa, ma negli effetti creati che da lei promanano, essa consiste nei doni celesti che, quale causa efficiente della luce soprannaturale e della santità, il nostro Redentore insieme col suo Spirito dà alla Chiesa, e produce insieme allo stesso Spirito. Perciò la Chiesa non diversamente che tutte le sante sue membra, può far sua questa grande sentenza dell’Apostolo: "Vivo non più io, ma vive in me Cristo" (Gal. 2, 20).
Cristo è il «Salvatore» del corpo
La nostra esposizione intorno al "Capo mistico" (cfr. Ambros. De Elia et ieiun., 10, 36-37 et In Psalm. 118, Serm. 20, 2; Migne, PL, 14 col. 710 et 15 col. 1483) rimarrebbe di certo incompleta, se non accennassimo, almeno brevemente, ad un’altra sentenza dello stesso Apostolo: "Cristo è Capo della Chiesa: egli il Salvatore del corpo di lei" (Eph. 5, 23). Con tali parole infatti, viene indicata l’ultima ragione per cui il corpo della Chiesa è fregiato del nome di Cristo. Cristo cioè è il divino Salvatore di questo Corpo. Egli infatti a buon diritto vien proclamato dai Samaritani "Salvatore del mondo" (Io. 4, 42); anzi senza alcun dubbio dev’essere chiamato "Salvatore di tutti", sebbene con Paolo bisogna aggiungere che ciò è "specialmente dei fedeli" (cfr. I Tim. 4, 10), vale a dire che, a preferenza di tutti gli altri, egli conquistò col suo sangue le sue membra costituenti la Chiesa (Act. 20, 28). Avendo già detto abbastanza sulla Chiesa nata dalla Croce, su Cristo datore della luce, causa della santità e sostentatore del suo Corpo mistico, non è il caso di soffermarCi ancora su questo argomento, ma piuttosto è opportuno meditare le dette verità con animo umile e attento, rivolgendo a Dio sentimenti di gratitudine perenne. Pertanto quello che il nostro Salvatore pendente dalla Croce iniziò, non cessa di perpetuare nella beatitudine celeste: "Il nostro Capo, dice Agostino, interpella per noi: alcune membra egli riceve, altre flagella, altre purifica, altre consola, altre ancora crea, chiama, corregge, rinnova" (Enarr. in Ps., 85, 5; Migne, PL, 37, 1085). Noi dobbiamo pertanto cooperare con Cristo in quest’opera salutare, giacché "da uno e per mezzo di uno veniamo salvati e salviamo" (Clem. Alex., Strom. 7, 2: Migne, PG, 9, 413).
LA CHIESA È IL CORPO DI CRISTO «MISTICO»
Ed ora, Venerabili Fratelli, passiamo a un altro punto nella esposizione di questa dottrina, per spiegare cioè le ragioni per cui il corpo di Cristo (che è la Chiesa) deve chiamarsi mistico. Tale denominazione, ch'è in uso presso parecchi antichi scrittori, è comprovata da non pochi documenti dei Sommi Pontefici. Quest’appellativo infatti deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di esso si può distinguere il Corpo sociale della Chiesa, di cui Cristo è Capo e condottiero, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che nato dalla Vergine Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i veli eucaristici: e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo sia fisico sia morale.
Il corpo mistico e il corpo fisico
Mentre infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti in modo che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece nel Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le membra tra loro di guisa che le singole godano completamente di una propria personalità. Se poi consideriamo il mutuo rapporto del tutto e delle singole membra, esse in ogni corpo fisico vivente sono in ultima analisi destinate soltanto a profitto di tutto il composto; mentre, in una compagine sociale di uomini, nell’ordine del fine dell’utilità, l’ultimo scopo è il bene di tutti e di ciascun membro, essendo essi persone. Così (per ritornare al nostro argomento), come il Figlio dell’eterno Padre discese dal cielo per la salvezza eterna di noi tutti, così fondò il corpo della Chiesa e lo arricchì del divino Spirito per procurare ed assicurare la beatitudine delle anime immortali, secondo il detto dell’Apostolo: "Tutte le cose sono vostre; voi siete di Cristo: Cristo poi è di Dio" (I Cor. 3, 23; Pius XI, Lettera Enciclica Divini Redemptoris: A.A.S. 1937, p. 80). La Chiesa invero è costituita per il bene dei fedeli e per la gloria di Dio e di Gesù Cristo ch'egli ci ha mandato.
Il corpo mistico e il corpo puramente morale
Se poi confrontiamo il Corpo mistico con quello morale, allora bisogna notare tra i due una differenza di somma importanza. Nel corpo morale, il principio di unità non è altro che il fine comune e la comune cooperazione ad un medesimo fine, mediante l’autorità sociale; invece nel Corpo mistico, di cui trattiamo, alla comune tendenza per lo stesso fine va aggiunto un altro principio interno che esiste ed agisce con forza e nell’intera compagine e nelle singole sue parti, ed è di tale eccellenza da superare per se stesso immensamente tutti i vincoli di unità che conglutinano sia un corpo fisico sia un corpo morale. Ciò, come sopra abbiamo detto, non è qualche cosa di ordine naturale, bensì soprannaturale, anzi in se stesso infinito ed increato, cioè lo Spirito divino che, come dice l’Angelico, "uno e identico per numero, riempie ed unisce tutta la Chiesa" (De Veritate, q. 29, a. 4. c.).
Il retto significato dunque di questa sentenza rammenta che la Chiesa, la quale deve ritenersi una società perfetta nel suo genere, non consta soltanto di elementi ed argomenti sociali e giuridici. Essa è senza dubbio molto più eccellente di qualunque altra società umana (Leone XIII, Lettera Enciclica Sapientiæ Christianæ: AAS XXII p. 392) e le supera come la grazia supera la natura e come le cose immortali trascendono tutte le cose caduche (Leone XIII, Satis cognitum, AAS XXVIII p.724). Certo le altre società umane, e in specie la Società Civile, devono essere tenute in non poco conto; ma nel loro ordinamento non vi sono tutti gli elementi della Chiesa, come nella parte materiale del nostro corpo mortale non vi è tutto l’uomo. Sebbene infatti le ragioni giuridiche sulle quali anche la Chiesa è fondata e costruita abbiano origine dalla costituzione divina datale da Cristo e contribuiscano al conseguimento del suo fine soprannaturale, tuttavia ciò che eleva la società cristiana a quel grado che supera in modo assoluto ogni ordine naturale, è lo Spirito del nostro Redentore che, come fonte di tutte le grazie, doni e carismi, pervade intimamente la Chiesa e opera in essa. Infatti, come la compagine del nostro corpo mortale, benché sia opera meravigliosa del Creatore, pure dista moltissimo dall’eccelsa dignità dell’animo nostro, così la struttura della società cristiana, benché sia tale da mostrare la sapienza del suo divino Artefice, tuttavia è qualche cosa di ordine del tutto inferiore, se si paragona ai doni spirituali di cui essa è dotata e con cui essa vive, nonché con la divina loro sorgente.
La Chiesa giuridica e la chiesa della Carità
Da quanto finora abbiamo spiegato, Venerabili Fratelli, appare il grave errore sia di quelli che s’immaginano arbitrariamente la Chiesa quasi nascosta e del tutto invisibile, sia di quelli che la confondono con altre istituzioni umane fornite di regola disciplinare e di riti esterni, ma senza comunicazione di vita soprannaturale (Leone XIII, Satis cognitum, A.A.S. XXVIII p.710). Invece, come Cristo, Capo ed esemplare della Chiesa, "non è tutto il Cristo se in lui si considera o soltanto la natura umana visibile... o soltanto la natura divina invisibile... ma è uno con le due nature e nelle due nature, così è il suo Corpo mistico" (Leone XIII, Satis cognitum, A.A.S. XXVIII p.710). Il Verbo di Dio assunse infatti l’umana natura soggetta ai dolori, affinché, fondata la società visibile e consacrata col sangue divino, "l’uomo fosse richiamato alle cose invisibili attraverso un governo visibile" (S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4 ad 3).
Perciò compiangiamo e riproviamo anche il funesto errore di coloro i quali sognano una Chiesa ideale, una certa società alimentata e formata di carità cui (non senza disprezzo) oppongono l’altra che chiamano giuridica. Ma erroneamente suggeriscono una tale distinzione: giacchè essi non avvertono che il divin Redentore volle che il ceto di uomini da Lui fondato fosse anche una società perfetta nel suo genere e fornita di tutti gli elementi giuridici e sociali per perpetuare in terra l’opera salutare della Redenzione (Conc. Vat. Sess. IV, Const. dogm. de Eccl., prol.); e perciò la volle arricchita dallo Spirito Santo di celesti doni e grazie. L’Eterno Padre la volle, è noto, come "regno del Figlio del suo amore" (Col. I, 13); ma un regno vero, nel quale cioè tutti i credenti gli offrissero la completa sottomissione dell’intelletto e della volontà (Conc. Vat., Sess. III, Const. de fide cath., cap. 3), e con animo umile ed obbediente si conformassero a lui che per noi "si fece ubbidiente sino alla morte" (Phil. II, 8). Or dunque, nessuna vera opposizione o ripugnanza può esistere tra la missione invisibile dello Spirito Santo e l’ufficio giuridico che i Pastori e i Dottori hanno ricevuto da Cristo. Che anzi queste due realtà si completano e perfezionano a vicenda (come in noi il corpo e l’anima) e procedono da un solo identico Salvatore, il quale, quando alitò sugli Apostoli, non solo disse. "Ricevete lo Spirito Santo" (Io. 20, 22), ma comandò anche a voce alta: "Come il Padre mandò me, così anche io mando voi" (Io. 20, 21), e "Chi ascolta voi, ascolta me" (Luc. 10, 16).
Che se nella Chiesa si scorge qualche cosa che indica la debolezza della nostra condizione, ciò non deve attribuirsi alla costituzione giuridica di essa, ma piuttosto alla deplorevole tendenza dei suoi singoli membri al male, tendenza che il divin Fondatore permette si incontri anche nei membri più ragguardevoli del suo Corpo mistico, perché sia messa alla prova la virtù sia delle pecorelle sia dei Pastori e in tutti si accumulino i meriti della fede cristiana. Cristo infatti, come abbiamo detto più sopra, dal ceto che aveva fondato non volle che fossero esclusi i peccatori: se dunque alcuni membri soffrono malattie spirituali, non c’è motivo di diminuire il nostro amore verso la Chiesa, ma piuttosto di aumentare la nostra pietà verso le sue membra.
Sì, certamente, senza alcuna macchia risplende la pia Madre dei Sacramenti coi quali genera ed alimenta i figli, nella fede che conserva sempre incontaminata, nelle santissime leggi con le quali comanda, nei consigli evangelici coi quali ammonisce, nei celesti doni e carismi coi quali nella sua inesausta fecondità (cfr. Conc. Vat., Sess. III, Const. de fide catholica, cap. 3) genera innumerevoli eserciti di martiri, di vergini e di confessori. Ma non si può ascriverle a difetto se alcune membra languiscono inferme o ferite: in nome loro ogni giorno essa stessa prega Dio dicendo: "Rimetti a noi i nostri debiti" e nella loro cura spirituale si applica senza indugio e con forte e materno animo.
Quando dunque il Corpo di Gesù Cristo lo chiamiamo "mistico", dal significato stesso di questa parola riceviamo i più gravi ammaestramenti, che risuonano nella espressione di San Leone: "Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, divenuto partecipe della natura divina, non voler con un disdicevole tenor di vita, ritornare all’antica bassezza. Ricordati di quale Capo e di quale Corpo sei membro" (Serm. 21, 3; Migne, PL, 54, 192-193).
PARTE SECONDA
L'UNIONE DEI FEDELI CON CRISTO
Ci piace ora, Venerabili Fratelli, trattare in modo particolarissimo dell’unione nostra con Cristo nel corpo della Chiesa il quale argomento (come giustamente osserva Agostino) (cfr. August. Contra Faust. 21, 8; Migne, PL, 42, 392) è cosa grande, arcana e divina, e perciò spesso avviene che da alcuni sia male compresa e male spiegata. Anzitutto è chiaro che essa è strettissima. Infatti, nella Sacra Scrittura, viene raffigurata nel vincolo d’un casto matrimonio e paragonata ora all’unità vitale dei tralci con la vite, ora alla stretta compagine del nostro corpo (cfr. Eph. 5, 22-23; Io. 15, 1-5; Eph. 4, 16). Si presenta inoltre nei libri ispirati così intima, che antichissimi documenti costantemente tramandati dai Padri e fondati sul detto dell’Apostolo: "Egli (Cristo) è il Capo della Chiesa" (Col. I, 18) insegnano che il divin Redentore costituisce col suo Corpo sociale una sola persona mistica, ossia, come dice Agostino: tutto Cristo (cfr. Enarr. in Ps., 17, 51 et 90, 11, 1: Migne, PL, 36, 154 e 37, 1159). Anzi lo stesso Salvatore nostro nella sua preghiera sacerdotale non dubitò di paragonare cotale unione con quella mirabile unità per la quale il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio (Io. 17, 21-23).
Vincoli giuridici e sociali
Questa nostra compagine in Cristo e con Cristo nasce anzitutto dal fatto che la società cristiana, per volontà del suo Fondatore, è un Corpo sociale perfetto, per cui in essa l’unione deve consistere nel concorso di tutte le membra allo stesso fine. Quanto più infatti è nobile il fine cui tende questa cooperazione, quanto più divina è la fonte dalla quale essa procede, tanto più sublime diventa senza dubbio l’unità. Orbene, il fine è altissimo: continuare cioè la santificazione delle membra dello stesso Corpo, per la gloria di Dio e dell’Agnello che è stato ucciso per noi (Apoc. 5, 12-1 3). La sorgente è divinissima: il beneplacito dell’Eterno Padre, l’amabile volontà del nostro Salvatore, e specialmente l’intera ispirazione ed impulso dello Spirito Santo negli animi nostri. Se infatti senza lo Spirito Santo non si può compiere neppure un minimo atto che conduca alla salvezza, come potrebbero innumerevoli moltitudini d’ogni popolo e di ogni stirpe aspirare con lo stesso intento alla gloria di Dio uno e trino, se non per virtù di Colui che procede dal Padre e dal Figlio in un solo eterno amore?
Poiché, come abbiamo detto, questo Corpo sociale di Cristo dev'essere visibile per volontà del suo Fondatore, quella cooperazione di tutte le membra deve anch’essa manifestarsi esternamente, sia nell'attuarsi di una identica fede, sia per la comunione dei medesimi Sacramenti, sia partecipando allo stesso sacrificio, sia per un’operosa osservanza delle identiche leggi. È poi assolutamente necessario che sia manifestato agli occhi di tutti il Capo supremo, cioè il Vicario di Cristo, dal quale venga con efficacia diretta la cooperazione dei membri al conseguimento del fine proposto. A quella guisa infatti con cui il divin Redentore inviò il Paraclito Spirito di verità che per suo mandato (cfr. Io. 14, 16 e 26) dirigesse invisibilmente la Chiesa, così ordinò a Pietro e ai suoi Successori che, rappresentando in terra la sua persona visibile, governassero la società cristiana.
Virtù teologiche
Ai vincoli giuridici, tali in se stessi da trascendere quelli di qualsiasi altra società umana anche suprema, è necessario aggiungere un’altra ragione di unità proveniente da quelle tre virtù con le quali noi ci uniamo a Dio nel modo più stretto, cioè: la fede, la speranza e la carità cristiane.
Certo, come osserva l’Apostolo, "uno solo è il Signore, una sola la fede" (Eph. 4, 5), quella fede cioè con la quale aderiamo a Dio e a Colui ch’egli mandò, Gesù Cristo (cfr. Io. 17, 8). Quanto noi intimamente restiamo congiunti a Dio con questa fede, lo insegnano le parole del discepolo prediletto: "Chiunque confesserà che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio" (I Io. 4, 15). Né, mediante questa fede cristiana, siamo meno congiunti tra di noi e col nostro Capo divino. Infatti, tutti noi credenti, "avendo il medesimo spirito di fede" (II Cor. 4, 13), siamo illuminati dalla medesima luce di Cristo, ci nutriamo al medesimo convito di Cristo, veniamo governati dalla medesima autorità e magistero di Cristo. Ché se fiorisce in tutti lo stesso spirito di fede, tutti anche "viviamo (la identica vita) nella fede del Figlio che ci amò e diede Se stesso per noi" (cfr. Gal. 2, 20). E Cristo nostro Capo, che per la viva fede abbiamo ricevuto in noi ed abita nei nostri cuori (cfr. Eph. 3, 17), come è autore della nostra fede, così sarà colui che la perfeziona (cfr. Hebr. 12 2).
Come per mezzo della fede qui in terra aderiamo a Dio, fonte di verità, così per mezzo della speranza cristiana lo desideriamo quale fonte di beatitudine, "attendendo quella beata speranza che è l’apparizione gloriosa del grande Dio" (Tit. 2, 13). Per quel comune desiderio poi del Regno celeste, per cui non vogliamo avere qui sulla terra una dimora stabile ma cerchiamo quella futura (cfr. Hebr. 13, 14) e aneliamo alla gloria superna, l’Apostolo delle Genti non dubitò di asserire: "Un colpo solo, un solo spirito, come siete stati chiamati in un’unica speranza" (Eph. 4, 4); anzi Cristo risiede in noi come la speranza della gloria (cfr. Col. I, 27).
Ma se i vincoli della fede e della speranza coi quali siamo congiunti al nostro divin Redentore nel suo Corpo mistico, sono di grandissima importanza, di non minore entità ed efficienza sono i vincoli della carità. Infatti, se anche in natura è cosa eccellentissima l’amore, da cui nasce la vera amicizia, che cosa deve dirsi di quell’amore soprannaturale che viene infuso nei nostri cuori dallo stesso Dio? "Dio è carità: e chi sta nella carità, sta in Dio e Dio in lui" (I Io. 4, 16). La quale carità, quasi per legge istituita da Dio, fa sì che egli, riamandoci, discenda in noi che lo amiamo, in conformità alle parole divine: "Se uno mi ama.... anche il Padre mio l’amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui" (Io. 14, 23). La carità dunque, più strettamente di qualsiasi altra virtù ci congiunge con Cristo, dal cui celeste ardore infiammati, tanti figli della Chiesa hanno gioito nel poter essere oltraggiati per lui e nell’affrontare sino all’estremo anelito i più ardui sacrifici, anche l’effusione del sangue. Perciò il nostro divin Salvatore ci esorta ardentemente con le seguenti parole: "Perseverate nel mio amore". E poiché la carità è una cosa inutile e del tutto vuota, se non è attuata e manifestata con le buone opere, soggiunge: "Se osserverete i miei comandamenti, persevererete nel mio amore, come io stesso ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore" (Io. 15, 9-10).
Amore verso il prossimo
È necessario però che all’amore verso Dio e verso Cristo corrisponda l’amore verso il prossimo. Come possiamo infatti asserire di amare il divin Redentore, se odiamo coloro ch’egli redense col suo Sangue prezioso per farli membra del suo Corpo mistico? Perciò così ci ammonisce l’Apostolo prediletto: "Se uno dirà: io amo Dio e odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti, chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede? E questo comandamento abbiamo da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello" (I Io. IV, 20-21). Anzi, bisogna anche affermare che noi saremo sempre più uniti con Dio e con Cristo, a misura che saremo membra l'uno dell’altro (Rom. XII, 5) e vicendevolmente premurosi (I Cor. XII, 25); come d’altra parte, quanto più saremo stretti a Dio e al nostro Capo divino con un ardente amore, tanto maggiormente noi saremo uniti e fusi mediante la carità.
Cristo ci ama con una conoscenza infinita
e una carità eterna
Il Figlio Unigenito di Dio, già prima dell’inizio del mondo, con la sua eterna infinita conoscenza e con un amore perpetuo, ci ha stretti a se. E perché potesse manifestare tale amore in modo ammirabile e del tutto visibile, congiunse a sé la nostra natura nell’unione ipostatica donde avviene che "in Cristo la nostra carne ami noi", come, con candida semplicità, osserva Massimo di Torino (Serm. XXIX; Migne, PL, LVII, 594).
In verità, questa amantissima conoscenza, con la quale il divin Redentore ci ha seguiti sin dal primo istante della sua Incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché, per quella visione beatifica di cui godeva sin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del corpo mistico e le abbraccia col suo salvifico amore. O ammirabile degnazione della divina pietà verso di noi; o inestimabile ordine dell’immensa carità! Nel presepio, sulla croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti e congiunte a sè tutti le membra della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce ed ama se stesso.
La Chiesa «pienezza» di Cristo
Da quanto abbiamo detto fin qui, si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché l’Apostolo Paolo tanto spesso scriva che Cristo è in noi, e noi in Cristo. Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile: Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il suo Spirito che ci comunica e per mezzo del quale egli agisce in noi in maniera tale, da doversi dire che qualsiasi cosa divina si operi dallo Spirito Santo in noi, viene operata anche da Cristo (cfr. S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II, lect. 5)."Se uno non ha lo Spirito di Cristo (dice l’Apostolo), non è dei suoi: se invece Cristo è in voi..., lo spirito vive per effetto della giustificazione" (Rom. VIII, 9-10).
Per la medesima comunicazione dello Spirito di Cristo, avviene poi che la Chiesa sia quasi la pienezza ed il complemento del Redentore, perché tutti i doni, le virtù e i carismi che si trovano nel modo più eminente, abbondante ed efficace nel Capo, derivano in tutte le membra della Chiesa e in esse si perfezionano di giorno in giorno a seconda del posto di ciascuno nel corpo mistico di Gesù Cristo: quindi Cristo in certo modo e sotto ogni riguardo si completa nella Chiesa (cfr. S. Thom., Comm. in Ep. ad Eph., cap. I, lect. 8). Con le quali parole tocchiamo la stessa ragione per cui, secondo il parere già accennato di Agostino, il Capo mistico, che è Cristo, e la Chiesa, la quale rappresenta in terra la sua persona come un altro Cristo, costituiscono un unico nuovo uomo, pel quale, nel perpetuare l’opera salutare della Croce, si congiungono il cielo e la terra: ragione per cui possiamo dire come in sintesi: Cristo, Capo e Corpo, tutto Cristo.
L'inabitazione dello Spirito Santo
Certo, non ignoriamo che nel comprendere e nello spiegare questa dottrina riguardante la nostra unione con il divin Redentore e, in modo particolare, l’inabitazione dello Spirito Santo nelle anime, vi sono velami che l’avvolgono come caligine, a causa della debolezza della nostra mente. Ma sappiamo anche che dalla retta ed assidua indagine di questa materia, dal conflitto delle varie opinioni, dal concorso delle diverse teorie, purché nella investigazione siamo diretti dall’amore della verità e dal dovuto ossequio verso la Chiesa, scaturiscono e prorompono preziosi lumi, per mezzo dei quali si fa un vero profitto negli studi sacri in tale genere. Non biasimiamo quindi coloro che intraprendono diverse vie e metodi per trattare ed illustrare con ogni sforzo l’altissimo mistero di questa nostra unione con Cristo. Però tutti abbiano per certa ed indiscussa, se non vogliono allontanarsi dalla genuina dottrina e dal retto insegnamento della Chiesa, la seguente norma: respingere cioè, in questa mistica unione, ogni modo col quale i fedeli, per qualsiasi ragione, sorpassino talmente l’ordine delle creature ed invadano erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio eterno possa predicarsi di loro come proprio. E inoltre fermamente e con ogni certezza ritengano che in queste cose tutto è comune alla Santissima Trinità, in quanto tutto riguarda Dio quale suprema causa efficiente.
Devono anche aver presente che in questo argomento si tratta di un mistero occulto, il quale, in questo terrestre esilio, non può mai essere intravveduto libero da ogni velame, né può mai essere espresso in lingua umana. Si dice che le Persone divine inabitano, in quanto che, presenti in modo imperscrutabile negli esseri dotati d' intelletto, questi si pongono con esse in relazione mediante la conoscenza e l’amore (cfr. S. Thom. I q. 43 a.3) in un modo del tutto intimo e singolare che trascende ogni natura creata. Per cercare di comprendere alquanto questo modo, bisogna por mente al metodo tanto raccomandato dal Concilio Vaticano (Sess. III Const. de fid. cath. cap.4) nelle cose di tal genere, per cui si paragonano gli stessi misteri tra di loro e col loro fine supremo, sforzandosi di attingere quel tanto di luce che faccia almeno intravvedere gli arcani divini. Quindi opportunamente il sapientissimo Nostro Predecessore Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con Cristo e del divin Paraclito inabitante in noi, volge gli occhi a quella beatitudine con la quale un giorno la mistica unione otterrà il suo compimento nel cielo; e dice: "Questa mirabile unione, detta con nome suo proprio inabitazione, si differenzia da quella con cui Iddio abbraccia e fa beati i celesti, soltanto per il nostro stato [di viatori sulla terra]". In quella celeste visione, sarà poi concesso agli occhi della mente umana rinvigoriti da luce soprannaturale di contemplare in maniera del tutto ineffabile il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, di assistere per tutta l’eternità al procedere delle divine Persone l’una dall’altra, inebriandosi di un gaudio molto simile a quello con cui è beata la santissima e indivisa Trinità.
Quanto finora abbiamo esposto dell' intima unione del Corpo mistico di Gesù Cristo col suo Capo, ci parrebbe imperfetto, se qui non aggiungessimo almeno poche parole intorno alla santissima Eucaristia, con la quale una siffatta unione in questa vita mortale raggiunge il grado più alto.
L'Eucarestia segno di unità
Gesù Cristo infatti volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale veniamo congiunti tra di noi e col divino nostro Capo, si manifestasse ai credenti in modo speciale per mezzo del sacrificio eucaristico. In esso infatti i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche tutto il corpo mistico e i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al sacerdote nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso sacerdote offrono all’Eterno Padre, quale ostia graditissima di lode e di propiziazione per i bisogni di tutta la Chiesa, l’Agnello immacolato, dalla voce del solo sacerdote reso presente sull’altare.
E come il divin Redentore, morendo in Croce, offrì all’eterno Padre Se stesso quale Capo di tutto il genere umano, così "in questa oblazione pura" (Mal. I, 11), non offre quale Capo della Chiesa soltanto se stesso, ma in se stesso offre anche le sue mistiche membra, poiché egli nel suo Cuore amantissimo tutte le racchiude, anche se deboli e inferme.
Il Sacramento dell’Eucaristia, vivida e stupenda immagine dell’unità della Chiesa in quanto il pane da consacrarsi deriva da molti grani che formano una cosa unica (cfr. Didaché, 9, 4), ci dà lo stesso autore della grazia santificante, affinché da lui attingiamo quello Spirito di carità con cui viviamo non già la nostra vita ma la vita di Cristo, e in tutti le membra del suo Corpo sociale amiamo lo stesso Redentore.
Se dunque nelle tristissime circostanze in cui ora versiamo, vi sono moltissimi i quali aderiscono a Gesù Cristo nascosto sotto i veli eucaristici così intimamente che né la tribolazione né l’angoscia né la fame né la nudità né il pericolo né la persecuzione né la spada potrebbero mai separarli dalla sua carità (cfr. Rom. 8, 35), allora senza dubbio la sacra Comunione, non senza disegno del provvidentissimo Iddio ritornata in questi ultimi tempi d’uso frequente anche pei fanciulli, potrà diventare fonte di quella fortezza che non raramente suscita e irrobustisce anche gli eroi cristiani.
PARTE TERZA
ESORTAZIONE PASTORALE
ERRORI DELLA VISTA ASCETICA
Venerabili Fratelli, se i cristiani comprenderanno piamente e con rettitudine queste cose e con diligenza le riterranno, più facilmente potranno guardarsi anche da quegli errori che, con grande pericolo della fede cattolica e smarrimento degli animi, scaturiscono dalla investigazione, da alcuni arbitrariamente intrapresa, di questa difficile materia.
Falso «misticismo»
Infatti non mancano coloro i quali non considerando abbastanza che l'Apostolo Paolo circa questo argomento parlò metaforicamente e senza distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e propri di corpo fisico, di corpo morale, di corpo mistico, dànno di questa unione una spiegazione alterata. Giacchè fanno unire e fondere in una stessa persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo delle Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e il Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa (cfr. Eph. 5, 22-23).
Falso «quietismo»
Non meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di quelli che dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano quietismo, col quale tutta la vita spirituale dei cristiani e il loro progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino Spirito, escludendo cioè e lasciando da parte la nostra debita cooperazione. Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna. Infatti, come: dice il Salmista, "il Signore largisce grazie e gloria" (Ps. 83, 12). Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che progrediscano con alacrità nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma incitino secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto questo, lo Spirito celeste non vuol compiere, se gli stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa. "Infatti, come osserva Ambrogio, i benefici divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma a chi veglia" (Expos. Evang. sec. Luc., IV, 49; Migne, PL, 15, 1626). Poiché, se nel nostro corpo mortale le membra si corroborano e si sviluppano con ininterrotto esercizio, molto più ciò accade nel Corpo sociale di Gesù Cristo, nel quale le singole membra godono di una propria libertà, coscienza, azione. Perciò colui che disse: "Vivo, non più io, ma vive in me Cristo" (Gal. II, 20), non dubitò di asserire: "la grazia di lui, cioè di Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me" (I Cor. 15, 10). Quindi è chiarissimo che nelle accennate fallaci dottrine, il mistero di cui trattiamo non sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si volgerebbe miseramente alla loro rovina.
Errori circa la confessione sacramentale e l'orazione
Da tali false asserzioni proviene anche che alcuni affermino non doversi molto inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si adatta quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo coi suoi figli a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei Sacerdoti sul punto di ascendere all’altare di Dio. È vero che in molte e lodevoli maniere, come voi, o Venerabili Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, mercè la quale si accresce la retta conoscenza di se stesso, si sviluppa la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento. Quelli dunque che fra il giovane clero attenuano o estinguono la stima della confessione frequente, sappiano che intraprendono cosa aliena dallo Spirito di Cristo e funestissima al corpo mistico del nostro Salvatore.
Vi sono inoltre alcuni i quali o negano alle nostre preghiere ogni vera efficacia d’impetrazione, ovvero si sforzano d’insinuare nelle menti che le suppliche rivolte a Dio in privato bisogna ritenerle di poco valore, mentre piuttosto quelle pubbliche usate nel nome della Chiesa realmente valgono come quelle che partono dal corpo mistico di Gesù Cristo. Ciò è affatto erroneo: poiché il divin Redentore non ha a sé strettissimamente congiunta soltanto la sua Chiesa, quale amantissima Sposa, ma in essa, anche gli animi dei singoli fedeli, con i quali desidera ardentemente trattenersi in intimi colloqui, specialmente dopo che si sono accostati alla mensa eucaristica. E benché la preghiera collettiva, come procedente dalla Madre Chiesa, superi tutte le altre per la dignità della Sposa di Cristo, pure tutte le preghiere, dette anche in forma privatissima, non sono prive di dignità né di virtù e conferiscono moltissimo anche all’utilità di tutto il corpo mistico, in quanto che tutto ciò che si compie di bene e di retto dai singoli membri ridonda anche in profitto di tutti, grazie alla Comunione dei Santi. Né ai singoli uomini, appunto perché membra di questo corpo, si vieta di chiedere per se stessi grazie speciali anche per quanto riguarda la vita presente, serbando tuttavia la conformità alla volontà di Dio: essi infatti rimangono persone libere e soggette ai propri individuali bisogni (cfr. S. Thom. II-II, q. 83, a. 5 et 6). Quanto poi debbano tutti grandemente stimare la mediazione delle cose celesti, è comprovato non soltanto dai documenti della Chiesa ma anche dall’uso e dall’esempio di tutti i Santi.
Certuni infine dicono che le nostre preghiere non devono essere dirette alla stessa persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo corpo mistico, dov’essere considerato semplicemente "mediatore di Dio e degli uomini" (I Tim. 2, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine dei cristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto egli stesso asserì solennemente: "Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, io lo farò" (Io. 14, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore, giacché tutti i Cristiani devono conoscere e comprendere chiaramente che l’uomo Gesù Cristo è lo stesso Figlio di Dio e il medesimo Dio. Anzi, mentre la Chiesa militante adora e prega l’Agnello incontaminato e la sacra Ostia, sembra che in certo modo risponda alla voce della Chiesa trionfante che canta in eterno: "A colui che siede sul trono e all’Agnello, la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei secoli" (Apoc. 5, 13).
ESORTAZIONE PER AMARE LA CHIESA
Ora che, Venerabili Fratelli, nell’accurata spiegazione di questo mistero che riassume l’arcana unione di tutti noi con Cristo, nella nostra qualità di Maestro della Chiesa universale, abbiamo irradiate le menti con la luce della verità, riteniamo conforme al Nostro pastorale ufficio aggiungere anche uno sprone agli animi, affinché un tale corpo mistico venga amato con quell’ardore di carità che non si limita ai pensieri e alle parole, ma che prorompe in attività di opere. Poiché, se i seguaci dell’antica legge poterono così cantare della loro Città terrestre: "Se mi dovessi dimenticare di te, o Gerusalemme, cada in oblio la mia destra; resti attaccata al palato la mia lingua se non mi ricordo di te, se non colloco Gerusalemme al disopra di ogni mia gioia" (Psal. 136, 5-6), con quanta maggior gloria e più ampio gaudio, abbiamo noi il dovere di esultare appunto per questo che siamo cittadini di una Città costruita sul monte santo con vive e scelte pietre e della quale è "pietra angolare Gesù Cristo" (Eph. 2, 20; I Petr. 2, 4-5). Giacché niente si può immaginare di più glorioso, niente di più nobile, niente senza dubbio di più onorifico, che appartenere alla santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa, per la quale diventiamo membra di un unico e così venerando corpo, siamo guidati da un unico e così eccelso Capo, siamo ripieni di un unico e divino Spirito, siam nutriti in questo terrestre esilio da una sola dottrina e da uno stesso Pane angelico, finché ci ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine nei cieli.
Sia un amore solido
Ma, per non essere ingannati dall’angelo delle tenebre che suol trasfigurarsi in angelo di luce (cfr. 2 Cor. 11, 14), sia norma suprema del nostro amore l’amare la Sposa di Cristo quale Cristo stesso la volle, conquistandola con il sangue. Quindi non solo ci devono stare sommamente a cuore i Sacramenti con i quali la Madre nostra Chiesa amorosamente ci nutre; non solo devono esserci carissime le grandi feste che celebra a nostra consolazione e gioia, e i sacri cantici e i riti liturgici, con i quali innalza le nostre menti alle cose celesti; ma dobbiamo anche avere in gran conto quelli che si chiamano sacramentali, come pure tutte le pratiche di pietà con le quali la Chiesa stessa mira a pervadere soavemente dello Spirito di Cristo gli animi dei fedeli, per loro consolazione. Né soltanto è nostro dovere il ricambiare come conviene a figli la materna pietà della Chiesa verso di noi, ma dobbiamo anche professarle riverenza per l’autorità conferitale da Cristo, in modo tale da sottometterle pienamente il nostro giudizio, in ossequio a Cristo stesso (cfr. II Cor. 10, 5). Onde siamo tenuti ad obbedire alle sue leggi e ai suoi precetti in fatto di costumi, anche se talvolta ciò riesca abbastanza duro alla nostra natura, decaduta qual è dallo stato dell’innocenza originale. Così pure dobbiamo reprimere con volontarie penitenze la nostra carne ribelle, ci viene anzi inculcato di saper talvolta rinunziare a cose piacevoli, anche se non siano nocive. Né dobbiamo limitarci ad amare questo corpo mistico perché insigne per la divinità del suo Capo e per le sue doti celesti, ma dobbiamo amarlo con amore operoso anche quale si manifesta in questa nostra carne mortale, composta talvolta di membra che hanno tutte le debolezze dell’umana natura, anche se esse siano meno degne del posto che occupano in quel venerando corpo.
Col quale vediamo Cristo nella Chiesa
Ad ottenere poi che un tal pienissimo amore regni negli animi nostri e di giorno in giorno aumenti, è necessario assuefarsi a riconoscere nella Chiesa lo stesso Cristo. È infatti Cristo che nella sua Chiesa vive, che per mezzo di lei insegna, governa e comunica la santità; è Cristo che in molteplici forme si manifesta nelle varie membra della sua società. Se tutti i cristiani si daranno con impegno a vivere di un così vigoroso spirito di Fede, allora non solo essi tributeranno il debito ossequio d’onore alle più eccelse membra di questo mistico Corpo e specialmente a quelle che per mandato del divin Capo un giorno dovranno render conto delle anime nostre (cfr. Hebr. 13, 17); ma avranno a cuore anche quelle membra verso le quali il Salvator nostro dimostrò un amore di preferenza: i deboli, i feriti e i malati bisognosi o di medicina materiale o di rimedio soprannaturale, i fanciulli la cui innocenza si trova oggi esposta a tanti pericoli e la cui tenera anima è plasmabile come cera, i poveri infine, nei quali, mentre li soccorriamo, dobbiamo ravvisare la persona stessa di Gesù Cristo.
Ben a ragione l’Apostolo ci avverte: "le membra del corpo che paiono più deboli sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo di minor pregio, le circondiamo di onore maggiore" (I Cor. 12, 22-23). Tale gravissima sentenza Noi, consapevoli dell'altissima responsabilità che Ci è stata affidata, riteniamo doveroso ripetere al giorno d’oggi, mentre con profonda afflizione vediamo che ai deformi di corpo, ai deficienti ed agli affetti di malattie ereditarie vien talora tolta la vita, come se costituissero un molesto peso per la società. Peggio ancora, tale espediente da certuni si esalta come una trovata dell’umano progresso, quanto mai giovevole al comune benessere. Ma chi mai, se abbia senno, non vede che ciò ripugna non soltanto alla legge naturale e divina (cfr. Decr. S. Offic., 2 dec. 1940: A.A.S. 1940, p. 553), impressa nell’animo di ciascuno, ma è di violenta offesa contro i nobili sensi di umanità? Il sangue di tali sventurati, al nostro Redentore tanto più cari quanto più degni di commiserazione, "grida a Dio dalla terra" (cfr. Gen. 4, 10).
Imitiamo l'amore di Cristo verso la Chiesa
Affinché poi quella sincera carità, per la quale nella Chiesa e nelle sue membra dobbiamo riguardare il nostro Salvatore, non vada a poco a poco illanguidendosi, è di somma opportunità il tener di mira lo stesso Gesù, come insuperabile modello di amore verso la Chiesa.
a) Con larghezza di amore
Anzitutto, cerchiamo d’imitare l’estensione di tale amore. Unica è la Sposa di Cristo, e questa è la Chiesa: eppure l’amore dello Sposo divino ha tale ampiezza che, senza escludere alcuno, nella sua Sposa abbraccia tutto il genere umano. La causa infatti per cui il Salvator nostro sparse il suo sangue, fu appunto quella di riconciliare con Dio nella Croce tutti gli uomini, per quanto diversi di nazione e di stirpe, e farli congiungere in un unico Capo. Il vero amore della Chiesa esige quindi non solo che siamo vicendevolmente solleciti l’uno dell’altro (cfr. Rom. 12, 5; I Cor. 12, 25), come membri dello stesso Corpo che godono della gloria degli altri membri e soffrono dell’altrui dolore (cfr. I Cor. 12, 26), ma che altresì negli altri uomini, sebbene non ancora a noi congiunti nel corpo della Chiesa, riconosciamo dei fratelli di Cristo secondo la carne, chiamati insieme con noi alla medesima eterna salvezza.
E' vero, purtroppo, che, specialmente oggigiorno, non mancano di quelli che nella loro superbia esaltano l’avversione, l’odio, il livore come qualcosa che elevi e nobiliti la dignità e il valore umano. Noi però, mentre vediamo con dolore i funesti frutti di tale dottrina, seguiamo il nostro pacifico Re, che ci insegnò ad amare non solo quelli che non sono della nostra nazione e della nostra stirpe (cfr. Luc. 10, 33-37), ma persino i nemici (cfr. Luc. 6, 27-35; Matth. 5, 44-48). Noi, penetrati l’animo del soavissimo sentimento dell’Apostolo delle genti, con lui esaltiamo quale e quanta sia la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo (cfr. Eph. 3, 18); quell’amore, cioè, che nessuna diversità d’origine e di costumi può fiaccare; che neppure l’immensa distesa dell’oceano può attenuare; e che finalmente neppure le guerre, siano esse intraprese per causa giusta o ingiusta, potranno mai distruggere.
In quest’ora così grave, Venerabili Fratelli, mentre tanti corpi sono dolorosamente straziati e tante anime oppresse di tristezza, è necessario richiamare tutti a questi sensi di superiore carità, affinché nello sforzo collettivo di tutti i buoni si sovvenga a così immani necessità spirituali e materiali, in una meravigliosa gara d’amore e di commiserazione: mentre il Nostro pensiero va particolarmente a quanti appartengono a quelle organizzazioni, di qualsivoglia genere, che esplicano opera di soccorso. Per tal modo, la generosità piena di zelo del Corpo mistico di Gesù Cristo e la sua fecondità inesauribile diffonderanno splendori in tutto il mondo.
b) Con assidua operosità
Dato poi che all’ampiezza della carità onde Cristo amò la sua Chiesa corrisponde la sua amorosa costanza di opere, con questa stessa carità noi tutti, in assidua e zelante volontà, dobbiamo amare il Corpo mistico di Cristo. Ed invero non è possibile trovare nella la vita del nostro Redentore un’ora sola in cui non abbia lavorato fino a spossarsi di fatica, benché fosse Figlio di Dio, per fondare la sua Chiesa o per renderla stabile: dalla sua Incarnazione, allorchè gettò la prima base della Chiesa, fino al termine del suo corso mortale, con gli esempi della più fulgida santità, con la predicazione, con la conversazione, col radunar le turbe, coll’insegnare. È Nostro desiderio adunque che tutti, quanti riconoscono la Chiesa per madre, ponderino con diligenza che non solo ai sacri ministri od a coloro soltanto che tran fatto oblazione di sé a Dio nella vita religiosa, ma anche agli altri membri del mistico corpo di Cristo, per ciascuno in ragione della propria possibilità, incombe il dovere di affaticarsi con ogni impegno e diligenza alla costruzione ed all’incremento del medesimo corpo. In modo speciale desideriamo che a ciò pongano mente (come del resto già lodevolmente fanno) coloro che, arruolati nelle schiere dell’Azione Cattolica, cooperano nell’apostolato dei vescovi e dei sacerdoti nella loro attività apostolica; come pure quelli che, riuniti in pii sodalizi, collaborano allo stesso fine. Non c’è chi non veda come la solerte attività di tutti costoro sia di somma importanza e di massimo momento nelle attuali circostanze.
Né possiamo non dire una parola ai padri e alle madri di famiglia, cui il Redentore nostro affidò le membra più delicate del suo mistico Corpo. Li scongiuriamo quindi ardentemente che, per amore di Cristo e della Chiesa, provvedano con tutta sollecitudine alla prole data loro in custodia, affinché la si guardi da ogni sorta di insidie con cui oggi viene con tanta facilità adescata.
c) Senza tralasciare le preghiere
In particolar modo il Redentore nostro manifestò il suo ardentissimo amore per la Chiesa con le supplici preghiere innalzate per essa al suo celeste Padre. Giacché (per citar solo qualche esempio) è noto a tutti, Venerabili Fratelli, come Egli mentr’era per salire sul patibolo della Croce, elevò ferventissime invocazioni per Pietro (cfr. Luc. 22, 32), per gli altri Apostoli (cfr. Io. 17, 9-19), e finalmente per tutti coloro che, alla predicazione della divina parola, avrebbero creduto in lui (cfr. Io. 17, 20-23).
Per i membri della Chiesa
Ad esempio di Cristo, anche noi dobbiamo chiedere ogni giorno che il Signore voglia inviare operai alla sua messe (cfr. Matth. 9, 38; Luc.10,2); ogni giorno deve salire al cielo la comune preghiera per raccomandare tutte le membra del mistico corpo di Gesù Cristo. In primo luogo i sacri presuli, alla cui particolare sollecitudine è affidata la Diocesi di ciascuno; di poi i sacerdoti e infine i religiosi e le religiose che, seguendo la chiamata di Dio, sia in patria che in paesi infedeli, difendono, accrescono, promuovono il Regno del Redentore divino. Nessuno dei membri di questo venerando Corpo dev’essere dimenticato nella comune preghiera; ma specialmente si abbiano presenti quelli che o sono oppressi dalle sofferenze o dalle angosce di questa terra o, compiuto il corso mortale, vengono purificati nelle fiamme espiatrici. E neppure debbono essere trascurati coloro che si stanno istruendo nella dottrina cristiana, affinché possano al più presto mondarsi nel lavacro delle acque battesimali.
Bramiamo altresì vivamente che le comuni preghiere abbraccino nella stessa ardente carità sia coloro che, non ancora illuminati dalla verità evangelica, non sono ancora entrati nel sicuro ovile della Chiesa; sia coloro che, a causa di una miserevole scissione dell’unità della fede, si sono separati da Noi che, pur immeritevoli, rappresentiamo in terra la persona di Gesù Cristo. Per questo ripetiamo l’implorazione divina del nostro Salvatore al Padre celeste: "Che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te, così anch’essi siano in noi una cosa sola; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Io. 17, 21).
Per coloro che ancora non sono membri
Anche coloro che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, Noi affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che, sull’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. Summi Pontificatus: A.A.S. 1939 p.419). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi "del grande e glorioso Corpo di Cristo" (Iren. Adv. Hær., 4, 33, 7; Migne, PG, 7, 1076); con animo riboccante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi a quelle attuali condizioni, sulle quali non possono certo sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX Jam nos omnes, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., 7, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, si accostino con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. 14: Migne, PL, 59, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna.
Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte dell'intero Corpo mistico, affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo essere assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Io. Ev. tract., 26, 2: Migne, PL, 30, 1607). Onde, se alcuni, non credenti, vengono di fatto forzati ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad avvicinarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. 11, 6), deve esser il libero "ossequio dell’intelletto e della volontà" (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: Immortale Dei: A.A.S. XXVIII pp.174-175, Cod. Iur. Can. 1351), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è necessario che vengano attratti con efficacia alla verità del Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio.
Che ancora molti, purtroppo, errano lontani dalla cattolica verità e non piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi (cfr. August., ibidem), né i fedeli cristiani innalzano a Dio più ferventi preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti coloro che sentono amore per la Chiesa, di non desistere mai, seguendo l’esempio del divin Redentore, dall'elevare tali suppliche.
Per i Governanti
E del pari, soprattutto nel momento attuale, Ci sembra non solo opportuno ma necessario che vengano innalzate ardenti suppliche per i re, per i principi e per tutti coloro che, attendendo al governo dei popoli, possono con la loro tutela esterna recar aiuto alla Chiesa, affinché, riordinato rettamente il civile consorzio, "la pace, opera di giustizia" (Is. 32, 17), al soffio della divina carità arrida al genere umano tormentato dai terrificanti flutti di questa tempesta, e la Santa Madre Chiesa possa condurre vita quieta e tranquilla nella pietà e nella castità (cfr. I Tim. 2, 2). Dobbiamo chiedere con insistenza a Dio che tutti coloro che sono al governo dei popoli amino la sapienza (cfr. Sap. 6, 23) in modo che la seguente gravissima sentenza dello Spirito Santo non ricada mai su di essi: "L’Altissimo esaminerà le vostre opere e scruterà i pensieri; perché, ministri del suo regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge di giustizia, né secondo il volere di Dio avete camminato. Terribile e veloce egli piomberà su voi, ché rigorosissimo giudizio sarà fatto di quei che stanno in alto. Al tapino invero si usa misericordia, ma i potenti saranno potentemente puniti! Perché non indietreggerà dinanzi a persona il Signore di tutti, né avrà soggezione della grandezza di nessuno; ché il grande e il piccolo egli ha creato, ed ha cura ugualmente di tutti. Ma ai potenti sovrasta più rigoroso giudizio; a voi pertanto o re, son rivolte le mie parole perché impariate la sapienza e non cediate" (Ibidem, 6, 4-10).
d) Compiendo ciò che manca nella passione di Cristo
Inoltre, non solo faticando senza posa e pregando ininterrottamente, Cristo Signore palesò il suo amore verso la sua Sposa incontaminata, ma anche per mezzo dei dolori e delle angosce sopportate volentieri e con amore per essa: "Avendo egli amato i suoi... li amò sino alla fine" (Io. 13, 1). Anzi non acquistò la Chiesa che per mezzo del proprio sangue (cfr. Act. 20, 28).
Adunque, su queste orme cruente del nostro Re, come esige la nostra salvezza da porsi al sicuro, intraprendiamo volonterosi il nostro cammino: "Poiché se siamo stati innestati alla somiglianza della sua morte, lo saremo anche a quella della resurrezione" (Rom. 6, 5), e "se siamo insieme morti, con lui anche vivremo" (2 Tim. 2, 11). Ciò è richiesto anche dalla vera ed operosa carità sia verso la Chiesa, sia verso quelle anime che la medesima Chiesa genera allo stesso Cristo. Sebbene infatti il Salvator nostro con le sue durissime pene e la sua acerba morte abbia meritato alla sua Chiesa un tesoro addirittura infinito di grazie, per disposizione però della provvidenza di Dio esse solo partitamente ci vengono distribuite; e la loro minore o maggior dovizia non poco dipende anche dalle nostre buone opere, dalle quali una vera pioggia di celesti doni volontariamente largita da Dio, viene attirata sulle anime umane. La qual pioggia di grazie celesti sarà certamente sovrabbondante, se non solo faremo uso di fervorose preghiere a Dio, specialmente col prendere parte anche ogni giorno, se si può, e con pietà al Sacrificio eucaristico; non solo se faremo del nostro meglio per alleggerire le sofferenze di tanti bisognosi con servizi di cristiana carità; ma se ameremo i beni imperituri a preferenza di quelli caduchi di questa vita; se con volontarie mortificazioni terremo a freno questo corpo mortale, negandogli ciò che è illecito e imponendogli invece ciò che gli è sgradito e arduo; e se finalmente accetteremo con sottomissione come dalla mano di Dio le fatiche e i travagli della presente vita. Poiché in tal modo, secondo l’Apostolo, "diamo compimento, nella nostra carne, a quello che rimane dei patimenti di Cristo, a pro del Corpo di lui che è la Chiesa" (cfr. Col. I, 24).
Mentre così scriviamo Ci si presenta, purtroppo, dinanzi allo sguardo una moltitudine sterminata di miseri, che con dolore compiangiamo: infermi, poveri, mutilati, vedove e orfani, e moltissimi che per le proprie sventure o per quelle dei loro cari giacciono talvolta in vero languore mortale. Tutti quanti dunque coloro che per qualsiasi motivo sono immersi nella tristezza e nell’angoscia con cuore paterno vivamente esortiamo perché, pieni di fiducia, levino gli occhi al cielo, offrano le loro pene a quel Dio che un giorno renderà loro una copiosa mercede. Ed abbiano tutti per fermo che il loro dolore non è vano, ma è oltremodo fecondo di bene per se stessi e per la Chiesa, se essi, mirando a tal fine sapranno sopportarlo con pazienza. A meglio conseguire siffatto proposito, giova moltissimo la quotidiana e devota oblazione di se stesso a Dio, quale usano fare i membri di quella pia associazione che si denomina l’Apostolato della preghiera: sodalizio che in questa occasione, come a Dio gratissimo, Ci sta a cuore di raccomandare nel modo più vivo.
Che se ci fu mai un tempo in cui, per conseguire la salvezza delle anime, dobbiamo unire i nostri dolori agli strazi del divin Redentore, oggi specialmente, Venerabili Fratelli, tale è il dovere di tutti, mentre una guerra immane avvolge nelle sue fiamme quasi tutto l’orbe terrestre, causando tante morti, tante miserie, tante sventure. E particolarmente oggi è doveroso per tutti l’astenersi dai vizi, dalle lusinghe del mondo, dagli sregolati piaceri del senso, come pure da quelle cose terrene, futili e vane che non hanno alcun rapporto né con la cristiana formazione dell’animo, né con il conseguimento del cielo. Dobbiamo, piuttosto, ribadire nelle nostre menti la gravissima sentenza del Nostro Predecessore Leone Magno, il quale afferma che noi, col battesimo, siamo fatti carne del Crocefisso (cfr. Serm. 63, 6; 66, 3; Migne, PL,54, 357 et 366), e quella bellissima preghiera di S. Ambrogio: "Portami, o Cristo, sulla Croce, che è salvezza agli erranti, nella quale soltanto è riposo per gli affaticati, e nella quale soltanto avranno la vita coloro che muoiono" (In Psal. 118, 22, 30: Migne, PL, 15, 15, 1).
Prima di por fine a questo scritto, non possiamo trattenerCi dal tornare ad insistere nell’esortare vivamente tutti ad amare la santa Madre Chiesa con un affetto zelante e operoso. Per la sua incolumità, per il suo più fecondo ed ubertoso incremento, dobbiamo ogni giorno offrire all’Eterno Padre le nostre preghiere, le fatiche, le angosce nostre, se davvero ci sta a cuore la salvezza della universale famiglia umana, redenta col sangue divino. E mentre nubi minacciose offuscano il cielo, e pericoli e minacce incombono su tutto il consorzio umano e sulla stessa Chiesa, affidiamo le nostre persone e tutto ciò che ci appartiene al Padre delle misericordie, supplicandolo: "Volgi, ti preghiamo, o Signore, uno sguardo su questa tua famiglia, per la quale il Signor nostro Gesù Cristo non esitò a consegnarsi ai suoi carnefici ed a subire il tormento della Croce" (Off. MaIor. Hebd.).
EPILOGO
LA BEATA VERGINE MARIA
Attui, Venerabili Fratelli, questi Nostri paterni voti, che sono certamente anche i vostri, e ci ottenga a tutti un verace amore per la Chiesa, la Vergine Madre di Dio, la cui anima santissima fu ripiena del divin Spirito di Gesù Cristo più che tutte le altre anime insieme: Ella che, "in rappresentanza di tutta l’umana natura", diede il consenso affinché avesse luogo "una specie di sposalizio spirituale tra il Figlio di Dio e l’umana natura" (S. Thom., III, q. 80, a. 1). Fu Lei che con un parto ammirabile dette alla luce la fonte di ogni vita celeste, Cristo Signore, fin dal suo seno verginale ornato della dignità di Capo della Chiesa; fu Lei che poté mostrarlo, appena nato, come Profeta, Re e Sacerdote a coloro fra i giudei e fra i gentili che per primi accorsero ad adorarlo. Inoltre il suo Unigenito, accondiscendendo alla sua materna preghiera «in Cana di Galilea», operò quel mirabile prodigio per il quale «credettero in lui i suoi discepoli» (Io. 2, 11). Ella fu che, immune da ogni macchia, sia personale sia ereditaria, e sempre strettissimamente unita col Figlio suo, Lo offrì all’eterno Padre sul Golgota, facendo olocausto di ogni diritto materno e del suo materno amore, come novella Eva, per tutti i figli di Adamo contaminati dalla miseranda prevaricazione del progenitore. Per tal modo, Colei che quanto al corpo era la madre del nostro Capo, poté divenire, quanto allo spirito, madre di tutte le sue membra, con nuovo titolo di dolore e di gloria. Fu Ella, con le sue efficacissime preghiere ad impetrare che lo Spirito del divin Redentore, già elargito sulla Croce, venisse infuso nel giorno di Pentecoste con doni prodigiosi alla Chiesa, da poco nata. Ella finalmente, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi immensi dolori, più che tutti i fedeli cristiani, da vera Regina dei martiri, «compì ciò che manca dei patimenti di Cristo... a pro del corpo di lui, che è la Chiesa" (Col. I, 24; e per il mistico Corpo di Cristo, nato dal Cuore aperto del nostro Salvatore (cfr. Off. SS. mi Cordis in hymno ad Vesp.), ebbe quella stessa materna sollecitudine e premurosa carità con la quale nella culla ristorò e nutrì del suo latte il bambinello Gesù.
La stessa santissima Genitrice di tutte le membra di Cristo (cfr. Pio X: Ad diem illum), al cui Cuore Immacolato abbiamo con fiducia consacrato tutti gli uomini e che ora in cielo, regnando insieme col suo Figlio, risplende nella gloria del corpo e dell’anima, si adoperi con insistenza ad ottenere da lui che dall’eccelso Capo, scendano senza interruzione su tutte le membra del mistico Corpo rivi di abbondantissime grazie. Essa stessa, col suo sempre presente patrocinio, come per il passato, così oggi, protegga la Chiesa e ad essa e a tutta la umana famiglia impetri finalmente da Dio un’era di maggiore tranquillità.
Noi, fidenti in questa superna speranza, quale auspicio delle celesti grazie e quale attestato della Nostra particolare benevolenza, a voi tutti e singoli, Venerabili Fratelli, ed al gregge a ciascuno di voi affidato, impartiamo con effusione di cuore l’Apostolica Benedizione.
Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 29 del mese di Giugno, nella festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, nell’anno 1943, V del Nostro Pontificato.
PIO PP. XII
*Discorsi e Radiomessaggi di sua Santità Pio XII, V,
Quinto anno di Pontificato, 2 marzo 1943 - 1° marzo 1944, pp. 267-324
Tipografia Poliglotta Vaticana
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